Cass. pen., Sez. 4^, sentenza n. 12124/2023, udienza del 21 dicembre 2022, apre una finestra sul fenomeno, purtroppo in crescita, della sfiducia nella scienza e, nel caso specifico, delle sue conseguenze drammatiche sul piano umano e dei suoi effetti su quello penale.
La vicenda giudiziaria
Due coniugi sono stati dichiarati responsabili in entrambi i gradi di merito del delitto di concorso in omicidio colposo in danno della figlia minore.
A quest’ultima era stata diagnosticata una grave patologia (leucemia linfoblastica acuta) e i sanitari che l’avevano in cura avevano concordemente affermato l’indispensabilità quoad vitam di trattamenti chemioterapici.
I genitori avevano per contro dissuaso la figlia dal sottoporsi a quella terapia, inducendola a credere che fosse inutile o addirittura dannosa e nel contempo facendo credere ai sanitari che invece fosse pronta ad accettarla.
Dopo un’inutile viaggio della speranza in una clinica svizzera erano rientrati in Italia, tacendo i loro movimenti ai servizi sociali ed al tutore della figlia nominato nel frattempo dal competente tribunale per i minorenni.
Riportata a casa la figlia e continuando a rifiutare ogni aiuto esterno, le avevano somministrato di loro iniziativa alte dosi di vitamina C, contemporaneamente interrompendo finanche la terapia del dolore, finché era sopraggiunta la morte della ragazza.
I motivi di ricorso
Con un primo motivo, la difesa dei ricorrenti ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione.
A suo dire, l’obbligo giuridico di informare il paziente minorenne spetta esclusivamente ai sanitari, ai fini dell’ottenimento del consenso informato, necessario poiché la L. n. 833/1978 stabilisce che i trattamenti sanitari sono volontari e devono rispettare la dignità della persona nonché il diritto del paziente di scelta del medico e del luogo di cura.
Al tempo stesso – aggiunge la difesa – nell’ambito del diritto minorile e di famiglia vi è stato un progressivo ridimensionamento dei poteri decisionali degli adulti nei confronti dei minorenni, al quale ha corrisposto il riconoscimento del diritto del minore di condividere decisioni che lo riguardano.
Questo riequilibrio è conforme alla prospettiva delineata dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 262/2004, la quale ha affermato che la Costituzione ha rovesciato le concezioni che assoggettavano i figli a un potere assoluto e incontrollato da parte dei genitori, affermando il diritto del minore a un pieno sviluppo della sua personalità.
In quest’ottica, l’art. 147 c.c. stabilisce che i coniugi hanno l’obbligo di mantenere, istruire, educare ed assistere moralmente i figli ma nel rispetto delle loro inclinazioni naturali e aspirazioni. Il dovere-diritto di educare rientra nell’esercizio della libertà di pensiero e di insegnamento, in base al disposto della Cost., art. 21, essendo il contenuto dell’attività educativa pienamente libero, come si desume altresì dalla Cost., art. 33. Dunque la Costituzione non suggerisce che cosa si debba trasmettere ai figli o in quale modo lo si debba fare.
La difesa ha ulteriormente richiamato l’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20/11/1989, resa esecutiva in Italia con L. n. 176/1991, la quale stabilisce che debba essere garantito al fanciullo il diritto di esprimere liberamente la propria opinione su ogni questione che lo interessa e che gli Stati debbano rispettare il diritto del fanciullo alla libertà di pensiero.
È in tal senso anche la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e ratificata con L. 20 marzo 2003, n. 46, la quale prevede che ogni minore sia considerato dal diritto interno come un soggetto capace di discernimento, sicché deve ricevere tutte le informazioni pertinenti, essere consultato, poter esprimere la propria opinione ed essere informato delle eventuali conseguenze delle sue opzioni e di qualunque decisione.
Anche il decreto del Ministro della Sanità del 18 marzo 1998 stabilisce che la sperimentazione su minore sia comunque vincolata al valido consenso di chi esercita la potestà dei genitori e il minore, compatibilmente con la sua età, ha il diritto di essere personalmente informato sulla sperimentazione e di essere richiesto di firmare personalmente il proprio consenso, in aggiunta a quello del legale rappresentante. Il minore deve potersi rifiutare di partecipare alla sperimentazione. E il protocollo che viene applicato ai malati oncologici in età pediatrica è sperimentale.
