La cassazione sezione 3 con la sentenza numero 5234/2023 ha stabilito che non determina nullità o inutilizzabilità della prova la violazione del divieto di porre domande suggestive (o nocive) di cui all’art. 499 c.p.p. e l’inosservanza dei criteri dettati dalla cosiddetta “Carta di Noto” (allegata alla fine del post) nella conduzione dell’esame dei minori, persone offese di reati di natura sessuale, che hanno carattere non tassativo, in quanto si limitano a fornire suggerimenti volti a garantire l’attendibilità delle dichiarazioni del minore e la protezione psicologica dello stesso
La Suprema Corte premette che in termini generali va ribadito che il divieto di porre domande suggestive, che l’art. 499 c.p.p., comma 3, vieta “nell’esame condotto dalla parte che ha chiesto la citazione del testimone e di quella che ha un interesse comune“:
a) non opera con riguardo al giudice, il quale, agendo in una ottica di terzietà (e non essendo “parte” che conduce l’esame), può rivolgere al testimone tutte le domande ritenute utili a fornire un contributo per l’accertamento della verità, ad esclusione di quelle nocive, che possono, cioè, nuocere alla sincerità delle risposte (Sez. 6, n. 8307 del 13/01/2021, Rv. 280710 – 01; Sez. 1, n. 44223 del 17/09/2014, Rv. 260899 – 01; Sez. 3, n. 27068 del 20/05/2008, Rv. 240261 – 01; Sez. 3, n. 21627 del 15/04/2015, Rv. 263790 – 01);
b) la violazione del divieto deve essere eccepita al giudice innanzi al quale si forma la prova, essendo rimessa al giudice dei successivi gradi di giudizio soltanto la valutazione in ordine alla motivazione del provvedimento di accoglimento o di rigetto della eccezione stessa sicché non può essere eccepita per la prima volta con i motivi di impugnazione l’inutilizzabilità dell’atto assunto in violazione dell’art. 499 c.p.p. (Sez. 5, n. 27159 del 02/05/2018, Rv. 273233 – 01; Sez. 6, n. 13791 del 10/03/2011, Rv. 249890 – 01; Sez. 3, n. 47084 del 23/10/2008, Rv. 242255 – 01; Sez. 1, n. 22204 del 31/05/2005, Rv. 232385 – 01);
c) ne consegue che, in caso di assunzione della prova mediante incidente probatorio, l’eccezione deve essere proposta immediatamente dinanzi al giudice che procede all’incombente istruttorio e non a quello della “plena cognitio” (Sez. 1, n. 22204 del 31/05/2005, Rv. 232385 – 01);
d) la violazione del divieto di porre domande suggestive non dà luogo né alla sanzione di inutilizzabilità prevista dall’art. 191 c.p.p., né a quella di nullità, atteso che l’inosservanza delle disposizioni fissate dall’art. 498 c.p.p., comma 1, e art. 499 c.p.p. non determina né l’assunzione di prove in violazione dei divieti di legge, né la inosservanza di alcuna delle previsioni dettate dall’art. 178 c.p.p. (Sez. 3, n. Sez. 1, n. 13387 del 16/05/2012, dep. 2014, Rv. 259728 01; Sez. 1, n. 39996 del 14/07/2005, Rv. 232941 – 01).
Escluso, dunque, ogni profilo di inutilizzabilità della prova dichiarativa resa in sede di incidente probatorio, viene ribadito il costante insegnamento della cassazione secondo il quale la violazione del divieto di porre domande suggestive (o nocive) di cui all’art. 499 c.p.p., in mancanza di una sanzione processuale, rileva soltanto sul piano della valutazione della genuinità della prova, che può risultare compromessa esclusivamente se inficia l’intera dichiarazione e non semplicemente la singola risposta fornita, ben potendo il giudizio di piena attendibilità del teste essere fondato sulle risposte alle altre domande (Sez. 3, n. 36413 del 09/05/2019, Rv. 276682 – 01; Sez. 3, n. 42568 del 25/06/2019, Rv. 277988 – 01; Sez. 3, n. 4672 del 22/10/2014, dep. 2015, Rv. 262468 – 01).
Non esiste, pertanto, alcuna corrispondenza biunivoca tra numero di domande suggestive (o nocive) e inattendibilità della prova dichiarativa, sicché la deduzione per la quale alla minore erano state rivolte non meno di 361 domande suggestive (505, secondo il N.) non coglie affatto nel segno riguardando solo l’aspetto statico”/strutturale della prova, non anche l’elemento dinamico/funzionale della prova stessa, il “risultato”, cioè, del quale il giudice deve dare conto insieme con l’indicazione dei criteri adottati per la valutazione della prova (art. 192 c.p.p., comma 1, art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e).
L’attenzione, dunque, va focalizzata non solo sulle domande, ma anche sulle risposte date (il risultato) e capire come esse sono state valutate dal giudice insieme con tutti gli altri elementi di prova a sua disposizione.
