Ordine di demolizione di un immobile abusivo: per la Corte di Strasburgo viola la CEDU se priva il destinatario della sua unica casa senza che le autorità pubbliche valutino soluzioni alternative (di Vincenzo Giglio)

Segnaliamo ai lettori un’importante pronuncia dei giudici europei dei diritti umani (Corte EDU, Sez. 3^,  Simonova c. Bulgaria, ricorso n. 30782/2016, 11 aprile 2023, allegata alla fine del post nella versione originaria in lingua inglese) che ha affermato la necessità di sottoporre ad una verifica di proporzionalità l’ordine di demolizione di un manufatto realizzato abusivamente allorché la sua distruzione privi il destinatario dell’unica abitazione di cui dispone.

Sottolinea la Corte di Strasburgo che, ove tale verifica sia mancata o sia stata inadeguata e, soprattutto, ove le autorità pubbliche competenti non abbiano affrontato e risolto la necessità abitativa di chi subisce la demolizione, il relativo ordine viola l’art. 8, CEDU (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) ed in particolare del suo § 2, a norma del quale “Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui“.

Sono riportati qui di seguito, tradotti in italiano, i paragrafi 46/54 della sentenza che contengono le valutazioni conclusive della Corte.

46. L’ordine di demolizione, che interferiva con il diritto della ricorrente al rispetto della sua casa, era “conforme alla legge” (si veda Ivanova e Cherkezov, sopra citata, § 50).

47. L’ordine può anche essere considerato come perseguimento di uno scopo legittimo. Nei suoi termini, ha cercato di attuare la previsione legale che nessun edificio può essere eretto senza i documenti di costruzione richiesti (vedere paragrafo 11 sopra). Nel contesto in esame, ciò può essere considerato rientrare nella nozione di “prevenzione del disordine” e come promozione del “benessere economico del paese” (si veda Ivanova e Cherkezov, sopra citata, § 51). Sebbene l’ordine stesso adducesse unicamente la mancanza di tali documenti, nel confermarla la Corte amministrativa di Plovdiv notò anche che l’edificio era stato quasi interamente costruito su un lotto vicino che apparteneva a qualcun altro (vedere paragrafo 15 sopra). L’ordine può quindi essere inteso anche come tutela indiretta dei “diritti degli altri” (si veda, mutatis mutandis, Yordanova e altri, sopra citata, § 111, e Bagdonavicius e altri c. Russia, n. 19841/06, § 96, 11 ottobre 2016).

48. La questione saliente è se l’ingerenza comportata dall’ordine di demolizione fosse “necessaria in una società democratica”. I principi generali fondati su questo punto, in relazione agli ordini di demolizione di edifici abusivamente costruiti che costituiscono l’unica “casa” di qualcuno, sono stati enunciati nelle sentenze Ivanova e Cherkezov (sopra citata, §§ 53-55). Non c’è bisogno di ripeterli tutti qui, se non per sottolineare che: (a) richiedono che le persone che rischiano di perdere la loro unica casa a causa della sua prevista demolizione debbano essere in grado di cercare e ottenere – a un certo punto della procedimenti che portano alla demolizione – un esame adeguato della sua proporzionalità alla luce delle loro circostanze individuali, e che (b) sarebbe solo in casi eccezionali che tali persone riuscirebbero ad eccepire fondatamente che la demolizione sarebbe sproporzionata nella loro circostanze specifiche.

49. Anche il presente caso deve essere deciso in accordo con questi principi.

50. L’ordine di demolizione stesso non conteneva alcuna analisi del fatto che avrebbe pregiudicato in modo sproporzionato la ricorrente alla luce delle sue particolari circostanze (si veda il paragrafo 11 sopra). Né vi è alcuna prova che, nell’emettere l’ordinanza, il vicesindaco di Kuklen abbia cercato di soppesare l’obiettivo perseguito dalla sua ordinanza rispetto alle circostanze individuali del ricorrente.

