Cass. pen., Sez. 2^, sentenza n. 13352/2023 (14 marzo 2023), contiene un’utile ricognizione della valutazione giurisprudenziale del delitto di autoriciclaggio (art. 648-ter.1 cod. pen.).
Vi si legge che è configurabile una condotta dissimulatoria allorché, successivamente alla consumazione del delitto presupposto, il reinvestimento del profitto illecito in attività economiche, finanziarie o speculative sia attuato attraverso la sua intestazione ad un terzo, persona fisica ovvero società di persone o capitali, poiché, mutando la titolarità giuridica del profitto illecito, la sua apprensione non è più immediata e richiede la ricerca ed individuazione del successivo trasferimento (Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019 (dep. 27/05/2020) Rv. 279407 – 02); in motivazione detta pronuncia precisa che:” deve conseguentemente essere escluso che l’avvenuta identificazione delle operazioni di dissimulazione del denaro o del bene illecito, frutto della consumazione del delitto presupposto da parte dello stesso autore di detto reato, escludano la punibilità della condotta perché prive di “concreta” capacità decettiva; una tale interpretazione radicale finirebbe per escludere la punibilità di qualsiasi condotta per il solo fatto della successiva verificazione e ricostruzione della stessa e comporterebbe la irragionevole conseguenza di dovere affermare la non applicabilità della norma penale di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen. a qualsiasi fatto accertato. Proprio in applicazione di tali principi deve essere escluso che l’esistenza di operazioni tracciabili, l’emissione di fatture da parte delle diverse società e l’identificazione delle transazioni tra società, comporti automaticamente l’esclusione della punibilità della condotta ex art. 648-ter.1 cod. pen. […] Il criterio da seguire è pertanto quello della idoneità ex ante della condotta posta in essere a costituire ostacolo all’identificazione della provenienza delittuosa del bene; e ciò significa che l’interprete, postosi al momento di effettuazione della condotta, deve verificare sulla base di precisi elementi di fatto se in quel momento l’attività posta in essere aveva tale astratta idoneità dissimulatoria e ciò indipendentemente dagli accertamenti successivi e dal disvelamento della condotta illecita che non costituisce mai automatica emersione di una condizione di non idoneità della azione per difetto di concreta capacità decettiva. Se si collegano infatti strettamente e direttamente i tre verbi con i quali esordisce il comma 1 dell’art. 648-ter.1. cod. pen. alle voci che descrivono la ‘destinazione dei beni, è facile avvedersi che l’ubi consistam della norma è rappresentato dalla reimmissione nel circuito dell’economia legale di beni di provenienza delittuosa (beninteso: ostacolandone la tracciabilità). L’idea di fondo, che sembra giustificare l’incriminazione dell’autoriciclaggio, riposa infatti sulla considerazione di congelare il profitto in mano al soggetto che ha commesso il reato-presupposto, in modo da impedirne la sua utilizzazione maggiormente offensiva, quella che espone a pericolo o addirittura lede “l’ordine economico”. La ratio dell’autoriciclaggio è appunto quella di evitare inquinamenti dell’economia legale. Il Giudice penale dovrà pertanto valutare l’idoneità specifica della condotta posta in essere dall’agente ad impedire l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni […] Il trasferimento o la sostituzione penalmente rilevante al cospetto dell’autoriciclaggio sono quindi comportamenti che importano un mutamento della formale titolarità del bene o delle disponibilità o che diano altresì luogo a una utilizzazione non più personale, ma riconducibile a una forma di reimmissione del bene nel circuito economico“.
Ne consegue affermarsi che alla luce del predetto principio il trasferimento del profitto o prodotto del reato presupposto con mutamento della titolarità soggettiva tramite operazioni di reinvestimento in attività economiche o finanziarie integra un’ipotesi di autoriciclaggio punibile.
Quanto al tema che costituisce il punto decisivo dei due provvedimenti di rigetto della richiesta di sequestro preventivo, costituito dalla impossibilità di identificare l’autoriciclaggio nella stessa condotta integrante il delitto presupposto la stessa sentenza citata (Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019 cit.) afferma espressamente che: “la capacità dissimulatoria debba essere individuata in condotte non ricollegabili al puro e semplice trasferimento di somme ed altresì come il fatto di autoriciclaggio abbia natura autonoma e successiva rispetto alla consumazione del delitto presupposto così che le due fattispecie non possano essere ravvisate a fronte di un’unica contestuale azione“.
