Prescrizione maturata dopo la decisione impugnata e ammissibilità del ricorso: i chiarimenti della Cassazione sulle sentenze di condanna per reati in  continuazione (di Vincenzo Giglio)

Cass. pen., Sez. 2^, sentenza n. 16022/2023, udienza del 22 marzo 2023, ha affrontato il tema dell’ammissibilità del ricorso come condizione necessaria per dichiarare la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata per cassazione.

Nel caso di specie si dibatteva anzitutto di un’imputazione per il reato di truffa contestato come commesso “dal febbraio 2014 al maggio 2014“.

La Corte territoriale si è attenuta al principio di favore per il quale, ove vi sia dubbio sulla data di decorrenza del termine di prescrizione, il momento iniziale va fissato in modo che risulti più favorevole all’imputato (Sez. 2, n. 44322 del 15/10/2021, Rv. 282307; Sez. 3, n. 20795 del 18/03/2021, Rv. 281343; Sez. 3, n. 4138 del 13/12/2017, dep. 2018, Rv. 272076; Sez. 3, n. 46467 del 16/06/2017, V., Rv. 271146; Sez. 2, n. 31946 del 09/06/2016, omissis, Rv. 267480).

Ha quindi correttamente individuato nell’1° maggio 2014 la data di inizio della decorrenza della prescrizione.

La stessa Corte, tuttavia, fissata correttamente la data di inizio e di maturazione della prescrizione, non l’ha poi rilevata, verosimilmente avendo considerato il vigente disposto dell’art. 158, comma 1, c.p. (“Il termine della prescrizione decorre (…), per il reato permanente o continuato, dal giorno in cui è cessata la permanenza o la continuazione“), applicabile, tuttavia, per espressa disposizione normativa (L. 9 gennaio 2019, n. 3, art. 1) a decorrere dall’1° gennaio 2020, mentre nella precedente disposizione, per effetto della modifica operata dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, le parole “o continuato” e “o la continuazione” non erano più indicate.

Tale errore ha causato un errore di calcolo, eliminato il quale il reato di truffa risultava prescritto già al tempo della decisione di secondo grado.

Al ricorrente era stato inoltre contestato il reato di minaccia grave, consumato nel “giugno 2014” (e quindi, ai fini della prescrizione, l’1° giugno 2014 per lo stesso principio ricordato in precedenza) sicché il tempo necessario a prescrivere è maturato il 4 febbraio 2022, come indicato anche dal in ricorso.

La difesa, tuttavia, ha valorizzato la data di deposito della motivazione, avvenuto il 25 febbraio 2022, con una deduzione che però contrasta con il diritto vivente.

È consolidato infatti l’orientamento interpretativo per il quale, ai fini del computo della eventuale prescrizione, deve essere preso in considerazione il momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna, anche nel caso in cui non sia data contestuale lettura della motivazione, e non quello successivo del deposito della sentenza stessa, stanti le diverse finalità della pubblicazione (art. 545 c.p.p.) e del deposito (art. 548 c.p.p.) della sentenza. La prima, che garantisce l’immediatezza della deliberazione stabilita dall’art. 525 c.p.p., conclude la fase della deliberazione in camera di consiglio e consacra, attraverso il dispositivo redatto e sottoscritto dal presidente, la decisione definitiva non più modificabile in relazione alla pretesa punitiva; il secondo serve a mettere l’atto, contenente l’esposizione dei motivi di fatto e di diritto sui quali la decisione stessa è fondata, a disposizione delle parti e segna i tempi della impugnazione in determinati casi (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Rv. 277593; Sez. 1, n. 20432 del 27/01/2015, Rv. 263365; Sez. 7, n. 38143 del 13/02/2014, Rv. 262615; Sez. 3, n. 18046 del 09/02/2011, Rv. 250328).

Tuttavia, essendo il tempo necessario a prescrivere ad oggi decorso, ai sensi dell’art. 129 c.p.p. va rilevata anche in sede di legittimità la causa estintiva del reato, stante l’ammissibilità (e fondatezza) del ricorso.

Non è infatti applicabile nella fattispecie il principio enunciato dalle Sezioni unite, secondo il quale, in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (Sez. unite, sentenza n. 6903 del 27/5/2016, dep. 2017, Rv. 268966).

