Fonte normativa
Il delitto di autoriciclaggio, previsto e punito dall’art. 648-ter.1, è stato introdotto nell’ordinamento dall’art. 3, comma 3, L. 186/2014.
Rassegna di giurisprudenza
…Storia ed analisi dell’istituto
Il difetto di incriminazione dell’autoriciclaggio è stato per lungo tempo giustificato sulla base del divieto di bis in idem, ovvero del criterio dell’assorbimento, alla stregua del quale perseguire per riciclaggio l’autore del delitto presupposto avrebbe significato addebitare due volte al medesimo soggetto un accadimento unitariamente valutato dal punto di vista normativo, quindi sanzionare due volte un medesimo fatto. Tuttavia, a seguito di ampio dibattito, ed anche al fine di assecondare varie sollecitazioni internazionali, con L. 186/2014 (art. 3, comma 3) è stata disposta l’introduzione dell’art. 648-ter.1, che ha comportato il superamento della tradizionale posizione, determinandosi la punibilità anche della condotta di autoriciclaggio, con la quale, è stato correttamente osservato, si tutela un bene giuridico diverso da quello del reato presupposto (spesso punito meno gravemente del riciclaggio; si pensi, ad esempio, al peculato, alle corruzioni, all’appropriazione indebita, al furto, alla truffa, alle frodi fiscali). Dunque, la punizione dei reati contro il patrimonio non può “consumare” anche la condotta di autoriciclaggio, che infatti aggredisce altro bene giuridico, e cioè l’ordine pubblico economico. Con l’introduzione dell’art. 648-ter.1 il delitto presupposto è dunque destinato, nella pratica, a convivere con questa omnicomprensiva fattispecie, tanto che l’autoriciclaggio ben può diventare la “coda” di ogni altro delitto non colposo che produca proventi, riciclaggio e ricettazione compresi. Come accennato, alla incriminazione delle condotte di autoriciclaggio si è giunti in Italia dopo molteplici sollecitazioni internazionali (ad esempio, l’OCSE, nel Rapporto sull’Italia del 2011, aveva paventato come la lacuna rischiasse di indebolire la legislazione anticorruzione; analogamente l’FMI, nel Rapporto sull’Italia del 2006, ne raccomandava l’introduzione anche alla luce delle esigenze investigative rappresentate dalle stesse autorità italiane). Nella medesima prospettiva è stato pure osservato come il legislatore abbia anche valorizzato le risultanze delle audizioni del Governatore della Banca d’Italia (del 15 luglio 2008 davanti alle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia del Senato e del 22 luglio 2009 davanti alla Commissione Antimafia), nonché le indicazioni fornite alla Commissione Antimafia in data 17 marzo 2009 dal Procuratore Nazionale Antimafia. Dunque, il testo dell’art. 648 ter.1 adottato dal legislatore italiano rappresenta il frutto della citata evoluzione, e del tutto logicamente deve ritenersi che abbia inteso perseguire, mediante l’utilizzo delle ampie locuzioni citate (attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative), qualsiasi forma di re-immissione delle disponibilità di provenienza delittuosa all’interno del circuito economico legale; tuttavia, al fine di evitare la violazione di principi fondamentali del diritto penale (ne bis in idem sostanziale), il testo, pur incriminando la condotta di impiego, sostituzione o trasformazione attuata dall’autore del delitto presupposto, l’ha limitata, escludendo la punizione della stessa sotto il profilo oggettivo, e cioè per difetto di offensività rispetto al bene giuridico protetto (ordine pubblico economico), prevedendo che la condotta deve essere tale da “ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa”, nonché limitandola sotto il profilo soggettivo con l’introduzione della clausola di non punibilità del quarto comma. Come condivisibilmente osservato in sede di legittimità (Sez. 2, 33074/2016), la norma sull’autoriciclaggio punisce soltanto quelle attività di impiego, sostituzione o trasferimento di beni od altre utilità commesse dallo stesso autore del delitto presupposto che abbiano però la caratteristica specifica di essere idonee ad “ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”. Il legislatore ha richiesto pertanto che la condotta sia dotata di particolare capacità dissimulatoria, sia cioè idonea a fare ritenere che l’autore del delitto presupposto abbia effettivamente voluto effettuare un impiego di qualsiasi tipo, ma sempre finalizzato ad occultare l’origine illecita del denaro o dei beni oggetto del profitto, ipotesi questa non ravvisabile nel versamento di una somma in una carta prepagata intestata allo stesso autore del fatto illecito. Va al proposito ricordato come la norma sull’autoriciclaggio nasce dalla necessità di evitare le operazioni di sostituzione ad opera dell’autore del delitto presupposto e che tuttavia il legislatore, raccogliendo le sollecitazioni provenienti dalla dottrina, secondo cui le attività dirette all’investimento dei profitti operate dall’autore del delitto contro il patrimonio costituiscono post factum non punibili, ha