Indagato latitante: nomina del difensore da parte di un prossimo congiunto e interpretazione analogica dell’art. 96, comma 3, c.p.p. (di Riccardo Radi)

Nomina difensore indagato latitante da parte di prossimo congiunto e l’interpretazione analogica dell’articolo 96 comma 3 c.p.p.
Merita segnalazione la sentenza della cassazione sezione 3 numero 16140/2023 che ha esaminato la questione relativa alla facoltà dei prossimi congiunti di nominare, ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. pen., un difensore nell’interesse dell’indagato latitante.
La Suprema Corte ha stabilito che l’articolo 96 comma 3 c.p.p. riguarda esclusivamente le persone “in vinculis” e non i latitanti, avendo tale norma natura eccezionale, in quanto rigorosamente legata alla difficoltà di provvedere personalmente alla designazione di un difensore da parte della persona sottoposta alla condizione di limitazione della libertà personale ed essendo, pertanto, insuscettibile di interpretazione analogica.
In applicazione di tale principio, la Cassazione ha ritenuto esente da censure la decisione con cui si era ritenuta l’inammissibilità dell’istanza di revoca della dichiarazione di latitanza presentata dal difensore nominato dai prossimi congiunti dell’indagato.
L’articolo 96 comma 3 c.p.p. prevede che la nomina del difensore fiduciario di persona che sia stata fermata, arrestata o comunque sottoposta a custodia cautelare può essere fatta, finché non vi abbia provveduto il soggetto direttamente interessato, anche da un suo prossimo congiunto.
Ora, quale che sia la ratio di tale disposizione, ciò che è indubbio è che essa si pone in termini derogatori rispetto alla disciplina ordinaria prevista dai commi 1 e 2 del medesimo art. 96 cod. proc. pen., a tenore dei quali la nomina è atto di competenza dell’imputato (ovvero dell’indagato) ed è fatta con dichiarazione dallo stesso rilasciata; trattandosi di previsione in deroga, essa, in quanto costituente un’eccezione rispetto ad una regola generale, deve intendersi, considerato quanto previsto dall’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, non suscettibile di applicazione analogica (sulla inammissibilità della interpretazione analogica di una disposizione avente contenuto derogatorio di una regola generale, anche in materia penale, per tutte: Corte di cassazione, Sezione I penale, 7 giugno 2019, n. 25387), né di interpretazione estensiva (cfr., anche in questo caso per tutte: Corte di cassazione, Sezione I penale, 15 gennaio 2014, n. 1456).
Fatta questa premessa, non può non rilevarsi, peraltro con il conforto della giurisprudenza della Suprema Corte (si vedano, infatti, Corte di cassazione, Sezione II penale, 24 febbraio 2017, n. 9209; idem Sezione I penale, 9 marzo 2015, n. 35955; idem Sezione VI penale, 13 aprile 2006, n. 13501 – essendo rimasta isolata la decisione con la quale era stata propugnata la estensione del principio stante la ratio della norma la quale intenderebbe agevolare l’intervento di un difensore di fiducia, a preferenza di quello d’ufficio, quando l’interessato si trova in difficoltà e non può agevolmente provvedere all’incombente personalmente, così: Corte di cassazione, Sezione Il penale, 13 maggio 2014, n. 19619) che la facoltà dei prossimi congiunti di nominare, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. pen., un difensore nell’interesse dell’indagato riguarda esclusivamente le persone in vinculis e non i latitanti, avendo detta norma natura eccezionale, in quanto rigorosamente legata alla difficoltà di provvedere personalmente alla designazione di un difensore da parte della persona sottoposta alla condizione di limitazione della libertà personale, ed essendo, come tale, insuscettibile di interpretazione analogica.
Né una tale, ampiamente prevalente, posizione giurisprudenziale, in base alla quale la facoltà per i terzi di nominare il difensore di fiducia è riservata solamente agli stretti congiunti di chi si trovi privato della sua libertà personale, appare in contrasto con la finalità della disposizione quale ritenuta nella sentenza espressiva dell’isolato ed opposto orientamento richiamato ora dal ricorrente – cioè agevolare la nomina di un difensore fiduciario anche a chi si trovi nella difficoltà di compiere una tale operazione – atteso che costituisce una mera petizione di principio il ritenere che il soggetto latitante – il quale, per definizione (si veda, infatti, il combinato disposto degli artt. 576, comma secondo, e 61, n. 6, cod. pen), si è sottratto volontariamente alla esecuzione di un provvedimento privativo della libertà personale e che, pertanto, non è necessariamente ignaro della esistenza del procedimento a suo carico – si debba trovare sicuramente in seria difficoltà nella nomina di un proprio difensore fiduciario.