Da questo complesso normativo la difesa deriva la convinzione che nessuno avrebbe potuto imporre alla minore alcun trattamento sanitario contro la sua volontà, atteso che i trattamenti sanitari sono incoercibili.
Al tempo stesso, in conseguenza dell’art. 3, comma 1, L. n. 217/2019 il quale sancisce il diritto del minore all’autodeterminazione e richiede che egli sia messo in condizione di esprimere la propria volontà, si deve necessariamente ritenere che tale obbligo grava sul medico, il quale è il principale interlocutore del minore.
Non competeva quindi ai genitori fornire alla paziente le spiegazioni circa la malattia da cui era affetta, il suo decorso e le cure che la comunità scientifica aveva suggerito, in quanto costoro non erano detentori di alcuna competenza medico – scientifica e la minore poteva decidere di accettare che la malattia facesse il proprio corso piuttosto che subire le conseguenze legate alla terapia (perdita dei capelli, crisi neurologiche e via dicendo).
Ne consegue – ha sostenuto la difesa – che i genitori non avevano alcun obbligo giuridico di convincere la figlia a sottoporsi alla terapia, trattandosi di una scelta personalissima che spettava unicamente alla paziente, che aveva 17 anni e mezzo, era scolarizzata e quindi pienamente capace di discernere.
La convinzione della ragazza di guarire dalla leucemia anche senza il ricorso alla chemioterapia non è stata il frutto di un indottrinamento da parte dei genitori ma di un libero itinerario di pensiero da parte della ragazza.
Con il secondo motivo, la difesa ha contestato la decisione impugnata nella parte in cui ha affermato l’esistenza del nesso causale tra la condotta ascritta ai ricorrenti e l’evento.
Ha sostenuto a tal fine che, quand’anche costoro avessero aderito senza riserva alle indicazioni terapeutiche dei sanitari, mancherebbe comunque la prova che la minore avrebbe aderito a sua volta.
Esiste al contrario la prova della sua ferma volontà non solo di non sottoporsi alla chemioterapia ma di rifiutare persino le cure palliative che vengono somministrate ai pazienti terminali al fine di alleviare la loro sofferenza.
La difesa ha chiesto conclusivamente l’annullamento della sentenza impugnata.
Decisione della Corte di cassazione.
…Limiti del controllo della motivazione in sede di legittimità
Il collegio ha giudicato infondato il primo motivo, in applicazione del consolidato orientamento per il quale il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene pur sempre alla coerenza strutturale della decisione, di cui saggia l’oggettiva “tenuta”, sotto il profilo logico-argomentativo, e quindi l’accettabilità razionale, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Sez. 3, n. 37006 del 27/9/2006, Rv. 235508; Sez. 6, n. 23528 del 6/6/2006, Rv. 234155).
Ne deriva che il giudice di legittimità, nel momento del controllo della motivazione, non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, atteso che l’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. non consente alla Corte di cassazione una diversa interpretazione delle prove. In altri termini, il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e dell’osservanza della legge, non può divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio. Questo controllo è riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l’apprezzamento della logicità della motivazione (ex plurimis, Sez. 3, n. 8570 del 14/1/2003).
…Analisi della tenuta logica della motivazione della decisione impugnata
Proseguendo in questa direzione, il collegio della Cassazione ha constatato che il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale, che a sua volta si fondeva con quello del giudice di primo grado, era logicamente impeccabile.
