Bancarotta “riparata”: condizioni per il riconoscimento (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 5 con la sentenza numero 14932/2023 ha stabilito che ai fini della configurabilità della bancarotta “riparata”, non è necessaria la restituzione dei singoli beni sottratti, ma occorre che i versamenti nelle casse sociali, compiuti prima del fallimento onde reintegrare il patrimonio precedentemente pregiudicato, corrispondano esattamente agli atti distrattivi in precedenza perpetrati.

La Suprema Corte ha censurato la decisione di condanna per il delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva, con la quale, senza valutare la fondatezza delle “pretese” dell’imputato, oggetto di accordo transattivo – segnatamente, l’entità delle spettanze vantate a titolo di indennità di buona uscita e di altre voci stipendiali, la “posizione” di esse rispetto ai crediti ammessi alla procedura fallimentare e, dunque, le somme risparmiate dalla società e dalla procedura fallimentare – si era ritenuta insufficiente la restituzione di una somma superiore al valore dei beni oggetto di distrazione, ma inferiore all’entità delle perdite.

Ricordiamo che secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della cassazione, la bancarotta “riparata” si configura, determinando l’insussistenza dell’elemento materiale del reato, quando la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori o anche solo la potenzialità di un danno (Sez. 5, n. 52077 del 04/11/2014, Rv. 261347), sicché l’attività di segno contrario che annulli la sottrazione deve reintegrare il patrimonio dell’impresa prima della dichiarazione di fallimento, evitando che il pericolo per la garanzia dei creditori acquisisca effettiva concretezza (Sez. 5, n. 50289 del 07/07/2015, Rv. 265903).

Invero, come si è detto, ai fini della configurabilità della bancarotta “riparata” non è necessario la restituzione del singolo bene sottratto, ma un’attività di integrale reintegrazione del patrimonio anteriore alla declaratoria di fallimento (Sez. 5, n.34290 del 02/10/2020, non mass.).

È onere dell’amministratore, che si è reso responsabile di atti di distrazione e sul quale grava una posizione di garanzia rispetto al patrimonio sociale, provare l’esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi precedentemente perpetrati (Sez. 5, n. 57759 del 24/11/2017, Rv. 271922).

Presupposto necessario per l’applicabilità di tale istituto è quindi che le somme versate dall’amministratore nelle casse sociali abbiano effettivamente avuto quella funzione di reintegrazione del patrimonio della società precedentemente pregiudicato dagli indebiti prelievi, con un’attività di segno contrario, non rilevando certo i versamenti fatti dall’amministratore ad altro titolo.

Nel caso esaminato le sentenze di merito danno atto che, a fronte di una distrazione, derivante da una probabile vendita in nero di 15.000 paia di scarpe, per circa un milione di euro, l’amministratore versò nelle casse sociali la somma di 1.748.000 euro, che non è stata ritenuta sufficiente, ai fini della cd. riparazione, non perché se ne è esclusa la funzione restitutoria, ma perché inferiore alle perdite di 2.318.000 euro.

Su questo specifico punto la sentenza va annullata con rinvio affinché il giudice del rinvio rivaluti, alla luce dei principi giurisprudenziali richiamati in tema di bancarotta cd. riparata, la condotta posta in essere dal ricorrente e consistita nell’incontestato versamento nelle casse sociali di una somma pari ad euro 1.748.000,00, superiore all’indicato ammontare del valore dei beni oggetto di distrazione.