Si segnala un’interessante sentenza che ha affrontato il tema della testimonianza indiretta (articolo 195 cpp) e dell’utilizzabilità delle dichiarazioni de relato in caso il teste di riferimento si avvalga della facoltà prevista di astensione dei prossimi congiunti (articolo 199 c.p.p.).
La cassazione sezione 5 con la sentenza numero 17827/2023 Rv 284408-01 ha stabilito che in tema di testimonianza indiretta, nel caso in cui il teste di riferimento si avvalga della facoltà di astensione riconosciutagli dall’art. 199 cod. proc. pen., le dichiarazioni “de relato” sono liberamente valutabili, non venendo in rilievo alcuna delle ipotesi di inutilizzabilità tassativamente previste dall’art. 195, commi 3 e 7, cod. proc. pen.
La Suprema Corte premette che l’art. 195 del codice di rito disciplina le linee portanti dell’assunzione della testimonianza de relato, prevedendo, per quanto qui rileva:
a) che, quando il testimone si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, il giudice, a richiesta di parte, dispone che queste siano chiamate a deporre (comma 1);
b) che l’inosservanza della disposizione del comma 1 rende inutilizzabili le dichiarazioni relative a fatti di cui il testimone abbia avuto conoscenza da altre persone, salvo che l’esame di queste risulti impossibile per morte, infermità o irreperibilità (comma 3);
c) che non può essere utilizzata la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell’esame (comma 7).
Ne discende che gli unici casi testualmente previsti di inutilizzabilità della testimonianza de relato trovano il loro fondamento nel fatto che il teste si rifiuti o non sia in grado di indicare la propria fonte di conoscenza (comma 7 dell’art. 195) o nel fatto che, pur richiestone, il giudice non chiami a deporre le persone alle quali il teste abbia fatto riferimento per la conoscenza dei fatti (comma 3, in relazione al comma 1 dell’art. 195).
Sin da ora va aggiunto, peraltro, che l’inutilizzabilità prevista dal comma 3 appena citato non opera (ossia, in positivo, la deposizione del teste de relato è utilizzabile), come s’è visto, nel caso in cui l’esame del teste di riferimento sia impossibile per morte, infermità o anche per irreperibilità.
Il rilievo assegnato all’irreperibilità è illuminante nella ricerca della ratio della previsione, in quanto dimostra che non solo vicende di carattere oggettivo possono consentire di collocare nell’area delle fonti utilizzabili la testimonianza de relato, ma anche fatti soggettivamente imputabili al teste di riferimento.
Nel caso esaminato dalla cassazione il ricorrente invoca a sostegno della sua tesi Sez. 3, n. 25987 del 13/07/2020, Ravasi, Rv. 279743 – 0, non massimata sul punto, che, in motivazione, ha rilevato come gli elementi che il curatore aveva appreso dalla figlia del prevenuto non fossero utilizzabili, trattandosi di testimonianza de relato cui non aveva fatto seguito, non per impossibilità dovuta a morte, infermità o irreperibilità del teste di riferimento, l’esame del teste che avrebbe fornito le informazioni: infatti la figlia, chiamata a testimoniare, si era avvalsa della facoltà di non rispondere all’esame dibattimentale, ai sensi dell’art. 199 cod. proc. pen., in quanto stretta congiunta dell’imputato.
La sentenza osserva che ritenere che una tale opzione, legittimamente operata dalla teste, potesse rendere in ogni caso utilizzabili le dichiarazioni de relato, avrebbe finito, di fatto, con il privare il congiunto dell’imputato della possibilità di liberamente esercitare la facoltà di non rispondere all’esame dibattimentale che gli è, invece, concessa dall’art. 199 c.p.p
Alle medesime conclusioni giunge Sez. 1, n. 6294 del 29/03/1999, Rv. 213464 – 0, con riguardo alla possibilità, che, tuttavia, interseca altri profili processuali, dell’audizione come testi di riferimento dei verbalizzanti.
E, tuttavia, siffatta conclusione (peraltro non costante nella giurisprudenza della cassazione: vedi, infatti, Sez. 1, n. 26284 del 06/07/2006, Rv. 235001 – 01, secondo la quale la testimonianza de relato è utilizzabile allorquando il soggetto nel quale si identifica l’originaria fonte della notizia dei fatti, sottoposto a esame, si avvale del diritto di non rispondere.
In tal caso, quanto da esso riferito è liberamente valutato dal giudice ai fini del proprio convincimento) non è rispondente alla disciplina processuale e alla ratio che la sorregge.
Come s’è visto, la lettera della legge delinea ipotesi tipiche di inutilizzabilità tra le quali non si colloca la scelta del teste di riferimento di avvalersi della facoltà riconosciutagli dall’ordinamento di non rispondere.
