La cassazione sezione 2 con la sentenza numero 8066 depositata il 23 febbraio 2023 torna al significato da attribuire all’oltre ogni ragionevole dubbio, spiegando che sostanzialmente nulla è cambiato dalla introduzione dalla regola di giudizio contenuta nell’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 5 della legge n. 46 del 2006
La Suprema Corte spiega che per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione “oltre ogni ragionevole dubbio“, presente nel testo novellato del richiamato art. 533 cod. proc. pen. quale parametro cui conformare la valutazione inerente all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è opportuno evidenziare che, al di là dell’icastica espressione, mutuata dal diritto anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio costituzionale della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale.
Si è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in precedenza, il “ragionevole dubbio” sulla colpevolezza dell’imputato ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’art. 530 c.p.p., comma 2, sicché non si è in presenza di un diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, già in precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema – per tutte, Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese Rv. 222139) e solo successivamente recepita nel testo novellato dell’art. 533 c.p.p.), secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della responsabilità dell’imputato (Sez. 2, n. 19575 del 21/04/2006, Rv. 233785; Sez. 2, n. 16357 del 02/04/2008, Rv. 239795).
Ciò comporta che il vizio di motivazione va escluso quando il ragionamento sia effettivamente adeguato a superare il ragionevole dubbio e, per converso, sussiste quando le alternative proposte dalla difesa siano logiche e fondate su elementi di prova acquisiti al processo e regolarmente prospettati.
Infatti, la condanna può essere pronunciata a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili “in rerum natura” ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Sez. 2, n. 2548 del 19/12/2014, Rv. 262280 – 0).
La regola di giudizio contenuta nell’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 5 della legge n. 46 del 2006 impone, infatti, al giudice il ricorso “ad un metodo dialettico di verifica dell’ipotesi accusatoria secondo il criterio del dubbio, con la conseguenza che il giudicante deve effettuare detta verifica in maniera da scongiurare la sussistenza di dubbi interni (ovvero la autocontraddittorietà o la sua incapacità esplicativa) o esterni alla stessa (ovvero l’esistenza di un’ipotesi alternativa dotata di razionalità e plausibilità pratica)” (cfr., Sez. 1, n. 41110 del 24/10/2011, Rv. 251507).
Si è chiarito che tale principio, però, non ha affatto innovato la natura del sindacato della Corte di Cassazione sulla motivazione della sentenza e non può, quindi, essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello.
La condanna al là di ogni ragionevole dubbio comporta, infatti, in caso di prospettazione di un’alternativa ricostruzione dei fatti, che siano individuati gli elementi di conferma dell’ipotesi ricostruttiva accolta, “in modo da far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla stessa ipotesi alternativa, non potendo detto dubbio fondarsi su un’ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile” (Sez. 4, Sentenza n. 22257 del 25/03/2014, Rv. 259204).
