In altre occasioni avrebbe potuto essere una reunion tra vecchi amici e magari anche l’occasione per provare ad appianare conflitti irrisolti, spiegare le cose dette, esplicitare quelle non dette e poi, finalmente, lasciare spazio alle tante dolci memorie di un passato di onerose responsabilità ma anche di fasti, prestigiose postazioni pubbliche, notorietà e ribalte mediatiche.
Invece no: la rimpatriata c’è stata effettivamente ma è avvenuta in un’aula del palazzo di giustizia di Brescia, di fronte ad un collegio di giudici, ed è stata parte del giudizio che vede imputato uno di loro, Piercamillo Davigo, e testi gli altri due, Francesco Greco e Giovanni Salvi; sono affiorati effettivamente i ricordi del passato ma si può scommettere che non serviranno a ripristinare un clima idilliaco.
Dell’udienza e delle dichiarazioni rese dai testi hanno parlato tanti quotidiani: segnalo tra gli altri gli articoli di L. Ferrarella per Il Corriere della Sera, “«Non siamo due malavitosi che hanno fatto sparire i telefoni…». Greco e Salvi testimoni indignati nel processo contro Davigo” (a questo link), di S. Musco per Il Dubbio, “L’ex procuratore generale Giovanni Salvi: «Davigo? Roba da disciplinare»” (a questo link) e de Il Fatto Quotidiano, “Verbali di Amara, Greco: “Mai bloccato le indagini sulla loggia Ungheria. Accuse a Tremolada? Sarebbe saltato mezzo tribunale”” (a questo link).
Basterebbero già i titoli per capire che le deposizioni degli ex capi della Procura di Milano e della Procura generale presso la Cassazione devono essere state ottime per la pubblica accusa, avvilenti per l’imputato.
Vediamo perché, cominciando dal reportage di Ferrarella, non senza sottolineare che, a giudizio del cronista, l’udienza “somiglia più a una seduta psicoanalitica differita” (ma forse, meglio, uno psicodramma): “Greco restituisce la drammaticità della situazione quando rievoca il pomeriggio dell’aprile 2021 nel quale, all’indomani dell’individuazione del cellulare della segretaria di Davigo al Csm (poi però assolta di recente a Roma) quale interlocutore della giornalista di “Repubblica” destinataria nel febbraio 2021 di un’altra spedizione di verbali anonimi di Amara, «Storari viene e mi dice che era stato lui a far uscire i verbali dandoli a Davigo. Farfuglia lui per l’emozione, farfuglio io… Sono rimasto ammutolito, non me lo aspettavo, rimasi freddo e disarmato. Gli chiedo dove aveva dato a Davigo i verbali, e il motivo, ma senza avere spiegazioni. Allora dico a Storari “scrivi tutto”, e lui dice che doveva parlare con un avvocato prima di scrivere qualcosa». Poi «con grande imbarazzo verso le altre Procure di Perugia e Roma dovemmo interrompere le intercettazioni che avevamo disposto d’urgenza sulla segretaria di Davigo: eravamo imbarazzanti perché era la prima volta che un pm aveva fatto intercettazioni per un reato sapendo chi lo avesse commesso…». […]
In mattinata anche l’allora procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, ripercorre il proprio ricordo del momento in cui nel maggio 2020 Davigo gli parlò di una delicata indagine milanese che non prendeva quota nonostante il possibile coinvolgimento di consiglieri Csm, vertici militari, alti burocrati, politici. Ma Salvi, che ritiene di essere stato informato non come componente del consiglio di presidenza del Csm ma come procuratore generale della Cassazione, ribadisce che mai Davigo gli fece vedere o anche solo gli parlò del fatto che circolassero verbali in formato Word con le dichiarazioni di Amara, e aggiunge di non averne mai parlato con il vice presidente del Csm David Ermini (uno di quelli che in Tribunale ha ricordato di averli invece avuti da Davigo, affermando di essersene poi liberato gettandoli in un cestino). Anzi Salvi mostra una accesa irritazione per il fatto di aver saputo soltanto a fine aprile 2021 della circolazione nella primavera 2020 dei verbali al Csm, cioè soltanto quando il consigliere Nino di Matteo ne parlò ad altri consiglieri Csm: «Non vorrei scherzare su cose serie, ma il marito è sempre l’ultimo a sapere», scandisce Salvi: «Nessuno mi ha mai informato che esistessero queste copie in giro, e questa è una cosa che considero molto grave perché, se lo avessi saputo, avrei informato immediatamente il procuratore di Milano, posto che questi non erano neanche verbali, ma fogli estratti da un computer, che non potevano avere alcuna utilizzazione perché chiaramente coperti da segreto».