51. Ciò di per sé non pone alcun problema. Ma quando l’ordine gli è stato poi sottoposto per essere esaminato a seguito della richiesta di controllo giurisdizionale del ricorrente, nemmeno il tribunale amministrativo di Plovdiv ha esaminato la questione (confrontare Ivanova e Cherkezov, sopra citata, § 53). Ha limitato il suo ragionamento sul punto all’osservazione che i servizi sociali erano stati informati della situazione familiare della ricorrente, e all’osservazione che il suo caso era diverso da Yordanova e altri (citato sopra) (si veda il paragrafo 15 supra). Tale giudice non ha tenuto conto di tutti i fattori in grado di incidere sulla proporzionalità dell’ingerenza – indicati provvisoriamente, in modo non esaustivo, nelle sentenze Ivanova e Cherkezov (sopra citata, § 53) – né ha tentato di bilanciare l’interesse della ricorrente a continuare a vivere nell’edificio con i suoi figli contro le considerazioni che militavano a favore della sua demolizione (contrasto Pinnock e Walker c. Regno Unito (dec.), n. 31673/11, § 33, 24 settembre 2013). È vero che la ricorrente non ha approfondito la questione, ma sembra improbabile che, se lo avesse fatto, avrebbe indotto tale tribunale a impegnarsi in tale analisi, poiché secondo la giurisprudenza della Corte amministrativa suprema dell’epoca, tali questioni non avevano alcuna rilevanza sulla legittimità di un ordine di demolizione (si vedano le sentenze citate in Ivanova e Cherkezov, §§ 26-27, e in Aydarov e altri, § 42, entrambe sopra citate, e in contrasto, mutatis mutandis, Zrilić c. Croazia, n. 46726 /11, § 69, 3 ottobre 2013). Nel caso della ricorrente, alcuni di questi fattori – ad esempio, che l’edificio, in violazione del suo permesso, era utilizzato per scopi residenziali piuttosto che agricoli, che, non avendo un impianto elettrico, idrico e fognario, era molto probabilmente inadatto all’abitazione umana, e che era stato in parte eretto su un terreno appartenente a qualcun altro – hanno considerevolmente portato a concludere che l’ordine di demolizione dovesse essere accolto, in particolare perché l’edificio non poteva apparentemente essere reso conforme al pertinente regole di costruzione. Allo stesso tempo, le considerazioni relative al rischio che una famiglia formata da almeno quattro figli minorenni divenga di conseguenza senza dimora, potrebbero essere lette come un potente argomento a favore dell’affiancamento alla demolizione di misure volte ad alleviare adeguatamente il grave disagio che ne deriva – ad esempio, azioni reali da parte delle autorità sociali o di altro tipo intese a garantire che la richiedente ei suoi figli possano trovare prontamente una sistemazione alternativa adeguata, sia con i mezzi propri della richiedente, attraverso l’assistenza di altri, sia attraverso l’assistenza delle autorità. Il tribunale amministrativo di Plovdiv non sembra aver ricevuto informazioni complete su tutti questi punti quando ha deciso la causa del ricorrente, né ha cercato di chiarirli.

52. Né la richiedente potrebbe ottenere un esame della proporzionalità della demolizione alla luce delle sue circostanze specifiche in seguito, dopo l’esecuzione dell’ordine di demolizione. Come osservato nel paragrafo 37 supra, al momento pertinente una domanda di controllo giurisdizionale dell’esecuzione dell’ordinanza ai sensi dell’articolo 294 del codice di procedura amministrativa non avrebbe portato a tale esame. Né tale risultato avrebbe potuto essere ottenuto mediante una richiesta di dichiarazione giudiziaria ai sensi dell’articolo 292 di quel codice (si veda Ivanova e Cherkezov, § 59, e Aydarov e altri, §§ 42 in fine e 70, entrambi citati sopra).

53. Per il Governo, l’assenza di un adeguato esame delle circostanze individuali del ricorrente nel procedimento di controllo giurisdizionale era stata compensata dal modo de facto di procedere delle autorità nell’esecuzione dell’ordine di demolizione (si veda il paragrafo 45 supra). È vero che il ritardo nell’esecuzione dell’ordine e le concomitanti trattative e discussioni sulle possibilità di reinsediamento della ricorrente e dei suoi figli minori (si vedano i paragrafi da 17 a 23 sopra) suggeriscono che le autorità cercavano un approccio equilibrato alla situazione. È anche vero che la ricorrente sembra non essersi adeguatamente impegnata con loro in relazione a tale questione. Ma date le circostanze questo non può essere visto come decisivo. Per prima cosa, quei tentativi da parte delle autorità di trovare una soluzione al problema abitativo della ricorrente non hanno avuto luogo nell’ambito di una procedura formale che comportasse un esame completo della proporzionalità dell’ingerenza alla luce delle sue circostanze individuali (si veda, mutatis mutandis, Buckland c. Regno Unito, n° 40060/08, §§ 67-68, 18 settembre 2012; Yordanova e altri, sopra citata, § 136, e Ivanova e Cherkezov, sopra citata, § 60). Inoltre, non sembra che nel corso di tali discussioni le autorità abbiano offerto alla ricorrente una soluzione esauriente: la loro unica proposta definitiva sembra essere stata quella di collocare temporaneamente i suoi figli in un alloggio gestito dai servizi sociali (si vedano i paragrafi 20-21 supra). Il ritardo nell’esecuzione dell’ordine di demolizione, pur offrendo indubbiamente alla ricorrente una certa tregua, non portava di per sé ad alcuna soluzione adeguata al problema che si trovava ad affrontare.

54. C’è stata dunque una violazione dell’art. 8 della Convenzione.