I concetti di bene e male secondo Nietzsche (di Vincenzo Giglio)

Si sentono (troppo) spesso e (troppo) facilmente parole che esprimono la convinzione irriducibile di chi le pronuncia di sapere esattamente dove stia il bene e dove stia il male.

A questa folta schiera si è aggiunto anche il ministro dell’Interno che, dopo l’ennesimo viaggio della speranza finito in tragedia a poche centinaia di metri dalle coste di Cutro (KR), ha ritenuto di dire che “La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo le vite dei propri figli“.

Genitori negligenti, dunque, che hanno smarrito la ragione dimenticando il bene dei loro figli e gettandosi a capofitto in un’impresa così scriteriata.

Se si volesse portare le cose alle loro estreme conseguenze, quelli di loro che hanno perso in mare le loro creature dovrebbero essere perseguiti – perché no? – per omicidio colposo.

Certo, poi ci sarebbe la seccatura di verificare se per caso quei genitori avessero oppure no qualcosa da mettere in tavola, se fossero o no perseguitati, se avessero possibilità alternative alla fuga disperata per mare.

Ma insomma, tutto si spiega, tutto si supera.

Per il ministro il bene e il male sono scolpiti nella pietra e sono tanto evidenti da non ammettere alcun dubbio.

Anche Friedrich Nietzsche aveva un’opinione precisa, sebbene leggermente diversa.

La espresse in Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi.

Disse così:

Il concetto di bene e di male ha una duplice preistoria: da un lato, nell’animo delle stirpi e caste dominanti. Chi ha il potere di contraccambiare, bene con bene, male con male, ed esercita anche realmente questo contraccambio, ovverossia la vendetta e la riconoscenza, viene detto buono; chi non è potente e non può ricambiare, passa per cattivo. Come buono si appartiene ai «buoni», a una comunità che possiede il sentimento di essere tale in quanto gli individui sono reciprocamente collegati dal senso del contraccambio. Come cattivi si appartiene ai «cattivi», una massa di uomini subordinati, impotenti, che non possiedono alcun sentimento di essere una comunità. I buoni sono una casta, i cattivi una massa, come polvere. Per un certo periodo buono e cattivo equivalgono a nobile e umile, a signore e schiavo. Di contro, il nemico non è considerato cattivo in quanto può rivalersi. In Omero, il troiano e il greco sono entrambi buoni. Non chi ci fa del male, ma chi è spregevole è considerato cattivo. Nella comunità dei buoni, il bene è ereditario; è impossibile che da un terreno così buono possa nascere un cattivo. Se tuttavia uno dei buoni compie qualcosa di indegno, si ricorre a delle scappatoie: per esempio se ne attribuisce la colpa a un dio, dicendo che avrebbe colpito il buono rendendolo cieco e folle. — D’altro lato, nell’animo degli oppressi, degli impotenti. Qui ogni altro uomo, sia esso nobile o umile, è considerato ostile, spietato, predatore, crudele, subdolo. Cattivo è parola che definisce l’uomo, anzi qualsiasi essere vivente che si possa supporre, ad esempio un dio; umano, divino equivale pertanto a diabolico, malvagio. I segni della bontà, della misericordia, della compassione vengono angosciosamente recepiti come un’insidia, come un preludio a una tremenda conclusione, come stordimento e raggiri, insomma come raffinata malvagità. Tale essendo lo stato d’animo dell’individuo, difficilmente può sorgere una comunità, ma tutt’al più la forma più primitiva di essa: cosicché ovunque predomini questa concezione del bene e del male, è vicino il tramonto degli individui, delle loro stirpi e razze. La nostra moralità odierna è sorta sul terreno delle stirpi e caste dominanti“.

Cosa è bene – secondo Nietzsche – lo stabilisce chi comanda.

Cosa è male, pure.

E, almeno su questo, mi sembra davvero difficile dargli torto.