Indagine conoscitiva della Commissione Giustizia del Senato sulle intercettazioni: l’importanza delle garanzie di libertà della difesa nell’audizione del presidente della Camera penale di Roma (di Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

Proseguono dinanzi alla Commissione Giustizia del Senato, presieduta dalla senatrice Giulia Bongiorno, le sedute nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle intercettazioni.

Segnaliamo che in quella del 15 marzo è stato audito tra gli altri l’Avvocato Gaetano Scalise, attuale presidente della Camera penale di Roma che, con le sue centinaia di iscritti, è tra le più grandi e rappresentative d’Italia.

È un indubbio segnale di attenzione verso la voce dell’avvocatura penale ed è inedito che lo si sia declinato in direzione dell’avvocatura capitolina.

Pare dunque finalmente aumentata nelle sedi politiche e legislative la consapevolezza che il governo istituzionale della giustizia perde equilibrio e contatto con lo statuto costituzionale del giusto processo ogni qualvolta dimentica l’importanza della funzione difensiva e non si confronta con chi la incarna ogni giorno nelle aule giudiziarie.

Ci pare ugualmente importante l’oggetto dell’audizione.

L’Avvocato Scalise ha inteso focalizzare il suo intervento (a questo link per chi voglia guardare il video della seduta) sul disposto dell’art. 103 cod. proc. pen., cioè la norma che riconosce e tutela le garanzie di libertà del difensore.

È in corso da tempo un dibattito, stimolato dall’avvocatura associata penalista e non solo, su un’affiorante propensione applicativa e giurisprudenziale ad affievolire e svilire la portata di quella norma, mettendo così in crisi la libertà del rapporto tra il difensore e il suo assistito e conseguentemente anche il principio costituzionale e convenzionale della parità delle armi tra le parti del processo (a questo link per un recentissimo post di Terzultima Fermata sulle iniziative dell’UCPI e sulla giurisprudenza di legittimità sull’art. 103).

Scalise ha richiamato opportunamente Cass. pen, Sez. 2^, sentenza n. 44892/2022 (a questo link per un nostro commento sulla decisione di cui si parla) cui si deve, dopo anni di indirizzi di segno contrario, il rilancio della decisione Grollino delle Sezioni unite che, nel lontano 1993 e dunque in un periodo in cui certo non facevano difetto gli animal spirits accusatori, vollero affermare la centralità della tutela del diritto di difesa nell’intero sistema garantistico adottato dal codice di rito.

La decisione del 2022 mette in dubbio le fondamenta della rocciosa costruzione giurisprudenziale propensa all’inapplicabilità delle garanzie previste dal terzo comma dell’art. 103 allorché il difensore sia indagato.

La sua importanza sta nel ripristino di una verità tanto evidente quanto negletta: l’art. 103 tutela la funzione difensiva nella sua interezza e totalità, non soltanto il singolo indagato/imputato.

Al tempo stesso, e Scalise lo ha opportunamente sottolineato, se il sovvertimento delle garanzie difensive fosse inteso come un riflesso automatico dell’iscrizione del difensore nel registro degli indagati, ciò equivarrebbe ad avallare – e magari anche stimolare – iscrizioni di incerto fondamento che potrebbero perfino essere intese come strumentali proprio a quel sovvertimento.

Sono ugualmente condivisibili le osservazioni dell’audito sulla necessità di rafforzare il precetto del comma 7 dell’art. 103 che sancisce l’inutilizzabilità dei risultati delle attività di ricerca della prova condotte in violazione delle norme del medesimo articolo. Anche su questo versante è dato purtroppo constatare l’esistenza di prassi palesemente contrarie alla lettera ed allo spirito del codice che tendono alla conservazione o, peggio, all’utilizzazione di ciò di cui non si può fare alcun uso.

La situazione è resa ancora più grave dalla giurisprudenza, sia costituzionale che di legittimità, che nega all’inutilizzabilità la capacità, propria della nullità, di propagarsi agli atti in rapporto di dipendenza da quello inutilizzabile.

Si afferma che questa capacità di propagazione esiste solo se tassativamente prevista dal legislatore sicché non può essere il giudice a introdurre nel sistema sanzioni non previste dal legislatore.

Nel frattempo, tuttavia, continua ad essere perfettamente lecito che un dato conoscitivo inutilizzabile sia usato, ad esempio, come stimolo per l’avvio di una sequenza intercettiva i cui risultati saranno pienamente utilizzabili.

Sarebbe bene pertanto che in un’indagine conoscitiva sulle intercettazioni e l’uso e l’abuso che se ne fa, si rifletta su questa anomalia italiana che si discosta dalla dottrina, altrove applicata senza esitazione, dell’albero avvelenato che può produrre solo frutti avvelenati e magari proporre un rimedio normativo esplicito.

In conclusione, convinti che il processo sia davvero giusto solo in presenza di una difesa forte e consapevole, sottolineiamo con favore questi segnali di ascolto verso l’avvocatura e diamo atto all’Avvocato Scalise di avere portato in Commissione Giustizia argomenti davvero degni di attenzione.