La cassazione sezione 5 con la sentenza numero 8128 depositata il 23 febbraio 2023 ha indicato i criteri per la corretta applicazione del principio tempus regit actum codificato dall’art. 11 delle preleggi.
La Suprema Corte premette che in assenza di una normativa intertemporale chiara a proposito dell’articolo 573, comma 1-bis c.p.p. (impugnazione ai soli effetti civili), indiscussa la natura processuale della disposizione, occorre fare riferimento alla regola generale del tempus regit actum codificata dall’art. 11 delle preleggi, in forza della quale la nuova normativa non può essere applicata agli atti pregressi legittimamente compiuti e produttivi di effetti giuridici completamente esauritisi nell’ambito della disciplina precedente.
La corretta applicazione del principio tempus regit actum impone la esatta individuazione dell’actus, che va focalizzato ed isolato, sì da cristallizzare la disciplina giuridica ad esso riferibile.
Per actus non può intendersi l’intero processo, che è concatenazione di atti -e di fasi- tutti tra loro legati dal perseguimento del fine ultimo di accertamento definitivo dei fatti; una tale identificazione comporterebbe la conseguenza che il processo “continuerebbe ad essere regolato sempre e soltanto dalle norme vigenti al momento della sua instaurazione“, il che contrasterebbe con l’immediata operatività del novum prescritta dall’art. 11 delle preleggi.
Il concetto di atto deve essere rapportato, come incisivamente precisato in dottrina, “allo stesso grado di atomizzazione che presentano le concrete e specifiche vicende disciplinate dalla norma processuale coinvolta nella successione“.
L’atto cioè va considerato nel suo porsi in termini di “autonomia” rispetto agli altri atti dello stesso processo.
Non può, inoltre, avallarsi, ai fini che qui interessano, una nozione indifferenziata di “atto” processuale, poiché deve aversi riguardo anche alle “dimensioni temporali” del medesimo, per modulare correttamente il parametro intertemporale e stabilire se sia applicabile il vecchio o il nuovo regime.
È necessario distinguere tra varie specie di atti:
quello con effetti istantanei “che si esaurisce senza residui nel suo puntuale compimento” e ha, per così dire, una funzione “autoreferenziale“;
quello che, pur essendo di esecuzione istantanea, presuppone una fase di preparazione e di deliberazione più o meno lunga ed è strettamente ancorato ad altro atto che lo legittima e che finisce con l’assumere rilievo centrale;
quello che ha “carattere strumentale e preparatorio” rispetto ad una successiva attività del procedimento, con la quale va a integrarsi e completarsi in uno spazio temporale anch’esso più o meno ampio, dando luogo ad una fattispecie processuale complessa (Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, Lista).
Le Sezioni unite Lista sono state chiamate a pronunciarsi sul regime intertemporale della norma che ebbe a sopprimere il potere della parte civile di proporre impugnazione agli effetti penali nei procedimenti per i reati di ingiuria e diffamazione; pertanto si sono occupate della disciplina intertemporale applicabile alle impugnazioni nello specifico rapporto sentenza – mezzo di impugnazione.
In tale situazione per la individuazione dell’actus – al quale fare in concreto riferimento per l’individuazione della disciplina intertemporale – sono prospettabili solo due alternative: o la presentazione dell’impugnazione o la pronuncia della sentenza.
Le Sezioni Unite propendono per la seconda opzione: «Il regime delle impugnazioni va ancorato, in base alla regola intertemporale di cui all’art. 11 delle preleggi, non alla disciplina vigente al momento della loro presentazione ma a quella in essere all’atto della pronuncia della sentenza, posto che è in rapporto a quest’ultimo actus e al tempus del suo perfezionamento che vanno valutati la facoltà di impugnazione, la sua estensione, i modi e i tempi per esercitarla”.
Alla base vi è “l’esigenza di tutela dell’affidamento maturato dalla parte in relazione alla fissità del quadro normativo”. Occorre “assicurare al processo la certezza delle regole processuali e dei diritti eventualmente già maturati, senza il timore che tali diritti, pur non ancora esercitati, subiscano l’incidenza di interventi legislativi improvvisi e non sempre coerenti con il sistema, che vanno a depauperare o a disarticolare posizione processuali già acquisite”.
Il potere di impugnazione trova la sua genesi nella sentenza e non può che essere apprezzato in relazione al momento in cui questa venga pronunciata, con la conseguenza che è al regime regolatore vigente a tale momento che deve farsi riferimento, regime che rimane insensibile rispetto a eventuali interventi normativi successivi, non potendo la nuova legge processuale travolgere quegli effetti dell’atto che si sono prodotti prima della entrata in vigore della legge medesima, né regolare diversamente gli effetti futuri dell’atto.
Sulla scorta di tali argomenti, le Sezioni Unite Lista hanno affermato il seguente principio di diritto: “Ai fini dell’individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, allorché si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall’una all’altra, l’applicazione del principio tempus regit actum impone di far riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato” (Rv. 236537).
La scelta si concilia con quanto statuito dalle Sezioni Unite D’Amato (n. 47008 del 29/10/2009, Rv. 244810 – 01) che hanno individuato nella delibazione della sentenza il momento di “passaggio al grado successivo o da appello a legittimità”.
La cassazione nella consapevolezza dei differenti approcci interpretativi maturati nelle prime applicazioni della norma (i perduranti contrasti, nelle more del deposito di questa motivazione, hanno indotto alla rimessione della questione alle Sezioni Unite, cfr. notizia di decisione quinta sezione n. 8 del 2023, udienza del 7 febbraio 2023) – ritiene che il fenomeno successorio connesso all’art. 573, comma 1-bis cod. proc. pen. vada regolato in termini analoghi a quelli stabiliti dalle citate Sezioni unite Lista; quindi accoglie il principio per cui: “Ai fini dell’individuazione del regime applicabile al rinvio per la prosecuzione del giudizio impugnazione ex art. 573, comma 1-bis, cod. proc. pen., la regola del tempus regit actum impone di far riferimento al momento di deliberazione della sentenza impugnata” (così Sez. 5, n. 3990 del 20/01/2023, Sez. 5, n. 4902 del 16/01/2023, diff. Sez. 4, n. 2854 del 11/01/2023; Sez. 3 n. 2 del 2023; Sez. 4 notizia decisione n. 2 del 2023, udienza 17/01/2023).
