Gian Domenico Pisapia: la “parola” di un avvocato.
Una storia quasi dimenticata che merita di essere ricordata.
Siamo nel 1967, Milano, Piazzale Lotto, sono le 1 e 45 di notte, tra il 9 e il 10 febbraio.
Quella notte si consuma uno di quei casi che è passato alla storia della giurisprudenza meneghina e possiamo dirlo d’Italia.
Nel box di un distributore di benzina lottano due uomini, si odono due colpi di pistola.
C’è stata una rapina. Bottino: novemila lire.
Un uomo esce e se ne va, l’altro resta a terra: morto.
Innocenzo Prezzavento – l’addetto al distributore, padre di quattro figli – ha perso la vita, ma resta una domanda: chi lo ha ucciso?
La vicenda è su tutti i giornali, le forze dell’ordine gareggiano tra loro per individuare il colpevole.
Dopo 40 giorni di investigazioni e interrogatori viene arrestato un uomo sulla base della descrizione del testimone Italo Rovelli: un biondino di un metro e ottanta, porta il ciuffo, indossa un cappotto marrone e ha una borsa a mano.
L’uomo che sembra corrispondere a questa descrizione è Pasquale Virgilio.
Pasquale è l’assassino ideale: alle spalle ha già due precedenti altre varie vicende giudiziarie … in cui era già stato descritto come un soggetto “di fervida fantasia e non sempre consapevole.”
A nulla è servita la testimonianza della madre di fronte al giudice: “Abbiamo cenato poi è andato di là, io sono andata a letto a mezzanotte e mio figlio ero a letto che dormiva e quando mi alzavo alle 6 per fare la colazione a mio marito che doveva andare a lavoro, mio figlio era casa per dormire”.
Pasquale – portato in caserma – viene torturato per ore e finisce per confessare, all’epoca non era prevista la presenza del difensore.
Dopo la confessione davanti ai carabinieri viene portato davanti al giudice e ritratta tutto dicendo di essere stato picchiato e costretto alla confessione.
Da quel momento il suo lamento d’innocenza non ha orecchi che l’ascoltino.
Pasquale Virgilio trascorrerà 3 anni nel carcere di San Vittore e la sua vita rimarrà sospesa tra colpevolezza e innocenza, con l’ombra di un ergastolo che non riesce a farlo dormire.
Il processo sembra andar delineando sempre più chiaramente una condanna, siamo alle battute finali e poco prima dell’ultima udienza arriva un telegramma all’attenzione del Presidente della Corte d’assise, le poche righe contenute cambieranno il corso degli eventi che sembrano già scritti.
“Prego sospendere il processo e attendere mio arrivo a Milano. Chiedo di essere ascoltato onde evitare un errore giudiziario”, è l’Avvocato Gian Domenico Pisapia.
L’Avvocato Pisapia chiese di essere ricevuto, ed affermò di fronte al giudice che Pasquale non poteva essere l’assassino del benzinaio, in quanto egli stesso nei giorni precedenti aveva ricevuto un cliente in visita che gli aveva rivelato fatti e circostanze dell’omicidio in Piazzale Lotto.
Alla domanda “Ma allora chi è l’assassino?” Pisapia non diede risposta: lo vincolava il segreto professionale. Ma la necessità di evitare la condanna di un innocente, lo spinse a farsi avanti.
Il principio che governa la sentenza penale è quello del libero convincimento del giudice, dovendo formare la propria opinione su ciò che accade in aula… ma in questo caso accadde l’incredibile.
Le conclusioni della pubblica accusa furono: assoluzione per assenza di prove. Pasquale Virgilio fu assolto.
Oggi andrebbe così?
Basterebbe la parola di un avvocato per salvare un uomo dal carcere a vita?
Diciamo che Pasquale Virgilio, nella disgrazia, può vantarsi di aver vinto un terno secco. Pensate che cosa gli sarebbe accaduto se, invece del prof. Pisapia, fosse andato a testimoniare in Corte d’Assise a Milano un qualsiasi Pinco Pallo o Francesco Columella.
Il minimo che poteva capitare era che Pasquale Virgilio si prendeva l’ergastolo e il testimone sarebbe stato arrestato in aula per falsa testimonianza e mandato in galera. Per la cronaca i colpevoli vennero individuati nel 1971 ed erano due ragazzi dei N.A.R.
