Ci conoscemmo per caso, lui uditore io appena avvocato e fu simpatia a prima vista.
Andò in Basilicata al suo primo incarico.
Tornò a Roma dopo svariati anni.
Viene in tribunale in bicicletta e va via sempre all’imbrunire.
Le sue udienze monocratiche sono lunghe assai perché non trascura mai nulla, il massimo scrupolo e approfondimento sono il suo credo.
Guarda negli occhi gli imputati e scruta con attenzione i testimoni.
Non è mai apparso sul giornale.
Non si intrattiene mai con gli avvocati ma in aula li ascolta con attenzione.
Non frequenta circoli, stadi e cene eleganti ed è riservato … quasi timido.
Ogni processo lo approfondisce e non trascura mai alcuna possibilità, le decisioni sono per lui un tormento.
Caro Giudice, ieri ti ho osservato nell’aula gremita, erano le 15,30 e tu con il tuo solito sorriso accennato rivolgevi le domande ad un agente di polizia giudiziaria, riconvocato ai sensi dell’articolo 507 cpp, per capire meglio i fatti prima di ritirarti in camera di consiglio.
Potresti andare in corte d’appello ma tu no … rimani in trincea perché credi nella giustizia e vuoi renderla a tutti. Sono trascorsi gli anni e ci siamo entrambi incanutiti ma caro Marco sei sempre il Signor Giudice e rispecchi l’Elogio che ha fatto un grande: “Il buon Giudice mette lo stesso scrupolo nel giudicar tutte le cause, anche le più umili; egli sa che non esistono grandi cause e piccole cause, perché l’ingiustizia non è come quei veleni di cui certa medicina afferma che presi in grandi dosi uccidono, ma presi in dosi piccole risanano. La ingiustizia avvelena anche in dosi omeopatiche”.
