La giurisprudenza creativa in parole semplici (di Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

Uno dei nostri lettori ha commentato un post di Terzultima Fermata e ha detto che non ne ha compreso il contenuto.

Dobbiamo ringraziarlo: sebbene dispiaciuti per il nostro fallimento, la sua opinione ci ha imposto un bagno di umiltà (non scriviamo così bene e chiaro come pensiamo, non siamo diversi dai tanti che, nel diritto e altrove, riescono a complicare anche i concetti più semplici).

Proviamo allora a cambiare registro.

Lo facciamo scrivendo di una cosa semplice: la giurisprudenza creativa.

Fermiamo sul nascere gli automatismi propri dei giuristi e la definiamo così: è quando il giudice applica regole che non ci sono oppure non applica regole che ci sono; è quando il giudice fa quello che spetta al Parlamento; insomma, è quando il giudice, come si dice oggi, fa il fenomeno.

Ora che abbiamo detto cos’è, ci serve qualche esempio per dimostrare che c’è.

Un buon punto di partenza è il furto in abitazione previsto dall’art. 624-bis, comma 1, cod. pen.

La norma è scritta così: “Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa, è punito con la reclusione da quattro a sette anni e con la multa da euro 927 a euro 1.500“.

L’espressione chiave è “privata dimora” che, nel linguaggio comune, significa un luogo in cui qualcuno svolge attività proprie della sua vita privata e nel quale altre persone non possono accedere senza il suo consenso.

Eppure, a dispetto del significato comune, la Corte di cassazione non ha esitato a considerare private dimore anche una farmacia durante l’orario di apertura (Sez. 4, 37908/2009), il ripostiglio di un esercizio commerciale (Sez. 5, 22725/2010), l’interno di un bar (Sez. 5, 30957/2010) o uno studio odontoiatrico (Sez. 5, 10187/2011). La casistica era stata allargata in modo così esagerato da rendere indispensabile un intervento delle Sezioni unite (Sez. unite, sentenza n. 313455/2017).

Un altro esempio significativo riguarda il reato di sostituzione di persona, previsto dall’art. 494 cod. pen. la cui fattispecie è così descritta: “Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno“.

Come ricorda D. Micheletti, nel suo brillante scritto Jus contra lex. Un campionario dell’incontenibile avversione del giudice penale per la legalità, in DisCrimen, 4 settembre 2018 (consultabile a questo link), tutto ci si aspetterebbe tranne che questa fattispecie venga fatta indossare a forza al “marito fedifrago che si finge divorziato per carpire nuove conquiste“. E invece no, per la Cassazione (Sez. 5, n. 34800/2016) “Non è quella scontata ‘bugia da balera’ cui ricorrono da decenni torme di cinquantenni impenitenti, ma una vera e propria sostituzione di persona” che utilizza come dolo di profitto l’avventura extraconiugale.

L’elenco potrebbe continuare a lungo ma per un post come questo bastano gli esempi fatti.

Se poi si abbandona l’ambito del penale sostanziale e ci si avventura in quello del penale processuale, la casistica è altrettanto ampia.

Nell’impossibilità anche per questa parte di elencare la miriade di fenomeni creativi che emergono nella prassi, ci serviamo di un solo ma gigantesco esempio.

Ci riferiamo all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. secondo il quale “La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate“.

Con questa norma il legislatore manda un messaggio che più chiaro non si può: i giudici possono mandare in galera la gente solo se nessuna delle tante misure meno gravi previste dal codice di procedura penale basta a soddisfare le esigenze cautelari che si manifestano nel caso specifico.

Eppure ogni tre misure cautelari emesse dai giudici italiani una è di tipo carcerario.

A noi pare un’imponente operazione creativa.

Finiamo qui, sperando di essere stati chiari quanto basta perchè chiunque segua il blog non abbia difficoltà a comprendere quello che abbiamo inteso dire.

Se non fosse così, faremo nuovamente ammenda e intensificheremo i nostri forzi.