limitato la rilevanza penale delle condotte ai soli casi di sostituzione che avvengano attraverso la reimmissione nel circuito economico-finanziario ovvero imprenditoriale del denaro o dei beni di provenienza illecita finalizzate appunto ad ottenere un concreto effetto dissimulatorio che costituisce quel quid pluris che differenzia la semplice condotta di godimento personale (non punibile) da quella di nascondimento del profitto illecito (e perciò punibile) – (le sottolineature sono dell’estensore). Dunque, attesa l’indicata ratio legis, davvero non è dato cogliere la ragione per la quale il legislatore avrebbe voluto escludere, dall’ambito delle attività contemplate dal primo comma dell’art. 648-ter.1, e in particolare da quelle speculative, il gioco d’azzardo o il settore delle scommesse. Infatti, l’idea di fondo che giustifica l’incriminazione dell’autoriciclaggio, riposa, come accennato, sulla considerazione di congelare il profitto in mano al soggetto che ha commesso il reato presupposto, in modo da impedirne la sua utilizzazione maggiormente offensiva (e cioè la reimmissione nel mercato), quella che espone a pericolo o addirittura lede l’ordine economico, valorizzando, così, la grave ed autonoma lesività delle ulteriori condotte dell’agente, rispetto a quella insita nel reato presupposto. Alla luce delle suddette intenzioni punitive, non può logicamente negarsi che, mediante l’impiego di denaro nel gioco d’azzardo o nelle scommesse, si raggiunga proprio il risultato che la norma incriminatrice vuole sanzionare: l’autore dell’illecito presupposto, anziché tenere per sé il denaro o destinarlo al mero utilizzo o godimento personale, lo impiega, con l’intento di ricavarne un profitto (che talvolta può anche essere molto ingente) accettando, per contro, pure il rischio di una perdita. Ne consegue che, in caso di vincita, il denaro di provenienza illecita (generalmente in contanti e privo di tracciabilità) è pronto per essere immesso nel circuito economico con la “nuova veste” di una legittima provenienza; e, in caso di perdita (parziale o totale), comunque si è avuta una reimmissione di denaro di provenienza delittuosa nel mercato economico. Del resto, il nostro ordinamento riconosce nel gioco e nelle scommesse una fonte lecita di arricchimento (si vedano artt. 1933 e ss. CC), sebbene non meritevole di tutela mediante apposite azioni giudiziarie. Di conseguenza, pure in base al criterio ermeneutico teleologico, deve ritenersi che il legislatore abbia inteso ricomprendere, nel concetto di “attività speculativa”, anche le tipologie di impiego in questione del denaro proveniente da delitto. Dunque, la neutralità linguistica funzionale allo sviluppo di una grammatica comune richiede una inferenza logica capace di reificare le norme e rendere concreta l’interpretazione proposta (funzionale rispetto alla finalità di contrasto di ciò che è volto, come dice il legislatore nell’art. 648 ter.1, comma 1, a “ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”). Così l’indirizzo interpretativo può essere capace di inglobare la pratica sociale e ricategorizzare la norma attraverso l’elemento assiologico presente nella legge. A sostegno dell’interpretazione qui accolta, da ultimo, va comunque considerato che, quand’anche si volesse dubitare degli esiti ai quali univocamente conducono i richiamati criteri interpretativi letterale e teleologico, l’ulteriore strumento ermeneutico consentito dall’ordinamento, e cioè quello dell’interpretazione estensiva, imporrebbe di includere il gioco d’azzardo e le scommesse nel concetto di “attività speculativa”. Ciò discende, in primo luogo, dal fatto che il termine polisenso di “speculazione” è usato – in molti contesti – quale sinonimo di ‘gioco d’azzardo’, essendo anche definito come “lo scommettere su un esito incerto”; per giunta, entrambe le locuzioni possono rientrare nella categoria generale dell’investimento, inteso come “impegnare danaro per ottenere un guadagno”; e, dal punto di vista logico o sostanziale, già si è detto che non vi è grande differenza tra una scommessa sul prezzo futuro del grano, di una valuta o di un titolo di borsa (pacificamente considerati come forme di speculazione finanziaria) e una scommessa sul risultato di una partita di calcio o altro evento. Inoltre, una diversa soluzione, come accennato, presenterebbe sia il vizio di apparire gravemente illogica (non perseguendo un canale di riciclaggio diffusamente riconosciuto, quale quello del gioco d’azzardo), sia di risultare sostanzialmente abrogativa della dizione “attività speculativa”, posto che le attività riduttivamente considerate dal Tribunale milanese come integrative di quella categoria (investimenti o negozi giuridici caratterizzati da rischio elevato ma gestibile), a ben vedere, già sono incriminate dall’art. 648 ter.1 allorché contempla i concetti, indubbiamente assai ampi, di “attività economica” o “finanziaria” (Cass. pen., Sez. 2^, sentenza n. 17235/2018).
