Condannati per calunnia per il contenuto della memoria difensiva redatta dal loro avvocato ex art. 415-comma 3 bis cpp (di Riccardo Radi)

L’avvocato redige una memoria difensiva per sviluppare argomentazioni difensive ove si nega la responsabilità degli assistiti e si adduce una imperfetta acquisizione delle loro dichiarazioni da parte degli agenti di P.G.

Risultato? Entrambi gli imputati condannati per calunnia in due gradi di giudizio e solo in cassazione trovano giustizia (cassazione sezione 6 sentenza numero 17883/2021).

Fatto

La Corte territoriale ha confermato la condanna inflitta a A.C. e a D.P. e al loro coimputato A.L. ex artt. 110 e 368 cod. pen. per avere – tramite una memoria difensiva presentata dal loro difensore avvocato R. S. ex art. 415-bis cod. proc. pen. – accusato di reati ex artt. 323 e 479 cod. pen. gli ufficiali di PG che li avevano escussi circa un incidente stradale verificatosi alcuni giorni prima e a causa del quale era morto un minorenne, di avere “cercato volutamente in tutti i modi di indurre in errore” (esibendo grafici ingannevoli e con indebite pressioni psicologiche) e di avere “ricostruito il loro narrato in modo difforme” dal contenuto delle dichiarazioni.

Nella sentenza si precisa che sia C. che P. hanno in seguito espressamente ammesso che, comunque, quanto da loro dichiarato fu regolarmente trascritto dai verbalizzanti.

Inoltre, si sottolinea che gli imputati non hanno mai affermato che l’avvocato S. abbia agito al di fuori o oltre il mandato ricevuto o che abbia stravolto il loro pensiero.

Decisione

La Cassazione premette che per quanto riguarda la valenza calunniatoria del contenuto della memoria e la sua ascrivibilità alle posizioni di ciascuno degli imputati non risulta, che, nella valutazione fattane dalla Corte di appello, la memoria — presentata in un procedimento nel quale l’ipotesi accusatoria poggiava sulla natura mendace delle dichiarazioni rese da C. e P. — contenga una diretta e immediata attribuzione di condotte penalmente rilevanti agli ufficiali di Polizia giudiziaria che raccolsero le dichiarazioni dei ricorrenti (coindagati nel procedimento nel quale si colloca la memoria), se non sulla base della interpretazione dei richiami che essa contiene alla posizione dei coindagati e che sono espressione delle modalità espositive adottate dal difensore che produsse la memoria difensiva nell’interesse di C. e P..

La Suprema Corte sottolinea che non esorbita dai limiti del diritto di difesa l’imputato che attribuisce un determinato fatto di reato a altra persona, che pure sa innocente, soltanto per negare la propria responsabilità e ciò faccia nella sede processuale propria (Sez. 6, n. 16662 del 27/11/2013, Rv. 258762; Sez. 6, n. 15928 del 28/03/2013, Rv. 254733) e che deve escludersi la configurabilità dell’elemento soggettivo del reato di calunnia quando sia verificabile in concreto la presenza di un rapporto funzionale tra le affermazioni dell’agente, astrattamente calunniose, e la confutazione delle accuse rivoltegli (Sez. 6, n. 5065 del 10/12/2013, dep. 2014, Rv. 258772).

Relativamente alla attribuibilità dei contenuti della memoria agli imputati e alla prova del loro concorso con il difensore nella sentenza impugnata si sottolinea che gli imputati non hanno mai affermato che l’avvocato S. abbia agito al di fuori o oltre il mandato ricevuto o che abbia stravolto il loro pensiero nel redigere la memoria.

In realtà, deve, registrarsi che nell’atto di appello si è espressamente asserita l’ignoranza da parte degli imputati del contenuto della memoria presentata ex art. 415-bis comma 3, cod. proc. pen.

Infatti, si legge: “nel caso de quo, non era né mai è stata intenzione degli imputati P. e C. (come dagli stessi confermato e ribadito nei propri e rispettivi interrogatori innanzi al P.M. e come confermato dal teste avv. S. unico redattore ed unico sottoscrittore delle dette memorie) incolpare gli ufficiali di P.G.”; “essendo l’Avv. S. l’unico autore e sottoscrittore delle espressioni ritenute calunniose contenute nelle memorie 415-bis cpp depositate in procura”.

Chiosa la cassazione che posto quanto precede e, prescindendo da una specifica disamina dei contenuti della memoria presentata dall’avvocato S. e da una compiuta valutazione critica circa la loro effettiva attitudine calunniatoria, deve osservarsi quel che segue.

La memoria redatta dall’avvocato S. è stata presentata ex art. 415-bis, comma 3, cod. proc. pen. a seguito dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, dal quale risultava che L., P. e C.  erano indagati per il reato di cui all’art. 368 cod. pen..

Le memorie previste dall’art. 415-bis, comma 3, cod. proc. pen. rientrano nel genus delle memorie che, ex art. 121, comma 1, cod. proc. pen., “le parti e i difensori” possono presentare per sviluppare argomentazioni difensive.

Non vi sono ragioni per dubitare che essa sia stata redatta assecondando la linea difensiva addotta da C. e P. nel procedimento in cui erano indagati e consistente nel negare le responsabilità loro attribuite adducendo una imperfetta acquisizione delle loro dichiarazioni.

Tuttavia, nel caso in esame, la memoria è stata presentata dal difensore dei due (oltre che di un terzo coindagato) e non reca sottoscrizioni, né richiama mandati da parte loro.

Deve, quindi, concludersi che essa è stata una espressione della linea difensiva articolata nello spazio di flessibilità della prospettazione dei fatti consentita al difensore, ma anche che non è comunque provato che i suoi specifici contenuti siano attribuibili alle persone da lui difese.