La cassazione sezione 1 civile con l’ordinanza numero 7604 depositata il 16 marzo 2023 ha stabilito che, nel caso in cui il procedimento di fallimento riguardi un soggetto deceduto, l’erede di questo, ancorché non sia imprenditore e non sia subentrato nell’impresa del de cuius, deve essere convocato avanti al tribunale competente alla dichiarazione di fallimento, nel rispetto del principio del contraddittorio enunciato, in termini generali, dall’articolo 15, comma 2, Lf, come sostituito dall’articolo 13 del decreto legislativo 5/2006 e dall’articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 169/07; tale norma, infatti, rende il detto erede il naturale contraddittore della parte istante con riferimento a una domanda che, per essere diretta alla pronuncia di fallimento dell’imprenditore defunto, è idonea a spiegare effetto nei confronti del successore di questo.
La Suprema Corte rileva che deve considerarsi superato il principio (cassazione 21 marzo 2013 n. 7181) che ritiene, in caso di dichiarazione di fallimento dell’imprenditore entro l’anno dalla morte, non è obbligatoria, l’audizione dell’erede nella fase istruttoria anteriore alla dichiarazione di fallimento, atteso che nessuno degli accertamenti rimessi al tribunale incide in modo immediato e diretto sulla sua posizione ovvero gli reca un pregiudizio eliminabile soltanto attraverso la partecipazione all’istruttoria prefallimentare.
Tale dottrina e giurisprudenza fa riferimento alla disciplina anteriore alla riforma della legge fallimentare.
Nella versione modificata prima dall’articolo 13 del decreto legislativo 5/2006 e dall’articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 169/07, l’articolo 15 Lf contempla un procedimento il quale è ispirato al principio del contraddittorio, il quale prevede la convocazione del debitore.
Di conseguenza, non si vede per quale ragione, una volta ammessa la fallibilità dell’imprenditore defunto, la previsione del contraddittorio non debba trovare attuazione nei confronti dell’erede del fallendo: un soggetto che risente un pregiudizio dalla dichiarazione di fallimento.
Secondo la cassazione va in definitiva valorizzata la portata della riforma evidenziando che gli eredi dell’imprenditore fallito subentrano proprio in quel patrimonio che, a seguito dell’accertamento da eseguirsi in sede pre-fallimentare, vuole assoggettarsi al concorso: patrimonio rispetto al quale essi non avrebbero più alcun potere di disposizione e amministrazione a seguito della dichiarazione di fallimento, giusta l’articolo 42 Legge fallimentare.