…Elementi costitutivi del reato
Il reato di autoriciclaggio è configurabile ove l’agente che abbia commesso un delitto non colposo presupposto, abbia, successivamente, impiegato, sostituito, trasferito, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Quindi, gli elementi materiali del suddetto delitto sono: a) la commissione di un delitto non colposo; b) che dal suddetto delitto sia derivato un provento (denaro, beni o le altre utilità) economicamente apprezzabile; c) che il suddetto provento sia stato reinvestito in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative; d) che l’operazione di reinvestimento abbia costituito un ostacolo alla identificazione della provenienza delittuosa del provento del reato presupposto. È importante focalizzare il punto sub b): l’art. 648 ter.1 al primo comma, individua la condotta del suddetto reato nell’impiego, sostituzione, trasferimento «in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative» del denaro, beni, o altre utilità «provenienti dalla commissione» del delitto presupposto «in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa». In altri termini, dalla commissione del reato presupposto, l’agente deve avere conseguito “un provento” di natura economica (denaro, beni, o altre utilità), che abbia “riciclato” al fine di non rendere riconducibile quella ricchezza al delitto compiuto. Proprio questa peculiarità (e cioè l’incremento del patrimonio come effetto diretto del delitto commesso), aveva fatto sorgere il problema della configurabilità del delitto di autoriciclaggio nel caso in cui il reato presupposto fosse costituito da un reato tributario che, di per sé, non determina alcun accrescimento del patrimonio dell’agente. La questione è stata, però, risolta dalla giurisprudenza di legittimità – alla quale in questa sede va data continuità – secondo la quale il profitto del reato presupposto – nell’ipotesi in cui questo sia un reato tributario – consiste esclusivamente nell’ammontare dell’imposta evasa. In altri termini, il provento del reato presupposto, può consistere non solo in un incremento del patrimonio ma anche in un risparmio (omesso pagamento delle imposte dovute) in quanto, comunque, il patrimonio dell’agente ne riceve un vantaggio economicamente apprezzabile. Il dato giuridico, però, fondamentale per la configurabilità del reato di autoriciclaggio, è che dal reato presupposto derivi, come effetto diretto della condotta criminosa, un vantaggio patrimoniale (sia in termini di incremento che di risparmio), economicamente apprezzabile ed idoneo, quindi, ad essere “riciclato” per evitare che sia riconducibile al reato presupposto. Questa precisazione consente, pertanto, di chiarire che i reati di falso possono fungere da reato presupposto solo in quei casi in cui dal falso derivi, come effetto diretto, un provento di natura patrimoniale per l’agente, idoneo, poi, ad essere riciclato (ad es. art. 316-ter). Ma, se dal falso l’agente non consegue alcun provento (es. art. 476) o, se il falso è commesso come reato mezzo per compiere un altro reato dal quale derivi un provento (ad es. il pubblico ufficiale incaricato di redigere un verbale di inventario, omette di inserirvi un bene di cui poi si appropria), il reato di autoriciclaggio o non è configurabile (nella prima ipotesi) o lo è (nel secondo esempio ipotizzato) ma in relazione al reato appropriativo perché solo da questo consegue, in modo diretto, un provento riciclabile (Cass. pen., Sez. 2^, sentenza n, 14101/2019).
