Cass. pen., Sez. 3^, sentenza n. 49479/2022 (udienza del 29 novembre 2022) contiene utili chiarimenti sul reato di esercizio abusivo di giochi o scommesse.
Vicenda
La Corte territoriale conferma la decisione del giudice di primo grado che ha dichiarato la responsabilità dell’imputata per il reato di cui all’art. 4, commi 4-bis e ter, L. 401/1989 (esercizio abusivo di attività di gioco o di scommessa).
Il suo difensore ricorre per cassazione.
Decisione della Corte di cassazione
…Ricognizione normativa
La normativa amministrativa prevede che le attività di raccolta e di gestione delle scommesse siano esercitabili solo da soggetti che abbiano ottenuto al termine di una pubblica gara una delle concessioni, di cui lo Stato fissa il numero complessivo. I medesimi soggetti debbono ottenere anche
un’autorizzazione di polizia che, ai sensi dell’art. 88 T.U.L.P.S., «può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di Ministeri o altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione».
La proposta al pubblico di giochi d’azzardo senza concessione o autorizzazione di polizia è sanzionata penalmente ai sensi dell’art. 4, comma 4 bis, L. 401/1989.
…Compatibilità della normativa nazionale col diritto UE
La questione concernente la compatibilità di tale normativa con gli artt. 49 e 56 TFUE è già stata affrontata e risolta positivamente dalla CGUE, che, interrogata specificatamente sul punto, con la sentenza “Biasci” del 12/09/13, ha espressamente affermato che i principi europei di libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi non ostano a una normativa nazionale, come quella italiana, che, al fine di contrastare la criminalità collegata ai giochi d’azzardo, imponga alle società interessate a esercitare attività collegate ai giochi d’azzardo l’obbligo di ottenere un’autorizzazione di polizia, in aggiunta a una concessione rilasciata dallo Stato al fine di esercitare simili attività, e che limiti il rilascio di siffatta autorizzazione segnatamente ai richiedenti che già sono in possesso di una simile concessione.
La Corte di Giustizia è pervenuta a tale conclusione sul rilievo per cui l’obbiettivo perseguito dalla normativa italiana, attinente alla lotta contro la criminalità collegata ai giochi d’azzardo, è idoneo a giustificare restrizioni alle libertà fondamentali, purché tali restrizioni soddisfino il principio di proporzionalità e nella misura in cui i mezzi impiegati siano coerenti e sistematici (punto 23
sentenza Biasci).
Ciò posto, rispetto all’obbiettivo perseguito dal legislatore italiano, la CGUE ha ritenuto non sproporzionata in sé la circostanza che un operatore debba disporre sia di una concessione sia di un’autorizzazione di polizia per poter accedere al mercato di cui trattasi (punto 27 sentenza Biasci). Tuttavia – ha proseguito la Corte – poiché le autorizzazioni di polizia sono rilasciate unicamente ai titolari di una concessione, irregolarità commesse nell’ambito della procedura di concessione di queste ultime vizierebbero anche la procedura di rilascio di autorizzazioni di polizia, perciò la mancanza di autorizzazione di P.S. non potrà essere addebitata a soggetti che non siano riusciti a ottenere tali autorizzazioni per il fatto di non aver potuto conseguire l’attribuzione di una concessione in violazione del diritto dell’Unione (punto 28 sentenza Biasci).
La stessa Corte, con un precedente arresto (sentenza 16 febbraio 2012, Costa-Cifone, C-72/10 e C-77/10), ha affermato che quando una società estera svolge attività di gestione e raccolta delle scommesse in Italia esclusivamente attraverso CTD – ossia locali aperti al pubblico gestiti da operatori indipendenti contrattualmente legati alla società estera, nei quali gli scommettitori possono concludere scommesse sportive per via telematica accedendo direttamente al server della società ubicata in un altro Stato membro – grava sul bookmaker comunitario l’obbligo di ottenere una concessione per l’esercizio di attività di raccolta e di gestione delle scommesse in Italia, ciò che permetterebbe ai CTD di esercitare le loro attività. In relazione a tale situazione, la CGUE ha chiarito che, in ossequio agli artt. 43 e 49 CE, non possono essere applicate sanzioni per l’esercizio di un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o autorizzazione di polizia nei confronti di persone legate ad un operatore che era stato escluso da una gara in violazione del diritto dell’Unione.
…Condotta del reato
La giurisprudenza di legittimità è intervenuta sul tema dell’esercizio abusivo di attività di gioco o scommessa, affermando il principio – ormai largamente consolidato – , secondo cui qualora l’agente non si sia limitato alla mera trasmissione delle scommesse effettuate dai clienti ad un allibratore straniero, ma abbia posto in essere la condotta di cui all’art. 4, comma 4 bis, L. 401/1989 attraverso un’attività di intermediazione e raccolta diretta delle scommesse, rimane escluso ogni profilo discriminatorio nella partecipazione dell’allibratore straniero alle gare, dovendo escludersi la sussistenza di una ipotesi di servizio transfrontaliero “puro” offerto dall’operatore estero, sì che l’attività di esercizio di raccolta di scommesse e la conseguente necessità di titolo autorizzativo vanno individuate direttamente in capo all’operatore italiano (in tal senso, Sez. 3, n. 55329 del 16/07/2018 –
28/11/2018, Rv. 275179 – 01; Sez. 3, n. 889 del 28/06/2017- dep.12/01/2018, Rv 271977-01; Sez.3, n. 44381 del 15/09/2016 – dep.20/10/2016, Rv.269282-01; Sez. 3 n.19248 del 8/03/2012 – dep. 21/05/2012, Rv.252623-01).