Tale principio, infatti, può trovare applicazione solo nei casi in cui il ricorso sia ritenuto inammissibile in relazione al capo avente ad oggetto il reato considerato dai giudici di merito come il più grave, per il quale sia determinata la pena base. Solo in tale ipotesi, infatti, l’ammissibilità del ricorso riguardante altri reati non precluderà la definitività delle statuizioni dei giudici di merito relative al reato più grave.

Diverso è il caso – come quello in esame – in cui l’ammissibilità (e fondatezza) del ricorso investa il capo relativo al reato più grave, cui siano avvinti dal vincolo della continuazione uno o più reati rispetto ai quali il ricorso sarebbe inammissibile.

Infatti, l’annullamento della sentenza in relazione al reato più grave e alla pena per esso determinata “si ripercuote necessariamente sugli aumenti disposti in relazione ai reati-satellite: la pena inflitta per i reati satellite dipende infatti dalla pena-base in relazione alla quale (tra l’altro) viene parametrata.

L’instaurazione del rapporto processuale correlata all’ammissibilità dell’impugnazione per il reato più grave impone di ritenere “aperto” il rapporto processuale – in punto pena – anche relativamente ai reati satellite: tale situazione processuale impedisce il passaggio in giudicato dell’accertamento di responsabilità in relazione a tutti i reati unificati; pertanto se, nelle more della definizione dell’impugnazione, decorre il termine di prescrizione per uno di essi ne deve essere dichiarata l’estinzione” (così, di recente, Sez. 2^, n. 36376 del 23/06/2021, Rv. 282015-04).

Il collegio di legittimità sceglie dunque di condividere il principio espresso nella pronuncia della stessa seconda sezione penale, cui da ultimo si è contrapposta una sentenza della sesta sezione (Sez. 6^, n. 20525 del 13/04/2022, Rv. 283269-01), secondo la quale detto orientamento erroneamente limita l’applicazione del “principio affermato dalle Sezioni unite ai soli casi di reati autonomi giudicati nello stesso procedimento, senza considerare che la fattispecie sulla quale si è espressa la sentenza “A.” riguardava proprio un caso di reato continuato. Il principio in esame, del resto, risulta pienamente conforme a quello secondo cui la continuazione tra reati introduce una disciplina di favore esclusivamente sul piano sanzionatorio, senza che le singole fattispecie perdano la loro autonomia. Sul piano processuale, tale affermazione si traduce inevitabilmente nella possibilità di poter valutare l’ammissibilità dei motivi di ricorso con riguardo a ciascun reato, a prescindere dall’eventuale continuazione ritenuta tra i medesimi“.

Invero, la censura della pronuncia della seconda sezione potrebbe trovare spiegazione nella formulazione della massima, nel quale la fondamentale distinzione di cui sopra non è ben evidenziata: “Nel caso di ricorso per cassazione avverso una sentenza di condanna relativa a più reati unificati dal vincolo della continuazione, l’intervenuta prescrizione di uno di essi deve essere dichiarata anche se i motivi di ricorso riferiti a tale reato siano inammissibili. (La Corte ha precisato che i reati unificati con il vincolo della continuazione, diversamente dai capi di imputazione autonomi, hanno sorte processuale comune, non potendosi il relativo capo ritenersi definitivo se la pena è ancora in discussione, poiché irrogata in relazione alla ritenuta continuazione)“.

Nel caso esaminato dalla sesta sezione il ricorso, quanto al capo riguardante il capo più grave, era inammissibile, cosicché l’annullamento della sentenza in relazione al capo del reato satellite correttamente è stato ritenuto irrilevante, proprio perché non solo l’accertamento di responsabilità ma anche la determinazione della pena erano divenute per il primo definitive, con la formazione del giudicato parziale.

Può poi ipotizzarsi una terza ipotesi, nella quale l’impugnazione del capo relativo al reato più grave sia ammissibile, ma non debba essere accolta in quanto proposta con motivi infondati (ma non manifestamente infondati). Se al momento della decisione della Corte di legittimità non è maturata la prescrizione per detto reato, la sopravvenuta causa estintiva per quelli satellite non avrà effetto e quindi troverà piena applicazione il principio affermato nella sentenza A.

Va enunciato, pertanto, il seguente principio di diritto:

in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato avvinti dal vincolo della continuazione, l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati non determina l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, rimanendo così preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello, a condizione che all’impugnazione ritenuta ammissibile per il reato per il quale è stata determinata la pena base, in quanto ritenuto il più grave, non sia conseguito un annullamento del relativo capo“.