In tema di autoriciclaggio, il criterio da seguire ai fini dell’individuazione della condotta dissimulatoria è quello della idoneità “ex ante”, sulla base degli elementi di fatto sussistenti nel momento della sua realizzazione, ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene, senza che il successivo disvelamento dell’illecito per effetto degli accertamenti compiuti, determini automaticamente una condizione di inidoneità dell’azione per difetto di concreta capacità decettiva. Nondimeno, la concreta valenza dissimulatoria non può non correlarsi al tipo di operazione di volta in volta compiuta, che deve di per sé sottendere un’artificiosa strumentalità, che non può essere solo apoditticamente prospettata, dovendo essere, invece, dimostrata (Cass, pen., Sez. 6^, sentenza n. 22417/2022).
Ai fini dell’integrazione del delitto di autoriciclaggio è necessario che la condotta sia dotata di particolare capacità dissimulatoria, sia cioè idonea a provare che l’autore del delitto presupposto abbia effettivamente voluto attuare un impiego finalizzato ad occultare l’origine illecita del denaro o dei beni oggetto del profitto, sicché rilevano penalmente tutte le condotte di sostituzione che avvengano attraverso la reimmissione nel circuito economico-finanziario ovvero imprenditoriale del denaro o dei beni di provenienza illecita, finalizzate a conseguire un concreto effetto dissimulatorio che sostanzia il che differenzia la condotta di godimento personale, insuscettibile di sanzione, dall’occultamento del profitto illecito, penalmente rilevante (Cass. pen., Sez. 2^, sentenza n. 30401/2018).
La norma sull’autoriciclaggio punisce soltanto quelle attività di impiego, sostituzione o trasferimento di beni od altre utilità commesse dallo stesso autore del delitto presupposto che abbiano però la caratteristica precipua di essere idonee ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Il dettato normativo, dunque, induce a ritenere che si tratti di fattispecie di pericolo concreto, dal momento che esso non lascia dubbi circa la necessità che il giudice penale debba valutare l’idoneità specifica della condotta posta in essere dall’agente ad impedire l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni (Cass. pen., Sez. 2^, sentenza 33074/2016).
…Profitto del reato
Il delitto di autoriciclaggio si alimenta (in tutto o in parte) con il provento del delitto presupposto. Da qui deriva un’ovvia conseguenza sul piano giuridico: il profitto del delitto di autoriciclaggio non può coincidere con quello del reato presupposto proprio perché di quest’ultimo profitto l’agente ne ha già goduto. Quindi, il “prodotto, profitto o prezzo” del reato di autoriciclaggio non può che essere un qualcosa di diverso ed ulteriore rispetto al provento del reato presupposto. Orbene, se si tiene presente che il reato di autoriciclaggio, per essere configurabile, deve consistere nell’impiego, sostituzione, trasferimento «in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative» del denaro, dei beni o delle altre utilità provenienti dalla commissione del reato presupposto, allora diventa chiaro come il “prodotto, profitto o prezzo” del reato di autoriciclaggio confiscabile non può che consistere, appunto, nel “prodotto, profitto o prezzo” conseguito a seguito dell’impiego, sostituzione, trasferimento «in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative» del denaro, dei beni o delle altre utilità provenienti dalla commissione del reato presupposto.
Tale conclusione: è coerente con la ratio legis del reato di autoriciclaggio il cui obiettivo fu quello di sterilizzare il profitto conseguito con il reato presupposto e, quindi, di impedire all’agente sia di reinvestirlo nell’economia legale sia di inquinare il libero mercato ledendo l’ordine economico con l’utilizzo di risorse economiche provenienti da reati: infatti, non a caso, l’agente che abbia commesso il reato presupposto non è punibile ove, ex art. 648-ter 1/4 «il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale»; è in linea con il costante principio di diritto secondo il quale «in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, costituisce profitto del reato non solo il vantaggio costituito dall’incremento positivo della consistenza del patrimonio del reo, ma anche qualsiasi utilità o vantaggio, suscettibile di valutazione patrimoniale o economica, che determina un aumento della capacità di arricchimento, godimento ed utilizzazione del patrimonio del soggetto».