Le ragioni della decisione (la motivazione) sono sindacabili in sede di legittimità negli stretti limiti indicati dall’art. 606 c.p.p., lett. e), senza alcuna possibilità di una rilettura della prova (quando, come nel caso di specie, non travisata) o di una sovrapposizione del giudizio della Corte di cassazione a quello del giudice di merito.
Questi principi sono già stati affermati dalla cassazione in tema di rilevanza, sull’utilizzabilità della prova, della violazione della Carta di Noto e, più in generale, dei protocolli adottati nel mondo scientifico per l’assunzione delle dichiarazioni del minore vittima di abusi sessuali.
E’ stato al riguardo affermato che le dichiarazioni acquisite in violazione delle linee guida della cosiddetta “Carta di Noto”, nella parte in cui queste ultime non risultano già trasfuse in disposizioni del codice di rito con conseguente disciplina degli effetti derivanti dallo loro inosservanza, non sono inutilizzabili, ma in relazione ad esse il giudice ha l’obbligo di motivare perché egli ritiene attendibile la prova assunta con modalità non rispettosa delle cautele e metodologie previste nell’indicato documento (Sez. 3, n. 648 dell’11/10/2016, dep. 2017 – Rv. 268738 – 01; Sez. 3, n. 39411 del 13/03/2014, Rv. 262976 – 01.
Nel senso che, in ogni caso, non determina nullità o inutilizzabilità della prova l’inosservanza dei criteri dettati dalla cosiddetta “Carta di Noto” nella conduzione dell’esame dei minori, persone offese di reati di natura sessuale, che hanno carattere non tassativo, in quanto si limitano a fornire suggerimenti volti a garantire l’attendibilità delle dichiarazioni del minore e la protezione psicologica dello stesso, Sez. 3, n. 15737 del 15/11/2018, dep. 2019, Rv. 275863 – 01; Sez. 3, n. 5754 del 16/01/2014, Rv. 259133 – 01, secondo cui l’inosservanza dei protocolli prescritti dalla “Carta di Noto” non e’, di per sé, ragione di inattendibilità delle dichiarazioni raccolte; in senso conforme, Sez. 3, n. 15157 del 16/12/2010, Rv. 249898 – 01).
Della “prova” possono darsi due diversi significati:
a) per prova si può intendere lo strumento, tipico o atipico (art. 189 c.p.p.), attraverso il quale l’informazione rilevante ai fini della decisione viene introdotta nel processo, la strada, si può dire, percorsa dall’informazione per giungere a destinazione (il mezzo di prova);
b) o si può intendere l’informazione utilizzata ai fini della decisione (il risultato della prova).
Non sempre e non necessariamente la strada “accidentata” danneggia il risultato; a meno che il percorso non sia vietato in modo assoluto (art. 191 c.p.p.), il modo con cui l’informazione probatoria giunge al giudice non comporta mai di per sé l’inutilizzabilità probatoria del risultato (né del resto vale il contrario, non esistendo alcuna corrispondenza tra modalità di assunzione della prova perfetta sotto tutti i profili e affidabilità del risultato).
Ciò che conta è che, come già detto, il giudice sia consapevole del percorso effettuato dal mezzo di prova per giungere a destinazione e che ne dia conto nella valutazione del relativo risultato.
Non è vero, dunque, che i riscontri servono solo a corroborare dichiarazioni già caratterizzate da credibilità soggettiva del dichiarante, sicché ove la credibilità soggettiva sia compromessa essi non potrebbero mai “puntellare” una dichiarazione già viziata ab origine.
Tale affermazione parte, in primo luogo, dal presupposto errato che la credibilità soggettiva derivi dalle modalità di conduzione dell’esame; in secondo luogo essa postula un rapporto a compartimenti stagni tra credibilità soggettiva e credibilità oggettiva escluso dalla cassazione nella sua più elevata espressione (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145 – 01, secondo cui nella valutazione della chiamata in correità o in reità, il giudice, ancora prima di accertare l’esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l’art. 192 c.p.p., comma 3, alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale; Sez. 4, n. 34413 del 18/06/2019, Rv. 276676 – 01; Sez. 1, n. 22633 del 05/02/2014, Rv. 262348 – 01). 5.25.
Peraltro, è la stessa prospettazione difensiva a essere contraddittoria e fallace allorquando lamenta che alla minore sono state effettuate almeno 361 domande suggestive e contestualmente rimarca che a seguito del test di Gudjonsson è emersa una cedevolezza alla suggestione della stessa pari al 20% delle domande (circa 72); ciò equivale a dire che per il restante 80% delle domande suggestive (289), la minore avrebbe fornito risposte impermeabili alla suggestione (e ciò senza tenere conto delle altre domande evidentemente non suggestive proposte alla minore).
