Furto in abitazione non configurabile in assenza di nesso finalistico tra l’introduzione e l’impossessamento (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 4 con la sentenza 3716/2023 ha stabilito che ai fini della configurabilità del reato di furto in abitazione, è necessario che sussista, tra l’introduzione nell’abitazione e l’impossessamento della cosa mobile, un nesso finalistico e non meramente occasionale o integrato dallo sfruttamento di un’occasione propizia.

Fatto

La cassazione ha premesso che il furto di che trattasi, ha riguardato una caldaia a pellet posta all’interno del locale taverna sito al piano terra di una villetta sottoposta ad opera di ristrutturazione.

Risulta pacifico che l’imputato è autore del furto ma era anche l’incaricato della ristrutturazione dell’immobile.

Non vi è dubbio che, nella specie, il bene sia stato rimosso da un luogo destinato, per sua natura, a privata dimora.

Decisione

La Suprema Corte rileva che il giudice di merito ha mancato di esaminare correttamente l’ulteriore elemento richiesto dalla norma incriminatrice, quello cioè della introduzione nell’immobile.

Sul punto, è opportuno ricordare, in linea generale, che il Supremo collegio di nomofilachia, nel comporre un contrasto giurisprudenziale sul discrimine tra le fattispecie di cui 3 agli artt. 624 e 624 bis, cod. pen., ha optato per una interpretazione assai rigorosa della nozione di privata dimora, constatandone una dilatazione ermeneutica da parte della giurisprudenza di legittimità, a tratti stridente con il principio di maggior offensività che deve orientare il giudice nel valutare le connotazioni di maggior severità sanzionatoria rispetto all’ipotesi di furto “base”.

Pertanto, ai fini della configurabilità del più grave reato previsto dall’art. 624 bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale (Sez. U, n. 31345 del 23/3/2017, D’Amico, Rv. 270076).

Alla stregua di tale rigorosa lettura, si è escluso che nella nozione rientrino, per esempio, i luoghi di lavoro, salvo che il fatto sia avvenuto all’interno di un’area riservata alla sfera privata della persona offesa, mentre vi rientrano quelli adibiti «in modo apprezzabile sotto il profilo cronologico allo svolgimento di atti della vita privata, non limitati questi ultimi soltanto a quelli della vita familiare e intima (propri dell’abitazione)», nonché i luoghi che, ancorché non destinati allo svolgimento della vita familiare o domestica, abbiano, comunque, le caratteristiche dell’abitazione.

Sono stati, così, evidenziati tre elementi necessari ai fini della sussistenza dell’ipotesi di reato in esame:

a) l’utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne;

b) la durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità;

c) la non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare (Sez. U, D’Amico cit.).

La giurisprudenza successiva, in maniera del tutto coerente con tali enunciati, ne ha calibrato la portata, riconoscendo, per esempio, l’irrilevanza del fatto che l’abitazione sia disabitata o affidata a una impresa edile per la ristrutturazione, poiché ciò non muta la natura del luogo che non può considerarsi per ciò solo aperto al pubblico e accessibile a terzi (sez. 2, n. 39098 del 11/7/2017, in un caso in cui si è ritenuta correttamente riconosciuta l’aggravante di cui all’art. 628, c. 3, n. 3-bis, cod. pen., in relazione all’art. 624 bis, anche nel caso in cui l’agente si introduca in una abitazione – quand’anche non utilizzata dai titolari – in cui siano in corso lavori di ristrutturazione; ma anche sez. 5, n. 36222 del 7/7/2022).

Allo stesso modo, si è ritenuto integrare la nozione di privata dimora, secondo le indicazioni delle Sezioni Unite, l’immobile che, seppur non abitato e in cattivo stato di manutenzione, tuttavia non sia abbandonato, ciò affermandosi soprattutto alla luce del carattere di stabilità del rapporto che leghi il luogo fisico con la vita privata del titolare del diritto e del fatto che la dimora abbia una concreta connotazione che la riconduca alla personalità del titolare (sez. 4, n. 1782 del 18/12/2018, dep. 2019, Rv. 275073).

In tali casi, infatti, è indubbio l’interesse al legame stabile del titolare con l’abitazione, benché apparentemente abbandonata, e la rivendicazione del corrispondente, tradizionale elemento di fattispecie costituito dallo ius excludendi alios, dimostrato, nella specie, proprio dalla rivendicazione del bene sottratto, custodito in quello stesso luogo.