Si finirebbe, infatti, per violare il principio fondamentale secondo il quale si può sequestrare (e confiscare) solo il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale da ogni reato commesso, ma non si può duplicare la somma confiscabile perché si sanzionerebbe l’agente in assenza di un vantaggio economico (rectius: profitto) derivante dal reato di autoriciclaggio, violando così il divieto del ne bis in idem. Alla stregua di quanto appena detto, deve, quindi, enunciarsi il seguente principio di diritto: «il prodotto, il profitto o il prezzo del reato di autoriciclaggio non coincide con quello del reato presupposto, ma è da questo autonomo in quanto consiste nei proventi conseguiti dall’impiego del prodotto, del profitto o del prezzo del reato presupposto in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative» (Cass. pen., Sez. 2^, sentenza n. 30401/2018).
…Clausola di non punibilità
La clausola di non punibilità prevista nel comma quarto dell’art. 648-ter.1, a norma della quale «Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale», va intesa ed interpretata nel senso fatto palese dal significato proprio delle suddette parole e cioè che la fattispecie ivi prevista non si applica alle condotte descritte nei commi precedenti: di conseguenza, l’agente può andare esente da responsabilità penale solo e soltanto se utilizzi o goda dei beni proventi del delitto presupposto in modo diretto e senza che compia su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
La suddetta interpretazione della clausola in parola, che muove dalla ratio della fattispecie di autoriciclaggio – proteso a sterilizzare il profitto conseguito dall’agente con il reato presupposto, impedendone il reinvestimento nell’economia legale così da evitarne l’inquinamento: e ciò mediante il divieto di condotte decettive finalizzate a rendere non tracciabili i proventi del delitto presupposto, proprio perché, solo ove i medesimi siano tracciabili si può impedire che l’economia sana venga infettata da proventi illeciti che ne distorcano le corrette dinamiche –, sottintende, dunque: a) un uso diretto da parte dell’agente dei beni provento del delitto presupposto, con la conseguente esclusione dall’ambito di applicazione di essa di quelle condotte a seguito delle quali l’agente utilizzi i beni medesimi dopo averli sottoposti ad operazioni di riciclaggio che ne abbiano concretamente ostacolato l’identificazione della provenienza delittuosa; b) l’assenza di qualsiasi attività concretamente di ostacolo all’identificazione della provenienza delittuosa del bene, di che le dette condotte, conseguenti a quelle del delitto presupposto, non possono e non devono essere caratterizzate da comportamenti decettivi, proprio perché l’agente non avrebbe alcuna necessità “giuridica” di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene che utilizza.
Alla stregua di tale condivisibile lettura, per la quale, una volta che la fattispecie criminosa di cui all’art. 648-ter.1 sia integrata in tutti i suoi requisiti, l’agente è sanzionabile penalmente, essendo del tutto indifferente che, alla fine delle operazioni di autoriciclaggio, egli abbia “meramente” utilizzato o goduto personalmente dei suddetti beni a titolo personale, può affermarsi che è ravvisabile il delitto di autoriciclaggio, e non un post factum non punibile, qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi operato dal soggetto autore del delitto presupposto successivo a precedenti versamenti, ivi compreso il mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario ad un altro diversamente intestato e acceso presso un diverso istituto di credito, essendo il delitto in parola a forma libera: questo perché, ai fini della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 648-ter.1, rileva qualsiasi condotta di manipolazione, trasformazione, trasferimento di denaro quando essa sia concretamente idonea ad ostacolare gli accertamenti sulla provenienza del denaro.
Donde la circostanza che vi siano state operazioni dissimulatorie precedenti non elide la portata criminosa di quelle successive ispirate alla medesima finalità, parimenti idonee ad “allontanare” sempre più il bene dalla sua origine e a renderne difficoltoso l’accertamento.
Le conclusioni raggiunte trovano riscontro nell’elaborazione dottrinale sul tema, in seno alla quale si è osservato come la clausola contenuta nella tipizzazione dell’autoriciclaggio “Si applica la pena ..a chiunque avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, speculative, il denaro”, nello svolgere la funzione di legittimare il regime penale della condotta di laundering in caso di realizzazione della stessa da parte dello stesso soggetto autore della condotta corrispondente al delitto presupposto e nel sancire una pena meno grave rispetto a quella prevista per il riciclaggio, cristallizza il collegamento tra la condotta “riciclatrice” ed una “gestione” di utilità economiche già acquisite con una condotta a sua volta punibile.
