Diffamazione via Facebook: la libertà di espressione non comprende la denigrazione e le offese pretestuose (di Vincenzo Giglio)

Cass. pen., Sez. 5^, sentenza n. 18057/2023, udienza del 17 febbraio 2023, si inserisce nell’amplissimo filone delle decisioni attinenti al delitto di diffamazione compiuto attraverso esternazioni su piattaforme social (nel caso di specie Facebook).

Il ricorrente è stato riconosciuto responsabile di tale reato in entrambi i gradi di merito per avere postato all’interno di una pagina di gruppo un commento, rivolto ad una persona individuata specificamente, così concepito: “Ignorante libero …. sia personalmente che politicamente … la verità è che sei tutto cretino … non arrivi a capire perché sei ignorante libero …. si tu ca un maccarruni senza puttusu …. certe cazzate scrivile sul tuo sito …. non te la prendere …. porta pazienza ma si vede che ti hanno classificato nella categoria sciacqualattughe“.

Il suo difensore ha eccepito che tali espressioni non sono né offensive né violente e devono essere piuttosto considerate alla stregua di “espressioni dialettali usuali tra persone che sono in confidenza, come il ricorrente e la parte civile che, su Facebook avevano da tempo scontri verbali per ragioni politiche“.

È stato agevole per il collegio di legittimità argomentare nel senso che la decisione della Corte territoriale è perfettamente coerente con consolidati indirizzi interpretativi per i quali il limite della continenza nel diritto di critica è superato in caso di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato (Sez. 5, n. 320 del 14/10/2021, dep. 10/01/2022, Rv. 282871; Sez. 5, n. 15089 del 29/11/2019, Rv. 279084; Sez. 5, n. 15060 del 23/02/2011, Rv. 250174).

È stato inoltre rilevato che nel caso in esame, il contesto di contrasto politico appare del tutto genericamente evocato, e, in molti casi, del tutto escluso dalla sentenza impugnata, apparendo, quindi, le frasi e gli epiteti utilizzati non inquadrabili neanche in un contesto di contrapposizione politica, né di dileggio personale tra soggetti legati da vincoli di conoscenza, con conseguente piena integrazione della condotta di diffamazione.

Deve infatti ricordarsi che benché determinati epiteti, quali quelli utilizzati dall’imputato, siano entrati nel  linguaggio comune o rappresentino modalità verbali colloquiali, nondimeno la loro valenza offensiva non è stata vanificata dall’uso, ma semplicemente attenuata in riferimento, tuttavia, a contesti specifici – quali quelli di tipo colloquiale, personale, tra soggetti legati da vincoli di amicizia e simili -, dovendo ritenersi come la valenza denigratoria insita nel lemma lessicale si riespanda totalmente allorquando l’uso risulti del tutto gratuito, come verificatosi nel caso in esame.

E quindi no, non si può dire impunemente ad un altro, tanto meno su Facebook, che è un ignorante libero (verosimilmente nel senso di senza freni alla sua ignoranza), che è tutto cretino (non parzialmente, proprio tutto), che è un maccarruni senza puttusu (nel senso di una cosa malriuscita), che scrive cazzate (senza neanche specificare quali) e che appartiene alla categoria degli sciacqualattughe (nel senso di essere dedito a mansioni e scopi futili).