Sì, no, forse, le sentenze ondivaghe della cassazione
Vogliamo contestare il contenuto di un verbale d’udienza, come dobbiamo procedere? Proviamo a rispondere all’interrogativo esaminando due recentissime sentenze della cassazione che hanno espresso principi diametralmente opposti.
Il verbale di udienza documenta gli atti e gli accadimenti che avvengono nel corso dell’udienza ed le modalità di redazione e contenuto sono regolate dagli articoli 134-142 del c.p.p.
La cassazione sezione 4 con la sentenza numero 5627/2023 ha stabilito: “Il verbale d’udienza nel procedimento penale fa piena prova fino a querela di falso di quanto in esso attestato, trattandosi di atto pubblico redatto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni, il cui regime di efficacia è disciplinato dall’art. 2700 cod. civ. (Conf. Sez. 3, n. 7785 del 1996, Rv. 206056-01)”.
La cassazione sezione 2 con la sentenza numero 40756/2021, invece ha statuito: “Il verbale di udienza non ha valore probatorio privilegiato e, pertanto, le contestazioni del suo contenuto non richiedono la presentazione di querela di falso, ma sono definite nell’ambito del processo penale, alla stregua di ogni altra questione, con i limiti di cui all’art. 2, comma 2, cod. proc. pen.”
In motivazione la Corte ha precisato che la falsità del verbale deve essere accertata sulla base dell’univoca capacità dimostrativa delle prove raccolte, attraverso un percorso argomentativo razionale, rigoroso e privo di vizi logici.
Queste le basi per trovare una risposta.
Secondo parte della giurisprudenza il verbale d’udienza nel procedimento penale fa piena prova fino a querela di falso di quanto in esso attestato, trattandosi di atto pubblico redatto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni, il cui regime di efficacia è sancito dalla norma generale di cui all’art. 2700 cod. civ. (Sez. 1, Sentenza n. 1553 del 19/11/2018, dep. 2019, Rv. 274796; Sez. 3, Ordinanza n. 13117 del 27/01/2011 3 Rv. 249918 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 9975 del 28/01/2003, Rv. 223819).
Secondo tale orientamento il verbale d’udienza è infatti atto pubblico dotato di fede legale privilegiata ai sensi dell’art. 2700 cod. proc. civ che può essere compromessa solo all’esito dello speciale procedimento previsto dagli artt. 221 e ss. cod. proc. civ..
Non è invece possibile in via incidentale, nell’ambito del procedimento penale elidere la capacità probatoria privilegiata dell’atto pubblico.
Secondo altra interpretazione i verbali di udienza non hanno valore probatorio privilegiato e, pertanto, le contestazioni del loro contenuto non richiedono la presentazione di querela di falso, ma sono definite nell’ambito del processo penale, alla stregua di ogni altra questione, con i limiti di cui all’art. 2, comma 2, cod. proc. Pen. (Sez. 6, Sentenza n. 1361 del 04/12/2018, dep. 2019 Rv. 274839 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 3215 del 22/05/1998, Rv. 211305; Sez. 5, n. 610 del 22/02/1993, Rv. 195014 Sez. 5, n. 123 del 10/01/1994, Rv. 197729).
In particolare il precedente indicato della sezione 6 n. 1361/2018 ha chiarito che: I verbali delle attività di polizia giudiziaria non hanno valore probatorio privilegiato e, pertanto, le contestazioni del loro contenuto non richiedono la presentazione di querela di falso, ma sono definite nell’ambito del processo penale, alla stregua di ogni altra questione, con i limiti di cui all’art. 2, comma 2, cod. proc. pen.
In motivazione la Cassazione ha chiarito che il mancato riconoscimento a tali atti della fede privilegiata di cui all’art. 2700 cod. civ. deriva dall’omessa previsione, nel nuovo codice di procedura penale, dell’istituto dell’incidente di falso e dalla non riferibilità agli atti del processo penale della disciplina processual-civilistica, non essendo neppure prevista la sospensione del processo penale in attesa della decisione definitiva in quello civile.
Nel tracciare tali condivise linee interpretative la Cassazione ha rilevato che nel codice di rito attuale non è prevista alcuna pregiudiziale civile né, come nel previgente alcun “incidente di falso” (subprocedimento che, comunque, si svolgeva nell’ambito dello stesso processo penale); ma soprattutto ha evidenziato che l’art. 193 cod. proc. pen. esclude l’applicabilità al processo penale della disciplina che regola la valutazione delle prove nel processo civile.
Pertanto non può che ribadirsi che l’attendibilità di un atto “del” processo va decisa dallo stesso giudice procedente, «senza alcuna specifica procedura, sulla scorta di una seria offerta di prova della parte interessata» (così: citata Sez. 6, Sentenza n. 1361 del 04/12/2018, dep. 2019 Rv. 274839).
Le rare interrelazioni tra processo civile e penale sono invece disciplinate dall’art. 3 cod. proc. pen. che le limita – prevedendo la sospensione del processo – a quelle di stato di famiglia e cittadinanza, mentre, si ribadisce, non vi è alcuna previsione di questioni pregiudiziali di falsità di atti, la cui trattazione consenta la sospensione del processo penale.
Confortano tale interpretazione “l‘art. 241 cod. proc. pen. che, in tema di documenti falsi, lascia chiaramente intendere come l’accertamento di falsità di atti cui consegue la trasmissione al pubblico ministero spetti al giudice che procede, nonché l’art. 537 cod. proc. pen. che prevede che il giudice che pronunci condanna dia le disposizioni correttive rispetto agli atti falsi”; ne consegue che “la previsione di atti pubblici con fede privilegiata e la necessità di un giudizio civile autonomo per accertarne la falsità riguarda soltanto la prova civile (con estensione alla prova nei processi amministrativi e tributario” (Sez. 6, Sentenza n. 1361 del 04/12/2018, dep. 2019 Rv. 274839).
In conclusione, dunque la tesi che preferiamo è che la eventuale falsità di un atto del processo, e, segnatamente del verbale di udienza non deve essere stabilita dal giudice civile, ma deve essere accertata dal giudice penale, che la verificherà sulla base delle ordinarie regole probatorie senza necessità di ricorrere al procedimento per “querela di falso”.
La “falsità” del verbale deve cioè essere dimostrata sulla base di prove raccolte con le regole applicabili al rito penale, delle quali sia apprezzata la univoca capacità dimostrativa attraverso un percorso argomentativo, razionale, rigoroso e privo di vizi logici.