Il che sta a significare che la punibilità – per quanto in forma meno grave – dell’autoriciclaggio dipende proprio dall’avere questo oggettivamente attentato all’ordine economico mediante l’attività di laundering e non già dall’aver finalizzato sin da principio il precedente delitto allo scopo di realizzare quest’ultima. Il senso della norma si coglie, insomma non già sul piano della “rimproverabilità” soggettiva, ma su quello del passaggio dall’ottenimento per vie illegali di un’utilità economicamente rilevante ad un reinvestimento della medesima in ambiti, a loro volta, fruttuosi sotto il profilo economico e dannosi per gli interessi di quanti ne subiscano obiettivamente le conseguenze (Cass. pen., Sez. 5^, sentenza n. 5719/2019).
La clausola di non punibilità prevista nel comma quarto dell’art. 648-ter.1 a norma della quale “Fuori dei casi di cui ai commi precedenti” va intesa ed interpretata nel senso fatto palese dal significato proprio delle suddette parole e cioè che la fattispecie ivi prevista non si applica alle condotte descritte nei commi precedenti. Di conseguenza, l’agente può andare esente da responsabilità penale solo e soltanto se utilizzi o goda dei beni proventi del delitto presupposto in modo diretto e senza che compia su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa (Cass. pen., Sez. 2^, sentenza n. 30399/2018).
La clausola di non punibilità di cui al quarto comma dell’art. 648-ter 1 cod. pen. non opera a favore dell’autore di varie fattispecie di delitto presupposto che, percepiti profitti illeciti in denaro, effettui sia operazioni di movimentazione bancaria sia plurimi acquisti di beni mobili ed immobili anche allo stesso intestati (Cass. pen., Sez. 2^, sentenza n. 4855/2023).
…Differenze tra autoriciclaggio e riciclaggio
Il delitto di “riciclaggio” si distingue dal reato di “ricettazione”, non tanto con riferimento ai delitti presupposti, bensì sulla base degli elementi strutturali relativi 1) all’elemento soggettivo che implica il dolo specifico dello scopo di lucro nella ricettazione e il dolo generico nel delitto di riciclaggio; 2) all’elemento materiale che, con particolare riferimento all’art. 648-bis, ha riguardo alla idoneità ad ostacolare l’identificazione della provenienza del bene quale “indice caratteristico” delle condotte di cui all’art. 648-bis (Cass. pen., Sez. 6^, sentenza n. 3608/2019).
…Un po’ di casistica
(Acquisto di bitcoin)
Integra il delitto di autoriciclaggio la condotta di chi, in qualità di autore del delitto presupposto di truffa, impieghi le somme accreditategli dalla vittima trasferendole, con disposizione on line, su conto intestato alla piattaforma di scambio di Bitcoin per il successivo acquisto di tale valuta, così realizzando l’investimento di profitti illeciti in operazioni finanziarie a fini speculativi, idonee ad ostacolare la tracciabilità dell’origine delittuosa del denaro (Cass. pen., Sez. 2^, sentenza n. 27023/2022).
(Distrazione fallimentare)
In tema di autoriciclaggio di somme oggetto di distrazione fallimentare, la condotta sanzionata ex art. 648-ter 1 non può consistere nel mero trasferimento di dette somme a favore di imprese operative, ma occorre un quid pluris che denoti l’attitudine dissimulatoria della condotta rispetto alla provenienza delittuosa del bene (Cass. pen., Sez. 5^, sentenza n. 8851/2019).
(Impiego di denaro proveniente dal delitto di peculato ommesso dall’amministratore giudiziario che si appropria di fondi dell’amministrazione)
Integra il reato di autoriciclaggio, e non quello di riciclaggio, la condotta dell’amministratore giudiziario che impiega denaro proveniente dal delitto di peculato in attività economico-professionale, al fine di rilevare uno studio professionale e il relativo bene immobile (Cass. pen., Sez. 2^, sentenza n. 46538/2022).
