Garanzia della presunzione d’innocenza e precedenti di polizia per non concedere la sospensione condizionale pena: una dicotomia confermata dalla cassazione (di Riccardo Radi)

La sospensione condizionale della pena può essere preclusa dai precedenti di polizia nonostante l’introduzione dell’articolo 115-bis cpp. (garanzia della presunzione di innocenza).

La cassazione sezione 4 con la sentenza numero 4188/2023 ha stabilito che in tema di sospensione condizionale della pena, ai fini della formulazione del giudizio prognostico, il giudice può tener conto dei precedenti di polizia dell’imputato, anche a seguito dell’entrata in vigore del nuovo articolo 115-bis c.p.p., purché dalla valutazione degli stessi possano trarsi concreti elementi fattuali che giustifichino una valutazione negativa della sua personalità e una prognosi di ulteriore recidiva.

In motivazione la Corte ha escluso che, ai fini delle decisioni relative alla sospensione condizionale della pena, assuma rilevanza la nuova disciplina prevista dall’art. 115-bis cod. proc. pen. (rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza), introdotto dal d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188, perché relativa ai provvedimenti diversi da quelli volti alla decisione sulla responsabilità dell’imputato.

Il tema della rilevanza dei precedenti giudiziari e di polizia ai fini del giudizio prognostico richiesto dall’art. 163 cod. pen è stato più volte affrontato dalla giurisprudenza di legittimità.

Si è sostenuto che “la prognosi non favorevole alla concessione della sospensione condizionale della pena può fondarsi sui precedenti di polizia, poiché nessuna disposizione ne prevede l’inutilizzabilità, ed anzi l’art. 9 della legge n. 121 del 1981 prevede espressamente la possibilità di accesso dell’Autorità Giudiziaria ad essi” (Sez. 2, n. 18189 del 05/05/2010, Rv. 247469; Sez. 5, n. 9106 3 del 21/10/2019, dep. 2020, Rv. 278685).

Si è affermato, inoltre, che la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena è rimessa alla discrezionalità del giudice, il quale l’accorda solo se, avuto riguardo alle circostanze di cui all’art. 133 cod. pen., “presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati“.

Tale presunzione non deriva, come effetto automatico, dall’assenza di precedenti condanne risultanti dal certificato penale, potendo giustificare un convincimento contrario non solo il comportamento processuale dell’imputato, ma anche i precedenti giudiziari (Sez. 6, n. 16172 del 22/06/1989, Rv. 182615).

In un contesto diverso, quale è quello relativo alla possibilità di concedere le attenuanti generiche, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che, alla luce dei criteri di determinazione della pena di cui all’art. 133 cod. pen., il giudice può considerare i precedenti giudiziari, ancorché non definitivi (Sez. 5, n. 39473 del 13/06/2013, Rv. 257200; Sez. 5, ord. n. 3540 del 05/07/1999, Rv. 214477).

Si è sostenuto, inoltre, che, ai fini della determinazione della pena, “il giudice può trarre elementi di valutazione sulla personalità dell’imputato dalla pendenza di altri procedimenti penali a suo carico, anche se successivi al compimento dell’illecito per cui si procede” (Sez. 6, n. 21838 del 23/05/2012, Rv. 252881).

Così delineato il quadro giurisprudenziale di riferimento, si deve valutare se possa avere incidenza su di esso l’introduzione dell’art. 115-bis cod. proc. pen. operata dal d.lgs. 8 novembre 2021 n. 188 (recante «Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali») che limita, anche nei provvedimenti giurisdizionali, i riferimenti alla colpevolezza dell’imputato fino a che la responsabilità non sia stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili.

Articolo 115-bis c.p.p. (Garanzia della presunzione di innocenza). 

“1. Salvo quanto previsto dal comma 2, nei provvedimenti diversi da quelli volti alla decisione in merito alla responsabilità penale dell’imputato, la persona sottoposta a indagini o l’imputato non possono essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili. Tale disposizione non si applica agli atti del pubblico ministero volti a dimostrare la colpevolezza della persona sottoposta ad indagini o dell’imputato.

