Nomine direttive in magistratura: sbagliato ottenerle magnificando se stessi e denigrando i concorrenti (di Vincenzo Giglio)

“Mai parlare male di voi stessi.

Penseranno i vostri amici ad affrontare a sufficienza l’argomento”

de Talleyrand

Le Sezioni unite civili della Corte di cassazione hanno depositato in questi giorni la sentenza n. 11305/2023, emessa in esito all’udienza del 21 febbraio 2023 (allegata alla fine del post in forma debitamente anonimizzata).

La decisione nasce dal ricorso di una appartenente all’ordine giudiziario avverso una sentenza della Sezione disciplinare del CSM che le aveva applicato la sanzione della censura per “avere tenuto, in violazione del dovere di correttezza ed equilibrio, un comportamento gravemente scorretto nei confronti dei magistrati che avevano presentato domanda per il conferimento dell’ufficio semidirettivo di presidente di sezione del Tribunale (omissis) al quale ella stessa concorreva, prospettando al dott. (omissis) la strategia da seguire al fine di prevalere sulla dott. (omissis) e sul dott. (omissis) consistente nella reiterata denigrazione di questi ultimi e nella rappresentazione di meriti professionali e titoli preferenziali superiori a quelli dei concorrenti“.

Le Sezioni unite civili hanno rigettato il ricorso, rendendo definitiva la decisione della Sezione disciplinare.

Le questioni giuridiche risolte dalla sentenza

…Utilizzabilità dei messaggi

La prima questione posta all’attenzione delle Sezioni unite riguarda la fonte conoscitiva utilizzata dalla Sezione disciplinare nel procedimento a carico della ricorrente.

Essa consisteva in una serie di messaggi scambiati via WhatsApp tra l’incolpata e il dott. (omissis), all’epoca dei fatti componente del Consiglio superiore della magistratura e, in seno a questo, della commissione competente per le nomine ad uffici direttivi e semidirettivi.

Tali messaggi erano stati acquisiti a seguito del sequestro del telefono cellulare di quest’ultimo nell’ambito di un procedimento penale in cui era indagato e poi trasmessi all’autorità competente per il procedimento disciplinare.

La ricorrente ha eccepito la loro inutilizzabilità sotto vari profili.

Le Sezioni unite non hanno accolto il motivo, osservando che la messaggistica in esame ha natura di prova documentale e, non rientrando quindi nella nozione di corrispondenza, non le si applica la disciplina delle intercettazioni.

Più in generale, hanno ricordato che le regole del codice del rito penale si applicano nel procedimento disciplinare solo in quanto compatibili con la specialità di quest’ultimo il quale risponde all’esigenza di assicurare la massima efficacia dell’azione di accertamento e repressione degli illeciti disciplinari dei magistrati ed implica conseguentemente che le garanzie dell’incolpato siano minori di quelle riservate all’indagato/imputato.

Un effetto di tale distinzione è che, contrariamente alla tesi della ricorrente, gli scambi di messaggistica ai quali ha preso parte, sono utilizzabili in sede disciplinare anche se non valorizzati nella sede penale.

…Significato dell’interlocuzione tra la ricorrente ed il collega componente del CSM

La ricorrente ha negato di avere perseguito una strategia di discredito e denigrazione nei confronti dei candidati concorrenti al medesimo posto cui ambiva.

Assume infatti di essersi limitata a promuovere la propria candidatura e, per il resto, di essersi limitata a reagire, sia pure in modo veemente, alla condotta di una sua concorrente che aveva posto all’attenzione del CSM l’esistenza di suoi lontani rapporti di parentela con persone implicate in relazioni mafiose.

Le Sezioni unite civili hanno replicato che “La ricorrente sembra non cogliere che l’esistenza di pregressi rapporti di conoscenza tra un magistrato e un componente del CSM, ancor più se tale magistrato è membro o, come nella specie, presidente della commissione chiamata a valutare sul conferimento degli incarichi direttivi o semidirettivi, non fa venire meno il dovere del magistrato di astenersi dall’avere contatti riservati con lo stesso in merito all’incarico cui è interessato” per poi ricordare che la ricorrente non si è limitata a caldeggiare la propria candidatura ma ha anche inteso svalutare il profilo professionale della concorrente.

Nel prosieguo della decisione, le Sezioni unite hanno respinto in modo puntuale e rigoroso tutti gli altri motivi tra i quali meritano di essere segnalati quelli attinenti all’asserita mancanza di prova dell’elemento psicologico dell’illecito e all’altrettanto asserita scarsa rilevanza del fatto.

Il commento

La decisione delle Sezioni unite civili pare ineccepibile sotto ogni profilo, non solo nella parte strettamente in diritto, ma anche e soprattutto nella considerazione rigorosa di condotte che hanno concorso troppe volte ad alterare il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, facendo sì che la logica dell’appartenenza diventasse un criterio selettivo più efficace del merito.