Non ci avevamo pensato, ci era sfuggito, chiediamo scusa all’Autore (di Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

Continua a produrre effetti l’affaire degli avvisi di fissazione udienza che, in mezzo alle indicazioni canoniche, invitano l’indagato a valutare se gli porti più vantaggio affidarsi all’avvocato d’ufficio e lasciargli fare il suo mestiere oppure farne a meno in modo proattivo (intimandogli di non intervenire all’udienza e di non compiere alcuna attività difensiva).

Organismi rappresentativi dell’avvocatura di ogni ordine e grado hanno manifestato la loro contrarietà a simili prassi e all’ideologia di cui sono espressione.

Il quotidiano della Fondazione del CNF ha pubblicato vari articoli sulla vicenda.

La questione è approdata anche in Parlamento, precisamente al Senato della Repubblica, in conseguenza dell’interrogazione a risposta scritta n. 4-00256 (allegata in calce), rivolta al Ministro della giustizia dalla senatrice Erika Stefani la quale, dopo avere riassunto i fatti e le reazioni degli organismi associativi, “chiede di sapere se il Ministro in indirizzo non ritenga opportuno, nell’ambito delle proprie competenze, verificare quali circostanze abbiano portato ai fatti descritti e se ritenga opportuno il verificarsi di ingerenze dirette o indirette dei giudici nell’equilibrio tra le parti nei procedimenti penali, oltre a garantire la tutela di diritti inviolabili e costituzionalmente garantiti come quello dell’obbligatorietà della difesa tecnica nel procedimento penale“.

Questi i fatti e su di essi si è formato un dibattito assai ampio al quale hanno partecipato avvocati e cittadini.

Varie le sensazioni e le opinioni, in massima parte negative: incredulità (soprattutto nella prima fase si faticava a credere che avvisi del genere potessero essere concepiti da un magistrato), scoramento, rabbia.

Ad esse si sono aggiunte in corso d’opera riflessioni più pensose, una delle quali, opera di un Autorevole Avvocato e pubblicata sul quotidiano Il Dubbio (chi volesse leggerla, la trova a questo link), ci sembra meritare attenzione.

L’Autore concede che “La notizia – è sin troppo evidente – ha dignità per esser commentata“. Questo ci conforta non poco.

Subito dopo, tuttavia, esprime fastidio per il “gioco massimalista a chi la dice più grossa” e in cima alla lista dei grossier inserisce “chi rivendica nervosamente la primazia temporale della diffusione, lamentando che non gliene si dia credito (ingrati che sono gli avvocati!)“. Questo invece ci rattrista e ci fa dubitare della nostra capacità di giudizio e della nostra tenuta mentale (il nervosismo non è una cosa di cui vantarsi).

Ritiene a questo punto Suo dovere mettere a posto le cose e indicare Egli Stesso le massime (3 + 1, come si vedrà) che, una volta memorizzate, renderanno inutile, se non addirittura imbarazzante, qualsiasi altra opinione. Questo ci esalta, è sempre un’esperienza indimenticabile ascoltare il Verbo mentre viene declamato.

Massima n. 1: “Non si dice a un indagato che è suo diritto non partecipare all’udienza“.

Massima n. 2: “Il difensore d’ufficio che si ha l’obbligo di nominare – anche se, sembra di capire, un po’ di malavoglia – ha diritto ad essere retribuito“.

Massima n. 3: ” Non sta bene dire all’indagato che può limitarsi ad attendere la decisione del giudice“.

Che dire? Meno male che l’Autore c’è. Chi mai avrebbe raggiunto queste vertiginose vette del pensiero senza il Suo apporto decisivo? Grazie di cuore!

Non è finita qui. Sebbene il già detto sia definitivo, l’Autore vuole regalare ancora qualcosa ed è così importante da meritare la citazione integrale.

Massima n. 4: “Se è vero che l’avviso accende (e meno male) il red alert posizionato sulla Toga, perché invade uno spazio sacro tra l’avvocato e l’assistito, come pure quello posizionato nella tasca dell’indagato, che non vorrà spender quattrini per un difensore di ufficio che assimila ancora a quello consegnato alla storia dai luoghi comuni, è vero pure che di scene pietose in aula, ad opera di difensori d’ufficio improvvisati e arrivati a piazzale Clodio di passaggio provenendo direttamente da via Lepanto, ne abbiamo viste tutti; con buona pace degli sforzi profusi dall’Unione delle Camere Penali Italiane e dalla Camera Penale di Roma per la formazione. Ecco, invece di indignarci e gridare soltanto, proviamo a capire le ragioni culturali di un avviso così. Poi, se proprio ne abbiamo voglia, proclamiamo l’astensione a oltranza“.

Parole importanti che devono stare da sole perché qualunque compagnia le sciuperebbe.

Ci resta un unico compito ed è chiedere scusa all’Autore, appellandoci alla Sua clemenza.

Lo abbiamo disgustato, ce ne rendiamo conto solo adesso:

  • per avere diffuso per primi la notizia (e rivendicato la primazia, per giunta nervosamente), costringendo l’Autore a commentarla, sia pure di malavoglia, per rimettere a posto le cose;
  • per esserci azzardati a dire prima e in modo rudimentale le cose che l’Autore ha detto dopo in modo ispirato;
  • per avere taciuto sulle nefandezze e sulle scene pietose dei difensori d’ufficio, costringendolo ancora una volta a scendere in campo per testimoniare il disagio da Lui provato a fronte della manifesta incompetenza di tanti improvvisati difensori.

Non ci avevamo pensato, ci era sfuggito, e ora chiediamo scusa.