Tale impostazione, certamente condivisibile, va ulteriormente approfondita e sulla base delle successive considerazioni va affrontata la problematica avanzata con il secondo motivo di doglianza; il presupposto da cui partire è la considerazione secondo cui ove attraverso il trasferimento ad altre imprese si attui il reinvestimento successivo dei profitti illeciti in attività economiche, finanziarie o speculative è aggredito il bene giuridico protetto dalla norma di cui all’art. 648-ter.l cod. pen. che è costituito dall’ordine pubblico economico poiché appare davvero evidente che a cagione della possibilità di utilizzare profitti illeciti da parte di imprese operative il mercato viene a subire l’effetto inquinante del reinvestimento del profitto illecito. E deve anche ritenersi che se il trasferimento ad altre imprese è attuato con l’intestazione del profitto illecito ad un soggetto giuridico diverso, sia esso una persona fisica ovvero una società di persone o capitali, vi è la possibilità di identificare una condotta dissimulatoria proprio perché mutando la titolarità giuridica del profitto illecito, la sua apprensione non è più immediata e richiede la ricerca ed individuazione del successivo trasferimento. Al proposito, occorre ricordare come la stessa seconda sezione penale ha affermato (Sez. 2, n. 33074 del 14/07/2016, Rv. 267459) che non integra il delitto di autoriciclaggio il versamento del profitto di furto su conto corrente o su carta di credito prepagata, intestati allo stesso autore del reato presupposto. In motivazione si precisa che tale soluzione vale nei casi in cui vi sia identità soggettiva tra autore del delitto presupposto e soggetto titolare del medesimo bene a seguito della condotta di sostituzione; ove cioè autore del delitto presupposto e titolare del bene poi movimentato coincidano può affermarsi non esservi condotta concretamente idonea ad occultare l’origine illecita del bene. Ove invece la titolarità del bene anche attraverso successivi contratti sia mutata tale interpretazione non può trovare applicazione; difatti, la modifica della formale intestazione comporta condotta di sostituzione del proprietario o utilizzatore del bene idonea ad ostacolare l’origine illecita dello stesso e si profila quale ipotesi astrattamente punibile. Richiamando la già citata pronuncia della Sezione quinta (n. 8851 del 01/02/2019 cit.), va però ribadito che tale attività di trasferimento ad altro soggetto giuridico deve seguire, deve cioè essere successiva la consumazione del delitto presupposto produttivo di profitto illecito; al proposito altro precedente di legittimità in tema di contratti di affitto di azienda poi dichiarata fallita ritenuti integrare un’ipotesi di bancarotta (Sez. 2 n. 38838 del 04/07/2019, Rv. 277098) afferma in motivazione che: “ai fini di evitare la doppia punibilità della medesima condotta infatti il legislatore con la introduzione della fattispecie di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen. ha chiesto che a seguito della consumazione del delitto presupposto vengano poste in essere ulteriori condotte aventi natura decettive peraltro solo costituite da impiego in attività economiche o finanziarie. La sola consumazione del delitto presupposto non integra ex se anche la diversa ipotesi dell’autoriciclaggio e quindi l’atto distrattivo non può integrare allo stesso tempo bancarotta per distrazione e autoriciclaggio“.
Deve pertanto essere escluso che possano configurarsi ipotesi di concorso formale tra autoriciclaggio e reato presupposto e ciò perché al proposito la dizione normativa è assolutamente chiara nel volere impedire categoricamente la violazione del principio del divieto di bis in idem sostanziale; difatti l’art. 648-ter.1 cod. pen. punisce chiunque “avendo commesso o concorso a commettere….” un delitto presupposto operi poi attività di reimpiego e, quindi, l’utilizzo del termine verbale al passato chiarisce inequivocabilmente la necessità che la condotta di autoriciclaggio sia un seguito, un posterius della condotta tipica del reato presupposto.
Sulla base di tali postulati deve procedersi alla soluzione del caso in esame affermandosi che ove l’autoriciclaggio sia stato contestato in relazione alla sola condotta di distrazione delle somme dalla società x ad altre società vi è effettiva coincidenza delle due condotte con violazione del principio di doppia incriminazione; e cioè la omessa identificazione di condotte dissimulatorie successive la distrazione fornirebbe sostegno alla tesi sostenuta dai giudici di merito circa l’impossibilità di configurare l’ipotesi di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen.
Ove però tale coincidenza non sussista poiché oggetto della contestazione ex art. 648-ter.1 cod. pen.
non è la sola attività distrattiva di somme dalla società fallita bensì, anche, le attività successivamente poste in essere con il denaro distratto dalle società beneficiarie dei pagamenti per cassa, il presupposto della coincidenza delle condotte affermato dai giudici carattere distintivo del concorso tra bancarotta ed autoriciclaggio va pertanto risolto anche alla luce dell’analisi dei beni giuridici tutelati e dell’effetto della condotta posta in essere sugli stessi; ove l’agente, con la distrazione di somme, abbia aggredito e leso solo la par condicio creditorum la condotta sarà punibile soltanto in forza delle norme dettate dalla legge fallimentare, ove invece alla condotta distrattiva sia seguita una successiva ed autonoma attività di reimpiego dei capitali in altre società comunque operanti nel settore economico e commerciale, l’aggressione e lesione del bene giuridico protetto dalla norma di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen. costituito dall’ordine economico, determinerà il concorso punibile tra bancarotta per distrazione ed autoriciclaggio. E ciò perché, evidentemente, la condotta distrattiva non si è limitata alla sottrazione delle somme dalla società fallita, allo svuotamento del suo patrimonio costituente la garanzia dei creditori, bensì ha determinato, successivamente ed autonomamente, l’operatività di attività economiche societarie attraverso il reimpiego dei profitti illeciti e quindi proprio quell’inquinamento delle attività legali che l’autoriciclaggio mira a colpire.
