Si indicano i principali approdi interpretativi di legittimità attorno al vizio previsto dall’art. 606, comma 1, lettera d), cod. proc. pen.
Nozione di prova decisiva
Deve ritenersi “decisiva”, secondo la previsione dell’art. 606, comma 1, lett. d), c.p.p., la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia, ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (Sez. 7^, sentenza n. 45938/2018).
Mezzi di prova ai quali può essere collegato il vizio. Perizia
La mancata assunzione di una prova decisiva, quale motivo di impugnazione per cassazione, può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione, anche nel corso dell’istruzione dibattimentale, a norma dell’art. 495 comma 2, c.p.p., sicché il suddetto motivo non può essere validamente invocato nel caso di giudizio abbreviato non condizionato ad integrazione probatoria. La mera sollecitazione probatoria non è idonea a far sorgere in capo all’istante quel diritto alla prova, al cui esercizio ha rinunciato formulando la richiesta di rito alternativo non condizionato. Ne consegue che il mancato accoglimento di tale richiesta non può costituire vizio censurabile ex art. 606, comma primo, lett. d), c.p.p. (Sez. 2^, sentenza n. 46765/2018).
Per insegnamento costante della giurisprudenza di legittimità, il mancato esperimento di una perizia non può determinare il vizio di mancata assunzione di una prova decisiva di cui all’art. 606, comma 1, lett. d) cod. proc. pen., non trattandosi di prova. Ciò è stato confermato definitivamente dalle Sezioni Unite, che hanno affermato il principio per cui la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova “neutro”, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l’articolo citato, attraverso il richiamo all’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A, Rv. 270936 – 01, richiamata da Cass. pen., Sez. 1^, sentenza n. 7364/2023).
Mezzi di prova già ammessi
La mancata assunzione dei mezzi di prova già ammessi non produce alcuna nullità del procedimento laddove non sia stata manifestata alcuna riserva alla chiusura dell’istruzione dibattimentale da parte di chi tali mezzi aveva richiesti né opposizione delle altre parti processuali. Infatti il diritto alla prova, previsto dall’art. 190 c.p.p., nel vigente sistema processuale, caratterizzato dalla dialettica e dall’impulso delle parti, implica anche il principio di disponibilità della prova medesima. In presenza, pertanto, di un comportamento concludente di rinuncia alla prova non è configurabile alcuna nullità (Sez. 4^, sentenza n. 11424/2017).
Effetti sul diritto alla prova della restituzione nel termine
Il provvedimento che concede la restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale di primo grado non vincola o condiziona il giudice di secondo grado in ordine alla istruttoria dibattimentale, dovendo egli sempre valutare, in modo autonomo, la sussistenza di ipotesi che la rendano necessaria. Ed invero, il diritto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per l’imputato contumace riammesso nei termini per proporre impugnazione va correttamente interpretato e coordinato con gli altri principi che regolano il processo penale, tenendo conto, in primo luogo, che gli atti istruttori compiuti nel giudizio di primo grado non divengono invalidi per il solo fatto che l’imputato contumace sia rimesso in termini per appellare, ma mantengono la loro validità e la loro efficacia, come previsto dall’art. 175 c.p.p. nuovo testo, che non prevede l’invalidità dell’attività istruttoria compiuta nel giudizio di primo grado né la automatica rinnovazione del dibattimento. Pertanto, il diritto alla prova dell’imputato contumace, riammesso in termini per impugnare, potrà consistere o nella richiesta di riassunzione delle prove già assunte in primo grado o nella richiesta di prove non assunte nel giudizio di primo grado, ma ciò, sempre subordinatamente alle regole ordinarie che sovrintendono l’istruzione probatoria ossia a condizione che l’imputato appellante indichi al giudice del gravame il tema di indagine che si intende approfondire, in modo da consentire al giudice di valutarne la pertinenza e la rilevanza ai fini della ammissione delle prove richieste (Sez. 6^, sentenza n. 32485/2016).
Rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello: eccezionalità dell’istituto e obblighi motivazionali del giudice
La rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale rappresenta un istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso, in deroga alla presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, esclusivamente allorché il giudice ritiene, nella sua discrezionalità, indispensabile la integrazione, nel senso che non è altrimenti in grado di decidere sulla base del solo materiale già a sua disposizione, con la conseguenza che, tolte le ipotesi di prove sopravvenute o scoperte dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, le parti non hanno il diritto alla prova che riconoscono loro gli articoli 190 e 495 c.p.p. e, dunque, fuori da questi casi — come in quello sottoposto al presente scrutinio di legittimità -, la mancata assunzione della prova non è mai censurabile in cassazione a norma dell’art. 606 lett. d) c.p.p. bensì solo ai sensi della lettera e) di tale ultimo articolo (Sez. 5^, sentenza n. 24791/2017).
Il giudice di appello che intende respingere una specifica richiesta di parte di rinnovazione del dibattimento ha l’obbligo di dare conto dell’assenza di decisività degli incombenti proposti e cioè della loro inidoneità ad eliminare contraddizioni nei dati già raccolti o ad inficiarne la loro valenza (Sez. 5^, sentenza n. 15606 del 03/12/2014, dep. 2015, Rv. 263259; Sez. 6^. Sentenza n. 1249 del 26/09/2013, dep. 2014, Rv. 258758).
