Diffamazione a mezzo stampa: doveri e cautele del giornalista che riporti altrui dichiarazioni pregiudizievoli per la reputazione di terzi (di Vincenzo Giglio)

Cass. pen., Sez. 1^, sentenza n. 17495/2023, udienza del 29 novembre 2022, chiarisce le cautele cui è tenuto un giornalista che intervisti una persona la quale renda dichiarazioni in grado di pregiudicare la reputazione di terzi soggetti.

Il collegio richiama in premessa il complesso degli indirizzi interpretativi nazionali e sovranazionali formatisi nel tempo attorno alle condizioni di operatività della scriminante del diritto di cronaca e critica.

Sono quindi citate le decisioni di legittimità che hanno messo a fuoco l’obbligo del rispetto dei parametri della verità, della continenza e della rilevanza pubblica (tra le tante, Sezioni unite, n. 4950 del 26/3/1983, Narducci, Rv. 159139) e riconosciuto il favore ordinamentale e della giurisprudenza nazionale e sovranazionale per il libero esercizio dell’attività giornalistica, fondamentale per lo sviluppo della dialettica democratica e per la formazione delle opinioni sui temi di interesse sociale (Corte Cost. n. 11 del 1968; nn. 81 ed 84 del 1969; n. 126 del 1985; n. 206 del 2019 e n. 132 del 2020; Sez. U, n. 37140 del 30/5/2001, Galiero, Rv. 219651; Corte EDU, 27/3/1996, Goodwin contro Regno Unito).

Viene poi in rilievo un’importante decisione delle Sezioni unite penali (Sez. U, n. 37140 del 30/5/2001, Galiero, Rv. 219651): vi si è chiarito che la condotta del giornalista il quale, pubblicando il testo di un’intervista, vi riporti pedissequamente le dichiarazioni del soggetto intervistato di contenuto oggettivamente lesivo dell’altrui reputazione, non è scriminata dall’esercizio del diritto di cronaca, poiché chi intervista ha comunque il dovere di controllare la veridicità delle circostanze e la continenza delle espressioni riferite; vi si è al tempo stesso precisato che la stessa condotta deve ritenersi scriminata qualora il fatto in sé dell’intervista, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione e al più generale contesto in cui le dichiarazioni sono rese, presenti profili di interesse pubblico all’informazione tali da prevalere sulla posizione soggettiva del singolo e da giustificare l’esercizio del diritto di cronaca.

Per le Sezioni unite, dunque, rileva prioritariamente il criterio dell’interesse del pubblico a essere informato delle opinioni espresse da un personaggio noto e quindi qualificato, indipendentemente dalla verità oggettiva dei fatti da questo narrati e dalla correttezza delle espressioni usate, pur con la precisazione che la verifica sulle qualità dell’intervistato deve essere condotta in concreto, e non sulla base di astratte formule giuridiche, poiché alla scriminante del diritto di cronaca non può attribuirsi una natura statica e immutabile, bensì una struttura dinamica e flessibile, adattabile di volta in volta a realtà diverse.

Ulteriori specificazioni sono state apportate da Sez. 5^, n. 28502 del 11/04/2013, Rv. 256935, per la quale la notorietà può riguardare ambiti di valenza più ristretti di quello primario nazionale e l’esimente del diritto  di cronaca ed il connesso interesse pubblico possono derivare non soltanto dalla fama o dall’autorevolezza di questi, ma anche dalla notorietà della persona offesa dall’intervista.

Di norma, quindi, l’esimente medesima può essere invocata solo a condizione che il giornalista, nel riportare in un articolo di stampa anche solo testualmente le dichiarazioni raccolte nel corso di un’intervista, verifichi, prima della loro pubblicazione e nei limiti in cui ciò sia esigibile nei suoi confronti, la veridicità dei fatti riferitigli dall’intervistato.

È tuttavia ugualmente consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio per cui la tutela della reputazione della persona offesa nei confronti della stampa appare recessiva laddove l’interesse del pubblico ad essere informato è costituito proprio dal fatto che un particolare soggetto abbia reso quelle dichiarazioni (così, più specificamente, Sez. 5^, n. 29128 del 2020). In tali casi, è l’intervista che deve risultare vera e la verifica di “continenza” va approntata rispetto alla forma in cui viene proposta al pubblico e non avuto riguardo al suo contenuto, sicché il giornalista risponderà solo degli eventuali commenti o precisazioni apportate a quanto riferito dall’intervistato ovvero, qualora ciò non venga riportato testualmente, della sintesi o parafrasi autonomamente compiuta o, ancora, nel caso in cui dalla suggestività delle domande o da altri indici e dal contesto possa ritenersi che l’autore dell’articolo non si sia limitato a ricevere le dichiarazioni dell’intervistato, ma ne sia in qualche modo l’occulto coautore.

Questa evoluzione interpretativa – ricorda il collegio della prima sezione penale – è perfettamente allineata alla giurisprudenza della Corte EDU la quale, operando in sede interpretativa dell’art. 10 della Convenzione, ha rammentato che «quando i giornalisti riprendono delle dichiarazioni fatte da una terza persona, il criterio da applicare consiste nel chiedersi non se tali giornalisti possano dimostrare la veridicità delle dichiarazioni in questione, ma se abbiano agito in buona fede e si siano conformati all’obbligo che normalmente hanno di verificare una dichiarazione fattuale fondandosi su una base reale sufficientemente precisa e affidabile che possa essere considerata proporzionata alla natura e alla forza di quanto affermano, sapendo che più l’affermazione è seria, più la base fattuale deve essere solida» (Corte EDU, Magosso e Brindani c. Italia del 16/1/2020).

In conclusione, il giornalista può beneficiare dell’esimente del diritto di cronaca con riferimento al contenuto delle dichiarazioni ingiuriose o diffamatorie a lui rilasciate, se riportate fedelmente e in modo imparziale, senza commenti e chiose capziose a margine – tali da renderlo dissimulato coautore – e sempre che l’intervista presenti profili di interesse pubblico all’informazione, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti (dunque dell’intervistato, ma anche della persona offesa dalla diffamazione), al suo oggetto e al contesto delle dichiarazioni rilasciate (Sez. 5, n. 16959 del 21/11/2019, dep. 2020, Rv. 279203) e che risponde secondo gli ordinari parametri di valutazione per i commenti e le espressioni, poste a latere o a margine dell’intervista, che non si limitino a riassumerne il contenuto o a commentarlo, ma che riportino fatti o opinioni diversi o anche antagonisti rispetto al contenuto delle dichiarazioni rilasciate (Sez. 5, n. 51235 del 9/10/2019, Rv. 278299). Questo perché, se il compito del giornalista è quello di riportare fedelmente – in funzione di una completa informazione – il pensiero e il giudizio del soggetto “autorevole”, pur se lesivo dell’altrui reputazione, l’intervistatore non deve amplificare, in assenza di un rigoroso accertamento della verità del narrato, il contenuto lesivo dell’informazione, aggiungendo la propria voce a quella dell’intervistato e trasformandosi, così, in simulato diffamatore.