Coerentemente, le Sezioni Unite (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255142 – 01), nell’affermare che alla chiamata in correità o in reità de relato si applica l’art. 195 cod. proc. pen. anche quando la fonte diretta sia un imputato di procedimento connesso, ex art. 210 cod. proc. pen., o un teste assistito, ex art. 197-bis, cod. proc. pen., hanno osservato che, in caso di esercizio della facoltà di astensione, non si versa nell’ipotesi in cui la persona che fornisce, per percezione diretta, la notizia si sottrae volontariamente, per libera scelta, all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore (artt. 111, quarto comma, Cost. e 526, comma 1 -bis, cod. proc. pen.), ma si è di fronte, invece, all’impossibilità oggettiva di esaminare la fonte originaria, perché deceduta o perché riveste la qualità soggettiva di imputato. Soccorre, al riguardo, il quinto comma dell’art. 111 Cost., che prevede espressamente una deroga al principio del contraddittorio nella formazione della prova, ove si verifichi una causa oggettiva esterna, normativamente regolata, che lo impedisca.
L’espressione «accertata impossibilità di natura oggettiva», utilizzata nella norma costituzionale, implica che tale situazione formi oggetto di discussione tra le parti processuali, con la conseguenza che il contraddittorio viene recuperato attraverso il dibattito sull’esistenza in concreto del requisito dell’impossibilità oggettiva e la valutazione sull’attendibilità delle propalazioni de relato, considerate nel loro duplice aspetto di prova rappresentativa e di prova critica.
L’art. 195, comma 3, cod. proc. pen. legittima l’utilizzabilità dei relata, qualora l’esame del confidente diretto risulti impossibile per le ragioni non tassative (in tal senso, si vedano, Sez. 4, n. 37434 del 12/06/2003, Rv. 226036 – 01; Sez. 1, n. 7947 del 13/03/1997, Rv. 208267 – 01) ivi indicate (morte, infermità, irreperibilità) o per altre, come si è detto, alle prime assimilabili (fonte diretta che, rivestendo lo status di imputato, non si sottopone all’esame).
Tale previsione codicistica, concludono Sez. U Aquilina, è compatibile con quanto stabilito dall’art. 111, quinto comma, Cost.
Siffatto principio è stato ribadito anche in seguito dalla giurisprudenza della Suprema Corte, secondo la quale, in tema di testimonianza indiretta, la libera valutabilità da parte del giudice delle dichiarazioni rese dal teste de relato non viola né l’art. 111 Cost., nel caso in cui il dichiarante diretto sia un imputato di reato connesso avvalsosi in dibattimento della facoltà di non rispondere, né l’art. 6 CEDU così come interpretato dalla Corte di Strasburgo (Sez. 6, n. 40746 del 24/06/2016, Rv. 268324 – 01).
In motivazione, quest’ultima decisione osserva che il principio del contraddittorio esprime il confronto processuale tra le parti che, nel caso in cui il dichiarante diretto rimanga silente, viene recuperato lungo la duplice direttrice del dibattito sull’attendibilità dei relata e della stessa fonte diretta.
I contenuti delle dichiarazioni del teste indiretto non restano infatti confinati in un’area di circoscritta e sterile rilevanza per la quale il primo, esaminato dall’imputato e dalla difesa, non potrebbe che limitarsi a riferire di quanto ha appreso da altri; il dibattito processuale può ben evidenziare del racconto del primo contraddizioni e limiti, infirmando l’attendibilità stessa del ricordo.
Le dichiarazioni rese dal dichiarante de relato in sede di esame dibattimentale cadono comunque sotto la regola del contraddittorio e valgono a dare contenuto e rispetto alla stessa.
La direttiva costituzionale contenuta al quarto comma dell’art. 111 Cost. pone dunque un criterio di valutazione, testualmente riprodotto nell’art. 526, comma 1-bis, cod. proc. pen., con cui vanno coordinate le previsioni dell’art. 195, commi 1 e 3, cod. proc. pen., per il quale le dichiarazioni del teste de relato restano acquisibili al processo per il segnalato iter processuale (disposta audizione, su richiesta, della fonte diretta) e sono liberamente valutabili dal giudice ove il teste, le cui dichiarazioni costituiscono fonte diretta, rimanga silente. Sez. 6 n. 40746 del 24/06/2016, cit., occupandosi del caso in cui la posizione del dichiarante diretto sia quella di imputato in reato connesso ed egli rimanga silente, aggiunge che, in tale ipotesi, non può dirsi integrato l’estremo per il quale la fonte diretta si sottragga «per libera scelta» all’interrogatorio da parte dell’imputato o il suo difensore.
