Patrocinio a spese dello Stato e stranieri: dichiarazione consolare al vaglio della Consulta (di Riccardo Radi)

Secondo un giudice non è ammissibile che “lo Stato italiano diventi un mero pagatore a richiesta, sulla base di mere autodichiarazioni dell’istante, in assenza di controlli dello stato di provenienza e nella impossibilità di utili controlli sulle dichiarazioni dell’indagato/imputato”.

A parte la maiuscola e minuscola della parola Stato a secondo del riferimento, noi siamo sempre maliziosi, sarà un semplice refuso della Gazzetta Ufficiale n. 12 del 22 marzo 2023 dove si comunica ai lettori che è stata sollevata questione di incostituzionalità in merito alla certificazione consolare attestante le condizioni di reddito dello straniero.

In tema di ammissione al Patrocinio a spese dello Stato per i cittadini stranieri non appartenenti all’Unione europea per i redditi prodotti all’estero, l’istanza prevista dall’articolo 79 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 deve essere corredata con una certificazione dell’autorità consolare competente, che attesta la veridicità di quanto in essa indicato.

Nella pratica lo straniero allega all’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato una autocertificazione della sussistenza del requisito reddituale, accompagnata dall’attestazione dell’autorità consolare competente dalla quale risulti che, “per quanto a conoscenza” della stessa, l’autocertificazione non è mendace o autocertificazione da parte dell’istante che attesti “la mera omissione di certificazione da parte della richiesta autorità consolare, per inerzia o ritardo” Cassazione 8617/18.

L’art. 94 (specifico per il settore penale) prevede che: “In caso di impossibilità a produrre la documentazione richiesta ai sensi dell’art. 79, comma 2, il cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea, la sostituisce, a pena di inammissibilità, con una dichiarazione sostitutiva di certificazione”.

Nel procedimento penale si deve pertanto ritenere che: 1) la autocertificazione sia presupposto di ammissibilità della istanza, e 2) sia possibile come dice chiaramente e univocamente il tenore della norma solo in caso di impossibilità a produrre la documentazione richiesta ai sensi dell’art. 79, comma 2.

La Corte di cassazione, poi, con giurisprudenza che allo stato appare maggioritaria e da ultimo non controversa, ha ritenuto che, in relazione all’art. 94 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, per integrare il requisito dell’impossibilità a produrre la certificazione di cui all’art. 79, comma 2 che consente la produzione di autocertificazione da parte dell’istante, non sia necessaria la assoluta impossibilità di produrre la certificazione consolare, bastando anche la mera omissione di certificazione da parte della richiesta autorità consolare, per inerzia o ritardo (Cassazione 8617/18).

Quindi di fatto allo stato per lo straniero è sufficiente corredare l’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato con una autocertificazione della sussistenza del requisito reddituale, accompagnata dall’attestazione dell’autorità consolare competente dalla quale risulti che, “per quanto a conoscenza” della stessa, l’autocertificazione non è mendace

In particolare, la limitazione dell’attestazione di non mendacio della autocertificazione all’eventuale conformità con quanto possa essere a conoscenza dell’autorità consolare da una parte consente in realtà che nessuna verifica sia fatta e d’altra parte priva di ogni elemento di valutazione il giudice chiamato a provvedere sulla base dell’auto certificazione.

Il Tribunale di Macerata con ordinanza che si allega (GU 1a Serie Speciale – Corte Costituzionale n.12 del 22-3-2023) ha sollevato questione d’incostituzionalità: “Promuove di ufficio, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 79 comma II del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 nella parte in cui prevede che la dichiarazione in ordine ai redditi esteri dell’istante sia rilasciata dalla sola autorità consolare e non dalla autorità consolare o dalla diversa autorità competente secondo l’ordinamento estero dello Stato straniero”.

Ritiene il giudice remittente contrastante con il principio di ragionevolezza e di parità di trattamento (tra soggetti residenti in paesi il cui consolato effettua rilascia certificazione terza e imparziale, anche previe necessarie indagini, e soggetti che possono avvalersi della mera autocertificazione in quanto il consolato dello stato di appartenenza non è abilitato a tale attività) che tale certificazione vada indistintamente richiesta alla autorità consolare, e non alla autorità competente al rilascio di tale certificazione secondo il diritto interno del paese di appartenenza dell’istante (nel caso di specie il consolato ha espressamente chiarito che quanto richiesto non rientra nelle proprie competenze, indicando la diversa autorità a ciò preposta).

Il giudice remittente sottolinea l’irragionevolezza intrinseca della disciplina dell’onere documentale perché il legislatore, se da una parte nella sua discrezionalità può individuare in termini analoghi per il cittadino e per lo straniero la situazione reddituale che definisce la condizione di non abbienza come presupposto per la spettanza del beneficio, non può però rinunciare solo per lo straniero a prevedere una qualche verifica e controllo che non siano legati unicamente all’eventualità, meramente ipotetica e casuale, che all’autorità consolare già risultino elementi di conoscenza utili a valutare l’autocertificazione del presupposto.

L’art. 5, comma 3, cit. va quindi dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 3 della Costituzione (assorbita la denuncia di violazione anche dell’art. 101, comma 2, della Costituzione) e la reductio ad legitimitatem può essere operata eliminando dalla disposizione censurata l’inciso “per quanto a conoscenza della predetta autorità”.

Per effetto di tale pronunzia l’autorità consolare, se vuole rendere una attestazione utile in favore dell’interessato, non può più limitarsi a raffrontare l’autocertificazione con i dati conoscitivi di cui eventualmente disponga, ma (nello spirito di leale collaborazione tra autorità appartenenti a Stati diversi) ha (non certo l’obbligo, ma ) l’onere (implicito nella riferibilità ad essa di un atto di asseveramento di una dichiarazione di scienza) di verificare nel merito il contenuto dell’autocertificazione indicando gli accertamenti eseguiti».

Asserzioni che evidenziano univocamente, pur nella diversità del petitum e nel cambiamento della norma, la necessità di un controllo quanto più possibile effettivo sulla sussistenza in capo al cittadino extracomunitario delle condizioni legittimanti il beneficio e la impossibilità che lo Stato italiano diventi un mero «pagatore a richiesta», sulla base di mere autodichiarazioni dell’istante, in assenza di controlli dello stato di provenienza e nella impossibilità di utili controlli sulle dichiarazioni dell’indagato/imputato.