Cass. pen., Sez. 1^, sentenza n. 18330/2023, udienza del 15 novembre 2022, ha trattato la questione degli effetti della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato presentata da un cittadino extracomunitario.
Il ricorrente, cittadino extracomunitario, è stato riconosciuto responsabile del reato di ingresso illegale nel territorio dello Stato, di cui all’art. 10-bis d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico sull’immigrazione).
La sua condanna – rileva il collegio di legittimità – è stata corretta non avendo l’interessato dimostrato il possesso di un titolo legittimante l’ingresso o soggiorno in Italia e non essendo stato neanche in grado di allegare alcuna documentazione al riguardo (Sez. 1 n. 1405 del 26/11/2019, dep. 2020, Rv. 277920; Sez. 1, n. 31998 del 17/05/2013, Rv. 256503).
Non risultava peraltro pendente al momento del controllo sulla regolarità della presenza del ricorrente nel territorio nazionale alcuna domanda di riconoscimento dello status di rifugiato di cui all’art. 10-bis, comma 6, d.lgs. 286/1998, sicché non sussisteva alcuna valida ragione per cui il giudice di pace avrebbe dovuto sospendere il processo.
Il collegio ha ritenuto invece fondato un ultimo motivo di ricorso, fondato dalla difesa sulla domanda di protezione speciale presentata dall’imputato.
Ha ricordato al riguardo che, in tema di disciplina penale dell’immigrazione clandestina, “la presentazione della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato di cui all’art. 10-bis, comma 6, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, costituisce una condizione di improcedibilità dell’azione penale, e non una anomala causa di sospensione del procedimento, non essendovi alcuna pregiudizialità tra il procedimento amministrativo attivato dall’istanza e la sussistenza del reato di ingresso illegale, sicché la sua sussistenza impone l’emissione, anche d’ufficio e in ogni stato e grado del processo, dei provvedimenti di cui all’art. 345 cod. proc. pen.” (Sez. 1, n. 27353 del 10/06/2021, Rv. 281633).
Nella stessa decisione è stato chiarito che l’art. 10-bis, comma 6, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, laddove stabilisce, con riguardo ai reati di ingresso e trattenimento illegale di cui al comma 1 del medesimo articolo, che “nel caso di presentazione di una domanda di protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, il procedimento è sospeso“, utilizza una espressione linguisticamente imprecisa e “si riferisce piuttosto a una condizione ‘negativa’ di procedibilità dell’azione penale, la cui ‘positiva’ presenza determina l’obbligo di assumere i provvedimenti di cui all’art. 345 cod. proc. pen., non potendosi limitare la possibilità del proscioglimento dell’imputato alla sola udienza preliminare“.
In tali casi, in ossequio all’obbligo d’immediata pronuncia di cause di proscioglimento previsto dall’art. 129 cod. proc. pen., la sentenza emessa sulla scorta di tale presupposto di fatto va annullata senza rinvio perché l’azione penale non poteva essere proposta e proseguita.
Nel caso in esame la difesa ha allegato al ricorso la sentenza della Corte d’appello con la quale è stato riconosciuto a il diritto al rilascio di un permesso ai sensi dell’art. 5, comma 6, d. lgs. n. 286 del 1998 con la dicitura «per protezione speciale».
Ebbene, fermo restando che il riconoscimento dello status di rifugiato è di competenza di un apposito organismo amministrativo, a cui il giudice penale non può sostituirsi (Sez. 1, n. 29491 del 27/06/2013, Rv. 256292), la circostanza che lo straniero abbia presentato istanza per il riconoscimento di detto status è di ostacolo al promovimento dell’azione penale, come risulta dalla previsione dell’art. 10-bis, comma 6, d.lgs. n. 286 del 1998, il quale stabilisce che “Nel caso di presentazione di una domanda di protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, il procedimento è sospeso. Acquisita la comunicazione del riconoscimento della protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, ovvero del rilascio del permesso di soggiorno nelle ipotesi di cui all’articolo 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, nonché nelle ipotesi di cui agli articoli 18, 18-bis, 20-bis, 22, comma 12-quater, 42-bis del presente testo unico e nelle ipotesi di cui all’articolo 10 della legge 7 aprile 2017, n. 47, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere“.
La presentazione della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato opera, quindi, alla stregua di una condizione di procedibilità, la cui efficacia è regolata dall’art. 345, comma 2, cod. proc. pen., sicché impedisce l’esercizio o la prosecuzione dell’azione penale e impone una pronuncia di proscioglimento, ferma restando la possibilità di riattivare il procedimento quando la domanda sia rifiutata.
Deve, quindi, rilevarsi che l’acquisita notizia dell’avvenuta presentazione della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, evenienza verificatasi in epoca certamente antecedente alla pronuncia della sentenza, impone di riscontrare in via del tutto preliminare la causa d’improcedibilità dell’azione penale prevista dall’art. 10-bis, comma 6, del d.lgs. n. 286/98.
E, del resto, come già detto. la Corte d’appello ha riconosciuto al ricorrente il diritto al rilascio di un permesso «per protezione speciale».
La sentenza impugnata è stata conseguentemente annullata senza rinvio perché l’azione penale non poteva essere proseguita ai sensi dell’art. 10-bis, comma 6, d. lgs. n. 28 del 1998.