La qualità soggettiva di ‘imputato’ del dichiarante integra infatti, al pari dell’intervenuto decesso, ai sensi dell’art. 111, quinto comma, Cost., una impossibilità di esaminare la fonte originaria normativamente regolata a cui legittimamente la norma ordinaria connette l’utilizzabilità dei relata, Sez. 3, n. 12916 del 02/03/2010, Rv. 246611 – 0, al riguardo, ha puntualmente osservato, in motivazione, che la regola dettata dall’art. 195, comma 7, cod. proc. pen., secondo la quale, come detto, non può essere utilizzata la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell’esame, è coerente con un sistema improntato alla verifica dell’attendibilità della fonte di prova e che risponde all’ovvia esigenza di evitare la delazione anonima, che si verificherebbe inevitabilmente in caso di reticenza o di impossibilità di individuare la fonte primaria di conoscenza.
Certamente il teste indiretto appare credibile e non v’è motivo di dubitare delle sue dichiarazioni, ma non si può, per la semplice attendibilità del teste indiretto, utilizzare la sua testimonianza nonostante l’impossibilità di individuare la fonte primaria.
Resta, pertanto, chiarito che il significato della disciplina dettata dall’art. 195 cod. proc. pen. si coglie nella necessità che il teste de relato indichi le sue fonti in termini obiettivamente verificabili, in modo da consentirne, ove possibile, l’esame diretto, nel contraddittorio fra le parti, ma senza che, in caso di impossibilità, la deposizione assunta venga espunta dal materiale utilizzabile ai fini della decisione.
Le considerazioni svolte da Sez. 3, n. 25987 del 13/07/2020 cit., laddove sottolineano come la tesi qui privilegiata priverebbe il congiunto dell’imputato della possibilità di liberamente esercitare la facoltà di non rispondere all’esame dibattimentale che gli è, invece, concessa dall’art. 199 cod. proc. pen. sono, quindi, innanzi tutto, incompatibili con la disciplina dettata dall’art. 195 del codice di rito che non rende il teste di riferimento arbitro, con il suo silenzio, di pregiudicare l’acquisizione della deposizione del teste de relato.
E, infatti, qualora la persona alla quale il testimone ha fatto riferimento sia stata chiamata a deporre e non abbia risposto, ovvero abbia fornito una versione contrastante, il giudice può ritenere attendibile, all’esito di una valutazione improntata a speciale cautela, la deposizione del teste de relato, in quanto, da un lato, l’art. 195 cod. proc. pen. non prevede alcuna gerarchia tra le dichiarazioni e, dall’altro, una diversa soluzione contrasterebbe con il principio del libero convincimento del giudice, cui compete in via esclusiva la scelta critica e motivata della versione dei fatti da privilegiare (Sez. 3, n. 529 del 02/12/2014, dep. 2015, Rv. 261793 – 01; nello stesso senso, per il caso di contrasto tra il contenuto delle dichiarazioni, v. Sez. 6, n. 38064 del 05/06/2019, Rv. 277062 – 0).
In secondo luogo, esse sono poi contrastanti con la finalità del diritto di astenersi dal deporre, che, come chiarito da Sez. 1, n. 42337 del 21/03/2019, Rv. 277227 – 01, è codificato a tutela del dichiarante e del vincolo di coniugio, del legame familiare o di convivenza. In altri termini, non si tratta di un istituto posto a tutela e salvaguardia della posizione processuale dell’imputato o di uno sbarramento assoluto alla conoscenza processuale su fatti afferenti alla responsabilità penale di costui, fatti che debbano essere acquisiti attraverso la deposizione del prossimo congiunto o del convivente.
Il precetto è posto, piuttosto, a tutela esclusiva del dichiarante e assicura al teste stesso, legato da vincoli di parentela in senso lato, di non trovarsi nella condizione di dover deporre contro il soggetto cui sia legato o con il quale abbia avuto un legame, così rischiando di esporsi ad una falsa deposizione (che risulterebbe comunque non punibile ex art. 384 cod. pen.: sulla stretta connessione tra i due istituti, v., in motivazione, Sez. U, n. 7208 del 29/11/2007, dep. 2008, Genovese, Rv. 238383 – 01) o a conflitti interiori che traggano scaturigine dall’esistenza di sentimenti e turbamenti di coscienza collegati al rapporto con l’imputato e sulla cui posizione si è chiamati a deporre.
Si tratta di conflitti e situazioni dalle quali il teste di riferimento è protetto, appunto, con la facoltà di astenersi, ma senza che ciò possa ridondare in danno della attendibilità del teste de relato, il cui narrato sarà sottoposto ai criteri di valutazione sopra ricordati.
