La dichiarazione di latitanza e le differenze con l’irreperibilità (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 3 con la sentenza numero 10733/2023 ha stabilito che in tema di dichiarazione di latitanza, l’accertamento della volontarietà dell’imputato di sottrarsi alle ricerche, che costituisce presupposto necessario del relativo decreto, può fondarsi anche su presunzioni, purché le stesse abbiano una base fattuale idonea a dimostrare tale volontà, tenuto anche conto delle concrete abitudini di vita del ricercato.

Fattispecie relativa a dichiarazione di latitanza di imputato straniero, emessa all’esito di ricerche eseguite presso la sola abitazione di un familiare dimorante in Italia a non estesa al paese di origine, in cui la cassazione ha ritenuto la decisione esente da censure sul rilievo che non vi fossero elementi obiettivi per ritenere che il predetto risiedesse o dimorasse all’estero e la ricorrenza, per converso, di elementi indicativi della volontà del ricercato di sottrarsi alla cattura, costituiti dall’improvvisa interruzione dei rapporti con i correi dopo l’arresto di uno di essi.

Ai fini della legittimità della dichiarazione di latitanza, si deve fare riferimento ai principi affermati dalla consolidata elaborazione della giurisprudenza di legittimità, innanzitutto, la giurisprudenza delle Sezioni Unite ha precisato che, ai fini della dichiarazione di latitanza, tenuto conto delle differenze che non rendono compatibili tale condizione con quella della irreperibilità, le ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 295 cod. proc. pen. – pur dovendo essere tali da risultare esaustive al duplice scopo di consentire al giudice di valutare l’impossibilità di procedere alla esecuzione della misura per il mancato rintraccio dell’imputato e la volontaria sottrazione di quest’ultimo alla esecuzione della misura emessa nei suoi confronti – non devono necessariamente comprendere quelle nei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione di irreperibilità e, di conseguenza, neanche le ricerche all’estero quando ricorrano le condizioni previste dall’art. 169, comma 4, dello stesso codice (così Sez. U, n. 18822 del 27/03/2014, Avram, Rv. 258792-01, nonché Sez. 5, n. 5583 del 28/10/2014, dep. 2015, Rv. 262227-01, e Sez. 6, n. 31285 del 23/03/2017, Rv. 270569-01).

Inoltre, secondo insegnamento costante, in tema di dichiarazione di latitanza, ai fini dell’accertamento della volontarietà della sottrazione al provvedimento restrittivo, non occorre dimostrare che l’interessato era a conoscenza dell’avvenuta emissione a suo carico di tale provvedimento essendo sufficiente che si sia posto in condizione di irreperibilità sapendo che un ordine o un mandato poteva essere emesso nei suoi confronti, evenienza che, una volta positivamente apprezzata con provvedimento del giudice, legittima l’esecuzione delle notificazioni mediante consegna al difensore (così, tra le tantissime, Sez. 2, n. 47852 del 23/09/2016, Rv. 268174-01, e Sez. 5, n. 19891 del 30/01/2014, A., Rv. 259839-01).

In tema di dichiarazione di latitanza, l’accertamento della volontarietà dell’imputato di sottrarsi alle ricerche, che costituisce presupposto necessario del relativo decreto, può fondarsi anche su presunzioni, purché le stesse risultino poggiate su una base fattuale idonea a dimostrare tale volontà, tenuto anche conto delle concrete abitudini di vita del ricercato (Sez. 5, n. 54189 del 20/10/2016, Rv. 268827-01).