Pertanto, quando il gestore di un centro scommesse italiano affiliato a un bookmaker straniero mette a disposizione dei clienti il proprio conto-gioco, consentendo la giocata senza far risultare chi la abbia realmente effettuata, il suo legame con detto bookmaker diviene irrilevante, configurandosi come una mera occasione per l’esercizio illecito della raccolta di scommesse (Sez. 3, n.18590 del 9/01/2019-dep. 3/05/2019, § 3.2 del Considerato in diritto).
Tanto si è verificato nella specie, atteso che la prova dell’illecita attività di intermediazione svolta dalla ricorrente per conto dell’allibratore straniero risulta pacificamente dalla sentenza impugnata, laddove si dà atto che la Guardia di Finanza, in occasione dell’accertamento operato presso l’esercizio della ricorrente, ha accertato la presenza di un cliente che aveva effettuato una scommessa utilizzando il conto-gioco del gestore del centro scommesse sottoposto a controllo.
Del resto, anche dall’atto di impugnazione proposto in sede di legittimità si ricava che la ricorrente, oltre a svolgere attività di promozione e commercializzazione in favore del bookmaker comunitario – favorendo l’apertura di un “conto-gioco” e creando così un rapporto diretto tra scommettitore e bookmaker – svolgeva anche attività di intermediazione telematica, diretta alla raccolta delle scommesse c.d. anonime, ossia di coloro che non avevano un conto-gioco personale.
L’attività di esercizio di raccolta di scommesse e la conseguente necessità di titolo autorizzativo vanno individuate direttamente in capo all’operatore italiano.
Ne è conferma la circostanza per cui l’attività di intermediazione nella raccolta delle scommesse, oltre a poter configurare reato ex art. 4, comma 4 bis, L.401/1989 – anche quando è posta in essere per conto di un concessionario autorizzato – è espressamente vietata, in ogni sua forma, dall’art. 2, comma 5, del regolamento disciplinante le scommesse di cui al D.M. n.111/2006.
Dunque, la raccolta di scommesse, anche quando ha luogo mediante strumenti telematici, può avvenire lecitamente solo se posta in essere da parte di soggetti titolari di concessione, non essendo ammesso che soggetti terzi raccolgano le scommesse per conto di concessionari o titolari di reti svolgendo una mera intermediazione (Sez. 3, n. 889 del 28/06/2017- dep.12/01/2018, in motivazione §8).
Nella specie, in definitiva, la decisione non verte sulla discriminazione dell’allibratore straniero, come sembrerebbe desumersi dall’insistenza del ricorso per cassazione sulla giurisprudenza sovranazionale, quanto piuttosto sulla mancanza delle autorizzazioni di legge e sull’esercizio di un’attività abusiva d’intermediazione delle scommesse, che rende irrilevante il rapporto intercorrente fra il centro italiano di raccolta delle scommesse e l’allibratore straniero, costituendo una mera occasione della condotta illecita imputabile esclusivamente all’operatore italiano (cfr. anche Sez. 3, n. 25439 del 09/07/2020, Rv. 279869-01).
Quanto all’elemento soggettivo del reato, va ricordato che, secondo il costante orientamento di legittimità, il “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia, è particolarmente rigoroso per coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali dunque rispondono dell’illecito anche in virtù di una “culpa levis” nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza occorre, infatti, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto (per tutte: S.U., n.854 del 10/06/1994 – dep. 18/07/1994, P.G. in proc. Calzetta, Rv.197885).
Conseguentemente, grava su chi intende svolgere un’attività commerciale l’obbligo di acquisire preventivamente conoscenza della normativa applicabile in quel settore, sicché, qualora deduca la propria buona fede, non può limitarsi ad affermare l’incertezza derivante da contrastanti orientamenti giurisprudenziali nell’interpretazione e nell’applicazione della norma, la quale non abilita da sola ad invocare la condizione soggettiva d’ignoranza evitabile della legge penale.
Piuttosto, il dubbio sulla liceità o meno della condotta deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento fino cioè, secondo quanto affermato dalla sent. n.364 del 1988 della Corte Costituzionale, all’astensione dall’azione se, nonostante tutte le informazioni assunte, permanga incertezza sulla liceità o meno dell’azione stessa, dato che il dubbio, non essendo equiparabile allo stato d’inevitabile ed invincibile ignoranza, è inidoneo ad escludere la consapevolezza dell’illiceità (Sez. 2, n. 46669 del 13/11/11, Rv.252197).
Nella specie, va ribadito che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che, in caso di attività di intermediazione e raccolta diretta delle scommesse per conto di un allibratore straniero, la necessità di titolo autorizzativo va individuata direttamente in capo all’operatore italiano.
Il ricorso è stato conseguentemente dichiarato inammissibile.