Al presidente Spanò che allora gli domanda se, qualora Davigo oggi fosse stato ancora in servizio anziché in pensione, avrebbe proceduto disciplinarmente contro di lui, Salvi fa capire di sì rispondendo indirettamente che «quando ero in carica ho esercitato l’azione disciplinare nei confronti di Storari, chiedendone anche il trasferimento d’ufficio», iniziativa però poi bocciata dal Csm «che mi ha risposto che le circolari Csm non sono chiare neanche per il Csm…». E gli altri consiglieri Csm che ebbero in mano i verbali, o che ne ebbero conoscenza, li avrebbe perseguiti disciplinarmente? «In quel momento non l’ho fatto sulla base delle informazioni che avevo, poi sono andato via» (in pensione): «Ma una cosa – aggiunge il proprio punto di vista Salvi – è ricevere atti segreti, e magari non cogliere la gravità di quanto si riceve; altra cosa è darli».
Leggiamo adesso cosa scrive Il Fatto Quotidiano: “La deposizione di Greco – “Una cosa è certa, quando Storari viene da me a parlarmi per fare le iscrizioni, il giorno dopo convoco la riunione che poi slitta all’8 maggio. In quale posto del suo cervello fissa che non volevo farle? Il problema è un altro: noi avevamo un fascicolo contenitore che era quello sul falso complotto, e bisognava fare lo stralcio. Storari, poi, è smentito dal fatto che firma l’ordine di identificazione il 24 aprile, ma perché non lo aveva fatto a gennaio?, di tre anni fa quanto terminano gli interrogatori di Amara”, ha raccontato Greco ai giudici, ricostruendo le varie fasi della primavera 2020. L’ex procuratore, oltre ad aver ribadito che di lì a poco sono stati iscritte nel registro degli indagati 3 persone e poi che si è dovuta definire la non semplice questione della competenza territoriale in favore di Perugia, nella sua ricostruzione ha ricordato il giorno in cui il pm Storari andò da lui per dirgli che “era stato lui a fare uscire i verbali e a consegnarli a Davigo. Poi si era messo a farfugliare, così l’ho pregato di mettere per iscritto tutto. Rimasi freddo e disarmato e ancora oggi mi rimprovero di non averlo fatto sedere e detto ‘calmati e vediamo come risolvere’. Ci sono rimasto male”. Greco ci ha tenuto a sottolineare di avere avuto con Storari sempre un rapporto “ottimo” , quasi “figliale” e negando ci fosse un “clima di scontro”. “Ci sono rimasto male anche per Davigo – ha aggiunto – Quando il Csm voto per il suo pensionamento, lo chiamai per esprimere la mia solidarietà” […] La deposizione di Salvi – Prima di Greco, al processo Davigo è stato ascoltato l’ex procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, che fu avvicinato da Davigo all’interno del “secondo cortile del Csm“. “Mi parlò preoccupato di una situazione appresa a Milano, un procedimento nato da dichiarazioni di Amara su una loggia massonica coperta potente e pericolosa di cui facevano parte soggetti istituzionali di alto livello fra cui anche due componenti del Csm e altri magistrati. A suo parere l’indagine languiva e non vi erano iniziative necessarie che sembravano opportune”, ha spiegato l’ex pg della Cassazione. “Ma – ha aggiunto – che ci fossero i verbali che circolavano fra consiglieri del Csm non lo sapevo. Nessuno mi ha citato la fonte d’informazioni, il nome Storari non è mai comparso“. Storari ha raccontato di aver risposto a Davigo così: “‘Farò quello che devo fare“. A quel punto si attivò con Greco. “La questione – ha detto Salvi – poteva essere dirompente e a mio parere l’indagine andava fatta. Greco mi disse che non era vero che non stavano andando avanti e che la situazione era sotto controllo”.
