Avvertenze preliminari
Anzitutto: in TF abbiamo una speciale attenzione per il linguaggio e facciamo di tutto perché sia il più chiaro possibile. Tra le regole che non violiamo quasi mai (Radi si concede qualche licenza qua e là) c’è quella di impiegare solo parole accreditate dalla Treccani.
“Cazzata” è tra queste (si veda il link) ed è un sinonimo di sciocchezza o stupidaggine.
Ritengo quindi legittimo e niente affatto deplorevole inserirla nel titolo.
Ancora: TF parla di diritto penale e si vedrà a breve che le cazzate hanno diritto di cittadinanza in questo ambito, sebbene non sia questo il focus centrale dello scritto.
Infine: sia per l’idea che per una parte del contenuto di questo post sono fortemente debitore di due Autori.
Mi riferisco a E. Lombardi Vallauri, Misinformation e debunking: abbiamo i mezzi per tradurli, 20 luglio 2021, nel sito web dell’Accademia della Crusca (a questo link) e a S. Latorre, Le “Fake News” al tempo della Pandemia, in La Magistratura, 12 ottobre 2021 (a questo link).
Segnalo infine, per chi fosse interessato ad un approfondimento più ampio, M. Mattia, “Gruppalità no-vax, movimenti settari smaterializzati e infodemie digitali: il problema della criminalizzazione della disinformazione all’interno del cyberspace“, in Archivio Penale, 30 marzo 2023 (a questo link).
Le varie tipologie di cazzate
Dobbiamo a Lombardi Vallauri le coordinate definitorie per orientarci nel vasto universo delle cazzate.
Un lettore gli ha chiesto come si possano tradurre in italiano i termini inglesi “misinformation” e “disinformation“.
Il linguista gli ha risposto che la prima parola è riferita a qualunque informazione errata, la seconda è riferita invece a un’informazione intenzionalmente falsa.
Disinformation è quindi una specie del genere misinformation.
Lombardi Vallauri ha anche spiegato che non esiste ancora un sostantivo italiano unico che indichi un’informazione falsa non intenzionale e si deve quindi necessariamente fare ricorso a più parole insieme.
Esiste invece la parola disinformazione cui viene solitamente dato lo stesso significato anglosassone ma quando dal sostantivo si passa all’aggettivo derivato (disinformato) l’univocità sfuma perché questo termine indica colui che è privo di informazioni piuttosto che la vittima di un’operazione di disinformazione.
È già arrivato il momento di giustificare l’inserimento in questa dotta disquisizione linguistica della parola che dà il titolo al post.
Mi viene in soccorso un altro dizionario on-line, quello della Hoepli, che contempla anch’esso il lemma “cazzata” (a questo link) e, tra le espressioni proposte per esplicitarne il senso, usa queste: “Non dire cazzate!“; “Che cazzate!“.
Quasi tutti, credo, abbiamo pronunciato queste parole e lo abbiamo fatto per reagire a informazioni che ci sono sembrate talvolta stupide ma altre volte ingannatorie, manipolatrici, mistificatorie.
Se dunque si considera la questione dal punto di vista del destinatario di informazioni di questo genere che ad esse reagisce in quanto individuo consapevole, ecco che il termine “cazzate” acquisisce una sua legittimazione definitoria e potrebbe ambire ad entrare nel dibattito.
Il rilievo penale delle cazzate
Attingo qui ripetutamente allo scritto di Stefano Latorre, segnalando peraltro che le sue riflessioni sul tema delle fake-news e dei loro effetti sono molteplici, a testimonianza di un vero e proprio interesse scientifico.
Cito in particolare qualcuno degli esempi di cui si è servito per dimostrare quanto rapidamente la divulgazione di notizie false possa acquisire dimensioni di massa che le trasformano in credenze insensibili a qualsiasi evidenza contraria, alla stregua di religioni fondate su verità rivelate e quanti rischi possano derivare da questi fenomeni alla sicurezza individuale e collettiva.
Uno di essi si è verificato negli USA il 6 gennaio 2021 con il cosiddetto “assalto al Campidoglio” allorché migliaia di persone armate pesantemente irruppero negli edifici del Congresso degli Stati Uniti per impedire la designazione formale del presidente eletto Joe Biden.
Al di là della gravità dell’episodio, qui conta soprattutto sottolineare che molti dei manifestanti erano seguaci della teoria di Q-Anon fondata, usando le parole di Latorre, su una pretesa “guerra sotterranea contro la “Cabala” ovvero un gruppo di pedofili e cannibali (Sigh!) formato dai democratici statunitensi, dai membri del cd. “star system” (attori, cantanti, ecc.), dalla Corona inglese, dal Vaticano ecc. che vuole schiavizzare il mondo e che (udite, udite!!) rapisce migliaia di bambini che poi incarcera in tunnel giganteschi sotterranei per torturarli ed ottenere “l’adenocromo” ovvero il sangue dei bambini ricco di una sostanza, prodotta dalla loro paura (lo so è difficile anche scriverle simili scempiaggini), che assicurerebbe agli “eletti” lunga vita“.
Rinvio allo scritto di Latorre citato in premessa per tutti gli altri episodi, anche storici e letterari, ai quali si può attribuire la natura di fake-news su larga scala e per l’analisi giurisprudenziale delle molteplici fattispecie incriminatrici e delle circostanze aggravanti adatte ai fenomeni descritti.
Rinvio inoltre al prezioso e documentatissimo lavoro di Marco Mattia per la descrizione delle molteplici e quantomai allarmanti manifestazioni nel nostro Paese di quelli che definisce movimenti settari smaterializzati e infodemie digitali, termine, quest’ultimo, che indica, secondo la Treccani, la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili.
Il commento conclusivo
Torno al punto di partenza.
Siamo sommersi ogni giorno dalle cazzate, così tante che fatichiamo perfino a riconoscerle come tali.
Dobbiamo fronteggiare una duplice dimensione del fenomeno.
La prima è l’enorme aumento delle fonti che dispensano informazioni e non è facile né frequente disporre delle chiavi di lettura che consentano di distinguere il grano dal loglio.
La seconda, non certo inedita ma oggi più agevole che in passato, è che le cazzate possono essere generate anche dalle istituzioni pubbliche e dai loro esponenti il che le rende più pericolose data la fede privilegiata che ad esse si è portati ad attribuire.
Le pregevoli riflessioni degli Autori citati in apertura ci aiutano a comprendere la natura del problema, le parole che servono a identificarlo correttamente e le vie possibili sul versante penale.
Nessun rimedio però può essere realmente efficace se non è vivificato dall’impegno di ognuno di noi.
Come una rosa è una rosa, una cazzata è una cazzata: questa è la base da cui partire.
Dobbiamo tutti impegnarci ad evitare di dirne, al meglio delle nostre possibilità.
Dobbiamo tutti dotarci degli strumenti che ci consentano di riconoscerle.
Una volta che le abbiamo riconosciute, dobbiamo tutti impegnarci a rendere palese il nostro riconoscimento, quale che sia la cazzata e chiunque l’abbia detta, che sia un leader politico, il legislatore, il giudice, l’opinion maker di turno.
Abbiamo tutti, per dirla con le parole di Lombardi Vallauri, un dovere di debunking, cioè l’azione meticolosa di smontaggio delle informazioni false di una qualche complessità.
Questo proviamo a fare in TF e se pensiamo che una legge o una sentenza contengano cazzate lo diciamo.
