La questione esaminata dal Consiglio Nazionale Forense riguarda una collega che a seguito di una gravidanza difficile e del successivo parto non aveva adempiuto all’obbligo di formativo e il COA di appartenenza pur considerando la situazione prospettata aveva applicato: “in considerazione del carattere lieve e scusabile dell’infrazione, comminava all’Avv. … il richiamo verbale”.
Avverso la decisione la collega ricorreva al Consiglio Nazionale Forense rilevando che successivamente aveva ottenuto l’esonero e che il fatto contestato non era stato dimostrato pienamente e quindi invocava l’applicazione del principio “in dubio pro reo”.
Decisione
In via preliminare è d’uopo rilevare che il richiamo verbale, sebbene non abbia carattere di sanzione disciplinare (art.22cdf), presuppone comunque l’accertamento di un illecito deontologico (anche se lieve e scusabile) e costituisce pur sempre un provvedimento afflittivo, sicché se ne deve ammettere l’impugnabilità dinanzi al Consiglio Nazionale Forense da parte dei soggetti legittimati, se pronunciato all’esito della fase decisoria.
Per le stesse ragioni, anche se pronunciate all’esito della fase istruttoria preliminare, il provvedimento è impugnabile dinnanzi al Consiglio Nazionale Forense da parte del P.M. e dal Consiglio dell’Ordine presso cui l’avvocato è iscritto, mentre quest’ultimo può invece proporre, in tal caso, eventuale opposizione avanti al CDD medesimo ex art.14, comma 4-bis Reg. CNF n.2/2015.
Sul punto ex multis (CNF sentenze nn. 43/2020; 2/2020 209/2021).
I due motivi di ricorso possono essere congiuntamente esaminati e sono fondati.
Deve evidenziarsi che, sebbene ragioni di opportunità ed un criterio di ragionevolezza abbiano condotto il CDD alla delibera del richiamo verbale, lo stesso non ha opportunamente valutato in aderenza alle giustificazioni fornite dall’iscritta, le ragioni che hanno consentito, peraltro, di riconoscere l’esonero totale dall’obbligo formativo.
Non v’è dubbio, quindi, da un lato che le particolari condizioni familiari della ricorrente, che le hanno consentito di ottenere un successivo esonero dall’obbligo formativo, possono assumere rilievo sotto il profilo di “stato di necessità”, alla quale la giurisprudenza riconosce efficace scriminante del dovere di formazione, pur in assenza di una preventiva richiesta o concessione di esonero ( cfr. n. 117/2016); e dall’altro che il principio di presunzione di non colpevolezza vale anche in sede disciplinare.
Il procedimento disciplinare è di natura accusatoria, sicché deve essere accolto il ricorso avverso la decisione del Consiglio territoriale allorquando la prova della violazione deontologica non si possa ritenere sufficientemente raggiunta per mancanza di prove certe o per contraddittorietà delle stesse, giacché l’insufficienza di prove su un fatto induce a ritenere fondato un ragionevole dubbio sulla sussistenza della responsabilità dell’incolpato, che deve essere prosciolto dall’addebito, in quanto per l’irrogazione della sanzione disciplinare non incombe all’incolpato l’onere di dimostrare la propria innocenza né di contestare espressamente le contestazioni rivoltegli, ma al Consiglio territoriale verificare in modo approfondito la sussistenza e l’addebitabilità dell’illecito deontologico (CNF n. 171/2021), così come al fine di integrare l’illecito disciplinare sotto il profilo soggettivo ai fini dell’imputabilità dell’infrazione disciplinare, è necessaria la consapevolezza dell’illegittimità dell’azione accompagnata dalla volontarietà con la quale l’atto deontologicamente scorretto è commesso.
Nel caso di specie risulta che nonostante il CDD di Torino abbia riconosciuto l’esistenza di evidenti ragioni della condizione familiare, lo stesso non abbia applicato la relativa scriminante proprio in riguardo allo stato di necessità.
Lo stato di necessità conseguente alla malattia propria e di un proprio familiare (nel caso di specie si è in presenza delle sue gravi condizioni di salute durante la gravidanza e di quelle del figlio successivamente alla nascita) esclude rilevanza disciplinare alla violazione dell’obbligo di formazione continua, di cui peraltro costituisce scriminante pur in mancanza di una previa richiesta o concessione di esonero ex art. 15 Reg. CNF n. 6/2014 (ex multis CNF n. 117/2016).
Se a tanto si aggiunge, poi, che non v’è prova dell’avvenuta consegna della raccomandata del COA di Torino, che richiedeva alla ricorrente di effettuare n.10 crediti formativi entro il 31 dicembre 2014, risulta evidente come non risulti provata la consapevolezza nella ricorrente di porre in essere un atto deontologicamente scorretto.
La decisione ci permette di estrarre due principi:
Il procedimento disciplinare è di natura accusatoria, sicché va accolto il ricorso avverso la decisione del Consiglio territoriale allorquando la prova della violazione deontologica non si possa ritenere sufficientemente raggiunta, per mancanza di prove certe o per contraddittorietà delle stesse, giacché l’insufficienza di prova su un fatto induce a ritenere fondato un ragionevole dubbio sulla sussistenza della responsabilità dell’incolpato […].
Lo stato di necessità conseguente a grave malattia, propria o di un proprio familiare, priva di rilevanza disciplinare la violazione dell’obbligo di formazione continua, di cui pertanto costituisce scriminante pur in mancanza di una previa richiesta o concessione di esonero ex art. 15 Reg. CNF n. 6/2014. Consiglio Nazionale Forense (pres. Masi, rel. Brienza), sentenza n. […].
Consiglio Nazionale Forense (pres. Masi, rel. Brienza), sentenza n. 202 del 28 ottobre 2022