Chiudiamo con l’articolo de Il Dubbio: “Le dichiarazioni di Piero Amara, ex legale esterno dell’Eni, sulla presunta Loggia Ungheria erano «chiaramente di provenienza illecita» e «non poteva esserne fatto alcun uso formale» al Csm. Tant’è che l’atteggiamento di Piercamillo Davigo avrebbe potuto essere «punito» esercitando l’azione disciplinare. A dirlo ieri in aula a Brescia è stato l’ex procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, sentito come teste del processo a carico dell’ex consigliere del Csm Davigo, imputato per rivelazione del segreto d’ufficio. Quelle dichiarazioni, che «non erano nemmeno verbali ma fogli di carta estratti da un computer contenenti rivelazioni importantissime», ha sottolineato Salvi, erano state consegnate a Davigo dal pm milanese Paolo Storari, che si era rivolto a lui per denunciare il presunto immobilismo della procura di Milano sulle indagini da avviare per accertare quanto detto da Amara. E una volta ricevuti quei documenti, Davigo li mostrò a diversi consiglieri del Csm, alle sue segretarie e all’allora presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra, sottolineando la presenza tra i presunti affiliati alla loggia di Sebastiano Ardita (parte civile nel processo) e Marco Mancinetti, all’epoca consiglieri del Csm […] A parlare è stato anche l’ex procuratore Greco, che ha sparato a zero contro Storari. «In quale posto del cervello si è convinto che non avrei mai fatto le iscrizioni nel registro degli indagati? È smentito lui stesso dai fatti: il 24 aprile fa una delega alla polizia giudiziaria per identificare gli “Ungheresi”», ha dichiarato l’ex magistrato. «Se aveva tutta questa ansia da iscrizione come mai si è deciso solo il 24 aprile, quella è un’attività del pm di base – ha evidenziato. La realtà è che quell’anno Storari ha cominciato a vivere male perché sapeva di aver fatto una cosa che non doveva fare ( consegnare i verbali a Davigo, ndr) e ha avuto un anno di tempo per darsi una giustificazione». La consegna dei verbali lo avrebbe lasciato «ammutolito, non me lo aspettavo. Greco ha chiarito inoltre che Amara era il «primo avvocato dell’Eni per fatturato» e «dovevamo capire perché aveva fatto le cose che ha fatto». Proprio per tale motivo avrebbe rifiutato la richiesta di patteggiamento avanzata dal suo avvocato: «Mentre negli altri tribunali si patteggiava senza approfondire, la procura di Milano è stata l’unica che ha continuato ad indagare», ha concluso“.
Questo raccontano tre diversi quotidiani e adesso è chiaro perché non è stata una buona giornata per l’imputato.
Sono note le doti di aforista e battutista fulminante del Dr. Davigo.
Viene in mente una delle sue frasi più celebri: “Se invito il mio vicino a cena e lo vedo uscire da casa mia con la mia argenteria in tasca, non è che per non invitarlo più devo aspettare la sentenza della Corte Suprema di Cassazione. Smetto subito di invitarlo a cena“.
Talmente azzeccata che anche Salvi e Greco l’hanno fatta propria, applicandola al suo creatore.