2. Nei provvedimenti diversi da quelli volti alla decisione in merito alla responsabilità penale dell’imputato, che presuppongono la valutazione di prove, elementi di prova o indizi di colpevolezza, l’autorità giudiziaria limita i riferimenti alla colpevolezza della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato alle sole indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti, i requisiti e le altre condizioni richieste dalla legge per l’adozione del provvedimento.

3. In caso di violazione delle disposizioni di cui al comma 1, l’interessato può, a pena di decadenza, nei dieci giorni successivi alla conoscenza del provvedimento, richiederne la correzione, quando è necessario per salvaguardare la presunzione di innocenza nel processo.

4. Sull’istanza di correzione il giudice che procede provvede, con decreto motivato, entro quarantotto ore dal suo deposito. Nel corso delle indagini preliminari è competente il giudice per le indagini preliminari. Il decreto è notificato all’interessato e alle altre parti e comunicato al pubblico ministero, i quali, a pena di decadenza, nei dieci giorni successivi, possono proporre opposizione al presidente del tribunale o della corte, il quale decide con decreto senza formalità di procedura. Quando l’opposizione riguarda un provvedimento emesso dal presidente del tribunale o dalla corte di appello si applicano le disposizioni di cui all’articolo 36, comma 4.

La formulazione letterale della norma conduce ad una risposta negativa.

La disposizione in esame, infatti, si applica solo “nei provvedimenti diversi da quelli volti alla decisione in merito alla responsabilità penale dell’imputato” e da quelli che “presuppongono la valutazione di prove, elementi di prova o indizi di colpevolezza”.

Ne consegue che le decisioni che riguardano l’applicazione delle attenuanti generiche e quelle che attengono alla possibilità di concedere la sospensione condizionale della pena, in quanto volte alla decisione in merito alla responsabilità penale sotto il profilo della determinazione del trattamento sanzionatorio, possono 4 continuare a tener conto dei precedenti giudiziari e di polizia.

Si deve ritenere, però, che tali precedenti non possano avere rilevanza in quanto tali, non sia quindi possibile limitarsi a citarli, ma sia necessario valutarli nel merito, verificando il contenuto e l’esito delle segnalazioni e delle pendenze, per verificare se dalle stesse possano essere tratti concreti elementi fattuali che giustifichino una valutazione negativa della personalità dell’imputato e una prognosi di ulteriore recidiva.

Va ribadito, quindi, l’orientamento espresso da una sentenza, risalente nel tempo, ma quanto mai attuale, secondo la quale il precedente giudiziario in tanto può contribuire alla valutazione della pericolosità (a sua volta desumibile dalle circostanze indicate nell’art. 133 cod. pen., fra le quali sono compresi, appunto, i precedenti giudiziari) in quanto sia dato dedurre da esso e da ogni altro concorrente elemento che l’imputato non offra alcuna presuntiva garanzia di astensione dal commettere ulteriori reati.

Al riguardo il semplice “carico pendente“, sia pure specificato nel suo contenuto, non fornisce, nella sua precarietà, alcun elemento significativo della personalità, in senso negativo, del soggetto» (Sez. 2, n. 300 del 29/11/1989, dep. 1990, Rv. 183024).

Applicando questi principi al caso che ci occupa, si deve osservare che la sentenza impugnata ha valutato negativamente una denuncia per furto il cui esito e il cui contenuto non sono noti né sono stati esaminati in motivazione.

Quanto alla circostanza (riferita dal giudice di primo grado) che l’imputato, pur avendo avanzato istanza di messa alla prova, non si sia sottoposto al programma elaborato dall’UEPE, si tratta di un comportamento che, da se solo, non è significativo di propensione a delinquere e potrebbe essere stato determinato da esigenze di carattere personale.

Le ragioni di questa scelta, comunque, non sono note sicché non è ragionevole desumere dalla stessa che l’imputato non offra alcuna presuntiva garanzia di astensione dal commettere ulteriori reati. Come già precisato, inoltre, nel caso di specie, l’entità della pena inflitta non preclude la sospensione condizionale essendo astrattamente applicabile l’art. 163, comma 3, cod. pen.

Per quanto esposto, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello territoriale per nuova valutazione in ordine alla concedibilità del beneficio della sospensione condizionale.