La cassazione sezione 2 con la sentenza numero 8398 depositata il 27 febbraio 2023 ha stabilito che la capacità di testimoniare della persona offesa affetta da disturbi psichici implica la verifica della comprensione delle domande e l’adeguamento delle risposte, in uno ad una sufficiente memoria circa i fatti oggetto di deposizione e alla piena coscienza di riferirne con verità e completezza.
La Suprema Corte ha chiarito che l’idoneità a rendere testimonianza implica la capacità di comprensione delle domande e di adeguamento delle risposte, in uno a una sufficiente memoria circa i fatti oggetto di deposizione e alla piena coscienza di riferirne con verità e completezza; pertanto non ogni comportamento contraddittorio, ma soltanto una situazione di abnorme mancanza nell’escutendo di ogni consapevolezza in relazione all’ufficio ricoperto determina l’obbligo per il giudice di disporre accertamenti sulla sua idoneità a testimoniare (Sez. 1, n. 6969 del 12/09/2017, S., Rv. 272605-01).
La Corte di merito, ha rispettato tale principio. Essa ha riscontrato come nel rispondere, nel corso del suo lungo e approfondito esame testimoniale, alle domande del pubblico ministero e della difesa dell’imputato, R.S. avesse rievocato gli accadimenti che gli erano occorsi con modalità che rivelavano una “piena aderenza alla realtà” e come il modesto sviluppo intellettivo della persona offesa, ritenuta dalla Corte per certi aspetti infantile e caratterizzata da uno schema di ragionamento semplificato, comunque la mettesse in grado di “avere una corretta percezione dei fatti, di ricordarli e, soprattutto, di riferirli fedelmente”, con ciò sostanzialmente accertando, nei termini richiesti dalla ricordata giurisprudenza della Corte di cassazione, la capacità di testimoniare di R.S. senza che, in assenza di un’abnorme mancanza, in capo allo stesso R.S., di ogni consapevolezza circa l’ufficio ricoperto, sussistesse l’obbligo di disporre accertamenti sulla sua capacità a ricoprire l’ufficio di testimone.
Infine, in ordine alla credibilità soggettiva della persona offesa e all’attendibilità delle sue dichiarazioni, si deve rammentare che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, occorre effettuare un rigoroso riscontro della credibilità soggettiva e oggettiva della persona offesa, specie se costituita parte civile, accertando l’assenza di elementi che facciano dubitare della sua obiettività, senza la necessità, però, della presenza di riscontri esterni, stabilita dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., per il dichiarante coinvolto nel fatto (ex plurimis: Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Rv. 253214-01; Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, Rv. 279070- 01; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312-01; Sez. 2, n. 41751 del 04/07/2018, Rv. 274489-01; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Rv. 265104-01; Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014, dep. 2015, Rv. 261730- 01).
Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno anche statuito che “la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni” (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214-01; più di recente: Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609-01).
Con riguardo alle dichiarazioni della persona offesa affetta da deficit psichico, la cassazione ha affermato che tali dichiarazioni non sono di per sé inattendibili, ma obbligano il giudice non soltanto a verificarne analiticamente la coerenza, costanza e precisione, ma anche a ricercare eventuali elementi esterni di supporto (Sez. 2, n. 21977 del 28/04/2017, Rv. 269798-01, concernente una fattispecie relativa alle dichiarazioni rese da un soggetto con ritardo mentale rilevante, vittima del reato di circonvenzione di incapace).