La circostanza che il bene fosse custodito in un luogo separato rispetto al cantiere, peraltro, evidenzia anche l’inaccessibilità di quel luogo a soggetti non autorizzati, quella che l’imputato lo fosse in base al rapporto commerciale non escludendo l’elemento costitutivo del reato come suggerito dalla difesa.

Ma tutto ciò non rileva ai fini di specie, atteso che, in questo caso, non è in discussione la natura del luogo nel quale il furto è stato consumato, né la relazione tra lo stesso e la persona offesa, bensì la relazione tra il luogo e l’agente, come del resto emerge dallo stesso dato letterale della norma incriminatrice («Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in un altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa»).

Ed è proprio su tale aspetto che va colto l’errore in diritto dei giudici territoriali, colto dalla difesa. La cassazione ha già chiarito, proprio in un caso analogo, nel quale l’agente aveva posto in essere la condotta sfruttando la relazione di ospitalità con la vittima, che, ai fini della configurabilità del reato di furto in abitazione è necessario che sussista il nesso finalistico – e non un mero collegamento occasionale – fra l’ingresso nell’abitazione e l’impossessamento della cosa mobile, in quanto il nuovo testo dell’art. 624 bis cod. pen., novellato dall’art. 2, c. 2, della legge n. 128/2001, pur ampliando l’area della punibilità in riferimento ai luoghi di commissione del reato, non ha innovato quanto alla strumentalità dell’introduzione nell’edificio, quale mezzo per commettere il reato, già preteso dalla previgente normativa di cui all’art. 625, c. 1, n. 1, cod. pen. (in motivazione, sez. 4, n. 18792 del 28/3/2019, Rv. 276087, in cui si opera un richiamo anche a sez. 5, n. 21293 del 1/4/2014, Rv. 260226 e a sez. 5, n. 14868 del 15/12/2009 dep. il 2010, Rv. 246886; ma vedi anche sez. 4, n. 3450 del 20/12/2018, dep. 2019, Rv. 275115, sempre in fattispecie in cui l’agente aveva avuto accesso all’abitazione in quanto ospite del proprietario).

Va, quindi, anche in questa sede ribadito che la mera occasionalità della presenza all’interno del luogo di privata dimora o nelle sue pertinenze, è insufficiente a configurare la fattispecie contestata, sia in relazione all’abrogato art. 625 c. 1, cod. pen., sia – mutatis mutandis – a quella successivamente introdotta dell’art. 624 bis, cod. pen.

Infatti, la dizione «...mediante introduzione in un edificio o in un altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa», contenuta nel testo attuale, esprime in maniera chiara il rapporto di strumentalità dell’introduzione nell’edificio rispetto all’azione predatoria posta in essere, essendo un mezzo per commettere il reato, non diversamente da quanto era precedentemente espresso nel testo abrogato con le parole «…per commettere il fatto, si introduce o si intrattiene in un edificio .. ».

Del resto, il legislatore, quando ha voluto prescindere dal nesso finalistico, ha agito diversamente, correlando ad esempio le aggravanti di cui all’art. 625 nn. 6 e 7, cod. pen. alla pura e semplice collocazione delle cose sottratte in determinati luoghi, uffici o stabilimenti.

E infatti, l’esegesi letterale della norma (come affermato in motivazione in sez. 5, n. 21293/2014, cit.) porta anche a rilevare che la nuova disposizione non ha riprodotto la possibilità di configurare la fattispecie anche nel caso in cui l’impossessamento sia realizzato durante l’abusivo trattenimento nell’edificio, previsto invece espressamente dall’art. 625, n. 1, cit.

In quel caso, infatti, la cassazione ha ritenuto configurabile solo l’aggravante di cui all’art. 61 n. 11, cod. pen.

Viceversa, si avrà furto in abitazione quando l’introduzione nell’abitazione del soggetto passivo avvenga a seguito di consenso di quest’ultimo carpito con l’inganno (sez. 5, n. 13582 del 02/03/2010, Rv. 246902), poiché la fattispecie incriminatrice dettata dall’art. 624 bis richiama indubbiamente la sottostante condotta di violazione di domicilio, sanzionata dall’art. 614, cod. pen., norma che riguarda comportamenti di introduzione nell’altrui dimora, realizzati “con inganno” o “contro la volontà espressa o tacita di chi ha diritto di escluderlo“.