Insolvenza fraudolenta: il mero inadempimento non basta a configurarla (di Vincenzo Giglio)

Cass. pen., Sez. 2^, sentenza n. 12562/2023 (8 marzo 2023), ha ad oggetto il reato di insolvenza fraudolenta e la possibilità, esclusa dal collegio di legittimità, di ritenerlo integrato per il solo fatto dell’inadempimento di obblighi assunti contrattualmente.

Nel caso in esame la Corte territoriale, riformando la sentenza assolutoria del giudice di primo grado, ha condannato il ricorrente, ritenendolo responsabile del delitto previsto dall’art. 641 cod. pen.

I giudici della seconda sezione penale hanno accolto il ricorso dell’imputato, ricordando che, in tema d’insolvenza fraudolenta, la prova del preordinato proposito di non adempiere alla prestazione dovuta sin dalla stipula del contratto, dissimulando lo stato di insolvenza, può essere desunta anche da argomenti induttivi seri e univoci, ricavabili dal contesto dell’azione e dal comportamento successivo all’assunzione dell’obbligazione, ma non esclusivamente dal mero inadempimento che, in sé, costituisce un indizio equivoco del dolo (Sez. 2^, n. 6847 del 21/01/2015, Rv. 262570-01, in fattispecie, del tutto analoga a quella rappresentata nella sentenza impugnata, ha ritenuto che l’acquisto della merce tramite assegni, postdatati e privi di copertura fino al giorno precedente la scadenza dei titoli, fosse espressione del successivo inadempimento ma non della preordinata dissimulazione dello stato di insolvenza).

Nel caso di specie, la corte territoriale ha tratto la prova del proposito da elementi non univoci, con riguardo alla preordinata dissimulazione dello stato di insolvenza, considerato anche che l’acquisto della merce è avvenuta con un assegno postdatato, sulla cui copertura non risulta siano state fornite assicurazioni, così come non emerge che il titolo in questione sia stato rifiutato dal creditore quale strumento di pagamento del prezzo della merce.

Per altro profilo – osserva il collegio – la motivazione non si confronta con le argomentazioni a base della pronuncia assolutoria di primo grado che aveva – in termini corretti sotto il profilo giuridico – riscostruito la condotta al momento in cui la parte, successivamente inadempiente, aveva contratto l’obbligazione, evidenziando che all’epoca il ricorrente era intestatario pro quota di vari immobili, liberi da ipoteche o da pignoramenti, sì da offrire garanzie sufficienti per l’adempimento dell’obbligazione; che aveva mantenuto la sede della propria ditta nello stesso luogo indicato nelle fatture (e non in altro, dove era stato inutilmente ricercato); che aveva tentato una risoluzione bonaria delle pendenze, con la finalità di far fronte agli obblighi contrattuali, comportamento ritenuto incompatibile con il proposito di dissimulare l’insolvenza.

Non risulta pertanto che il giudice di appello, nell’overturning sfavorevole all’imputato, si sia attenuto a quel particolare onere motivazionale, valevole a superare le lacune dimostrative a suo avviso evidenziate dal primo giudice, essendo a tal fine necessario confrontarsi con le ragioni del provvedimento riformato e giustificare, con assoluta decisività, la diversa scelta operata.

Massima

In tema d’insolvenza fraudolenta, la prova del preordinato proposito di non adempiere alla prestazione dovuta sin dalla stipula del contratto, dissimulando lo stato di insolvenza, può essere desunta anche da argomenti induttivi seri e univoci, ricavabili dal contesto dell’azione e dal comportamento successivo all’assunzione dell’obbligazione, ma non esclusivamente dal mero inadempimento che, in sé, costituisce un indizio equivoco del dolo.