Nella sentenza dei giudici di appello si evidenziava infatti che “sin dagli inizi dell’iter diagnostico-terapeutico i genitori della ragazza avevano fatto opposizione alle cure e il padre, in particolare, aveva manifestato il convincimento che la leucemia fosse un processo di rigenerazione cellulare, dopo un trauma psicologico, giustificando i dolori con una fase necessaria per la rigenerazione delle cellule, all’esito della quale la ragazza non solo sarebbe guarita ma si sarebbe fortificata, a condizione che non avesse subito traumi psicologici e che non fosse stata somministrata chemioterapia ma solo una terapia di supporto. La chemio avrebbe invece distrutto la rigenerazione del corpo e non avrebbe permesso alla minore di guarire. Tali affermazioni coincidevano con quanto riferito dalla minore in un messaggio che diceva ad un’amica che “stava facendo una rinascita”. Il padre parlava di persone affette da neoplasia che erano guarite senza cura. Ai genitori della ragazza era stata chiaramente spiegata dei medici la natura della patologia ed era stato anche chiarito che le probabilità di guarigione erano almeno dell’80% con l’applicazione dei protocolli terapeutici che prevedevano la chemioterapia mentre non vi sarebbe stata alcuna possibilità di guarigione ove non fossero stati seguiti tali protocolli. Ma i genitori erano passati da un atteggiamento di aperto contrasto ad un ostruzionistico comportamento volto a procrastinare ogni decisione, dando priorità all’interesse di far stare tranquilla la ragazza limitando tutte le interferenze dei sanitari. Un medico si era recato personalmente a parlare con i genitori e gli stessi avevano scritto una lettera indirizzata al sanitario recante la dicitura “documento da allegare alla dichiarazione di non accettazione della terapia”. Si trattava di una lettera in cui venivano ripercorsi gli stessi argomenti utilizzati con i medici per rifiutare il consenso alla sottoposizione della ragazza al protocollo di cure che prevedeva la chemioterapia. Il sanitario aveva riferito che tra le motivazioni addotte dagli imputati per rifiutare le terapie c’era quella della “sacralità della ragazza”, che avrebbe potuto essere violata dalle cure chemioterapiche. I genitori, a fronte del peggioramento delle condizioni della figlia, avevano soltanto consentito all’inizio della terapia cortisonica ma alla scadenza del periodo relativo alla somministrazione del cortisone avevano negato il consenso alla chemioterapia. La dottoressa C. aveva riferito di aver provato a parlare sia con la minore che con i genitori, proponendo la chemioterapia ma ottenendo risposte negative. La ragazza aveva risposto che aveva visto un’amica morire e che la chemioterapia le avrebbe provocato più danni che vantaggi. Le stesse motivazioni erano condivise dei genitori. Ai medici i genitori della ragazza avevano riferito che la minore aveva avuto un trauma dovuto alla morte del fratello, che aveva alterato il suo equilibrio, e che il tumore era un’occasione per rigenerarsi. Il dottor F. aveva riferito che aveva chiaramente comunicato al padre che si sarebbe potuto aspettare per l’inizio della chemioterapia al massimo una settimana, ribadendo le percentuali di guarigione e l’assoluta impossibilità di guarire in assenza di chemioterapia. I genitori, pur non esprimendo un aperto rifiuto, avevano espresso dubbi e perplessità, parlando di persone guarite spontaneamente ma alla richiesta di vedere le cartelle cliniche avevano risposto che erano casi di cui erano venuti a conoscenza sul web. Al contrario, i genitori parlavano di persone affette da leucemia morte per aver intrapreso le terapie. Il padre cominciava ogni frase dicendo che la figlia aveva deciso di non fare la chemioterapia. Ancora una volta i medici avevano spiegato alla ragazza che, a fronte delle prospettive di guarigione in caso di attivazione del protocollo chemioterapico, che, lungi dall’avere natura sperimentale, era ampiamente accettato in seno alla comunità scientifica internazionale, non vi era nessuna possibilità di guarigione qualora la terapia non fosse stata praticata. Ai medici la ragazza si era limitata a ribadire la convinzione che sarebbe stata la terapia a ucciderla, essendo convinta di poter guarire e di non averne bisogno […] La relazione indirizzata dal Dott. F. al tutore riferiva chiaramente che i genitori si trinceravano sempre dietro la volontà della ragazza ma dopo ogni colloquio le terapie proposte venivano valutate come non adeguate dagli imputati, i quali dicevano che, secondo le loro esperienze personali, esse avrebbero potuto portare unicamente al decesso della ragazza e non alla guarigione. Né – sottolinea la Corte territoriale – esistevano terapie alternative, come confermato dalla circostanza che nessuno dei sanitari interpellati le aveva proposte, neppure quelli scelti dagli stessi imputati. La tesi difensiva relativa alla possibilità di effettuare l’immunoterapia – precisa il giudice a quo – non si confronta con le granitiche valutazioni di tutti i sanitari che avevano visitato e sottoposto ad accertamenti la ragazza, i quali avevano escluso prospettive terapeutiche diverse dalla chemioterapia, onde affermare che l’immunoterapia potesse essere un’alternativa ai protocolli offerti dai sanitari interpellati appare un’indicazione priva di concreto rilievo terapeutico relativamente al caso in disamina“.
È certo dunque, nell’opinione del collegio, che siano stati i genitori ad opporsi, con un ventaglio di atteggiamenti che andava dall’aperto rifiuto ad una serie di comportamenti elusivi ed ostruzionistici, alle cure chemioterapiche e perfino antipiretiche ed antidolorifiche.
