Le Sezioni unite civili della Corte di cassazione, con la sentenza n. 29862/2022 (camera di consiglio del 12 luglio 2022), hanno sottolineato il principio della stabilità dell’interpretazione delle norme processuali, considerandolo alla stregua di un valore generale dell’ordinamento.
Tale principio, ripetutamente affermato dallo stesso organo nomofilattico, può così riassumersi: sebbene nel nostro sistema processuale non viga la regola dello stare decisis, nondimeno la stabilità dell’interpretazione delle norme processuali è un valore immanente nell’ordinamento, a salvaguardia della certezza del diritto ed a tutela del diritto di difesa.
Pertanto quanto l’interpretazione di una norma processuale sia consolidata, essa può essere abbandonata solo in due casi: o in presenza di “forti ed apprezzabili ragioni giustificative, indotte dal mutare dei fenomeni sociali o del contesto normativo” (Sezioni unite civili, sentenze nn. 13620/2012 e 927/2022 e ordinanza n. 2736/2017); oppure quando l’interpretazione consolidata “risulti manifestamente arbitraria e pretestuosa o dia luogo a risultati disfunzionali, irrazionali o ingiusti, atteso che l’affidabilità, prevedibilità e uniformità dell’interpretazione delle norme processuali costituisce imprescindibile presupposto di uguaglianza tra i cittadini e di giustizia del processo” (Sezioni unite civili, ordinanza n. 23675/2014).
È corollario di questo principio che quando una norma processuale può teoricamente essere interpretata in due modi diversi, ambedue compatibili con la lettera della legge, è doveroso preferire quella sulla cui base si sia formata una sufficiente stabilità di applicazione nella giurisprudenza della Corte di cassazione.
L’interpretazione delle norme processuali penali
È interessante comprendere se la stabilità interpretativa delle norme processuali sia apprezzata e praticata anche in ambito penale.
La risposta – lo si anticipa subito – è negativa ed è tale in un duplice senso: sono ammessi i mutamenti giurisprudenziali (cosiddetti overruling) che riguardano norme processuali penali; è considerata legittima la loro efficacia retroattiva anche quando si tratti di un overruling sfavorevole che imponga cioè di ritenere esistente una decadenza o una preclusione in precedenza escluse, fatta eccezione soltanto per il mutamento imprevedibile (considerandosi tale una tesi interpretativa radicalmente nuova e dunque non compresa tra gli indirizzi che già si contendono il campo nel dibattito giurisprudenziale di legittimità e tra i quali le Sezioni unite operano la loro scelta allorché siano chiamate a dirimere un conflitto).
È espressione di questo consolidato indirizzo tra le tante Cass. pen., Sez. 3^, sentenza n. 1731/2021, udienza del 27 dicembre 2020 (allegata alla fine del post) per un cui apprezzabile commento si rinvia a B. Fragrasso, Sulla retroattività dell’overruling in materia processuale, tra soggezione del giudice alla legge e giusto processo, in Sistema Penale, 17 marzo 2021, a questo link).
Al di là del giudizio che si voglia avere dell’apparato argomentativo della decisione, un fatto è certo: nel caso di specie una parte processuale aveva proposto appello attenendosi ad un orientamento di legittimità esistente nel momento in cui ha agito e di seguito la sua impugnazione è stata ritenuta tardiva e quindi inammissibile sulla base di una pronuncia successiva delle Sezioni unite penali che ha sconfessato quell’orientamento preferendogli un altro di segno opposto.
Sorgono al riguardo due problemi, entrambi bellamente ignorati dalla pronuncia citata.
Qual è il comportamento esigibile per la parte che debba compiere un atto processuale regolato da norme sulle quali vi sia un conflitto interpretativo? Le si può imputare di essersi determinata sulla base dell’orientamento soccombente? Le si può addossare una sorta di onere predittivo che le imponga di individuare preventivamente l’indiritto che risulterà prevalente e le si può far pagare un prezzo così salato se la sua predizione risultasse sbagliata?
Se si ritenesse che no, che una simile pretesa altera irreversibilmente il giusto processo e non ha diritto di cittadinanza, quale dovrebbe essere il rimedio per ripristinare l’equilibrio violato? Si potrebbe pensare ad una restituzione in termini?
Qualche considerazione conclusiva
Si è portati a pensare che nel giudizio penale lo statuto garantistico di chi si difende debba necessariamente comprendere un vero e proprio diritto alla certezza delle regole processuali, inteso come presidio imprescindibile contro sempre possibili atteggiamenti arbitrari o veri e propri abusi.
E tuttavia, la strada indicata dalle Sezioni unite civili, condivisibile senza riserve, viene considerata impropria in sede penale. Se ne possono al massimo citare i principi ma poi li si abbandona strada facendo quando servirebbe applicarli più che citarli.