Esula dunque dal caso in esame ogni rilevanza della tematica prospettata dai ricorrenti relativamente al diritto del minore all’autodeterminazione e al rifiuto delle cure.
Tale problematica avrebbe potuto assumere rilievo a fronte di uno scenario fattuale caratterizzato da una fattiva opera di convincimento a praticare le cure ad opera dei genitori nei confronti della figlia, la quale di sua spontanea iniziativa, e nonostante l’atteggiamento favorevole alla chemioterapia da parte dei genitori, avesse rifiutato le cure, pur essendo stata informata delle conseguenze letali di tale rifiuto: scelta che i genitori avessero, in ipotesi, ritenuto di dover rispettare. Ma non è questo il quadro fattuale enucleabile dalla trama motivazionale della sentenza impugnata. Dalle acquisizioni processuali accuratamente vagliate dalla Corte d’appello emerge infatti che il rifiuto delle cure non fu una libera scelta della figlia che i genitori ritennero di rispettare ma un’opzione consapevolmente adottata dai genitori in prima persona, nonostante i medici li avessero reiteratamente informati dell’elevato coefficiente salvifico delle cure chemioterapiche, dell’impossibilità, per la figlia, di guarire senza la chemioterapia e delle conseguenze letali del rifiuto di cure.
…L’ininterrotta posizione di garanzia dei genitori e la loro responsabilità in ordine all’evento
Lo stesso giudizio di infondatezza il collegio ha riservato al secondo motivo.
La Corte territoriale ha infatti posto in rilievo le risultanze dalle quali si desume che, pur dopo la nomina del tutore da parte del Tribunale dei minorenni, i genitori continuarono a gestire la situazione, ricoverando la ragazza presso vari istituti di cura e mantenendo il proprio atteggiamento di ostruzione e opposizione alle cure. E, in quest’ottica, il giudice a quo ha posto in rilievo come la sospensione della responsabilità genitoriale decisa dal Tribunale per i minorenni sia rimasta un mero atto formale, di fatto disatteso dagli imputati. I genitori proseguirono infatti a scegliere il luogo di cura della figlia e i soggetti che se ne sarebbero dovuti occupare, ben consapevoli che, in particolare, in Svizzera nessuno avrebbe potuto obbligarla a intraprendere la chemioterapia, sia perchè in Svizzera i minorenni che hanno raggiunto la soglia minima di età ivi prevista hanno capacità di autodeterminazione in relazione ai trattamenti sanitari, sia perchè la Svizzera è un territorio su cui ovviamente non può operare direttamente la giurisdizione italiana.
Dunque, nonostante il provvedimento del Tribunale per i minorenni, non vi fu alcun sostanziale mutamento nella situazione di fatto e la gestione della paziente continuò a far capo ai genitori, onde la nomina del tutore si rivelò sostanzialmente ininfluente.
Correttamente, pertanto il giudice a quo conclude nel senso che anche successivamente al provvedimento di sospensione la posizione di garanzia dei genitori nei confronti della figlia minorenne non è venuta meno, onde l’aver impedito la somministrazione dell’unica terapia praticabile per salvare la figlia, per di più in un momento in cui la malattia aveva ripreso vigore, costituisce condotta colposa.
…L’esito
Il collegio ha rigettato il ricorso per infondatezza.
Il commento
La decisione di legittimità qui commentata ed ancora prima la vicenda umana e giudiziaria di cui è stata epilogo sono espressione, come si diceva in apertura, della crescente diffusione di atteggiamenti antiscientisti.
Chi li pratica agisce sulla base di credenze soggettive propiziate da un’irriducibile sfiducia verso la scienza “ufficiale”, a sua volta quasi sempre alimentata da teorie complottiste che dilagano incontrollate nelle autostrade digitali del web.
È un fenomeno sempre presente nella storia umana ma la sua velocità di diffusione e quindi la sua capacità di generare un rapido proselitismo sono una novità della stagione in cui viviamo.
Benché si tratti di un compito assai arduo, questo fenomeno deve essere contrastato in ogni sede e con ogni mezzo lecito perché, come diceva Bertolt Brecht nella sua Vita di Galileo, “Scopo della scienza non è tanto di aprire una porta all’infinito sapere, quanto di porre una barriera all’infinita ignoranza“.
