Premessa
Il tema delle dichiarazioni etero-accusatorie rese dal coindagato o coimputato nel medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato e dei requisiti necessari perché raggiungano il livello della gravità indiziaria è tra quelli in perenne evoluzione nella giurisprudenza di legittimità.
Cass. pen., Sez. 6^, sentenza n. 2604/2023 (udienza del 6 dicembre 2022) ci consente di cogliere gli attuali approdi interpretativi al riguardo.
Il ricorso per cassazione
Il GIP emette nei confronti di LGO un’ordinanza di custodia cautelare in carcere che il tribunale del riesame annulla parzialmente in relazione ad un capo di imputazione.
Il difensore dell’indagato ricorre per cassazione contro l’ordinanza del tribunale deducendo tra l’altro i vizi di violazione di legge e di carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui al capo di imputazione in cui si contesta al ricorrente la partecipazione, unitamente ad altri indagati, ad un clan mafioso, allo scopo di commettere una serie indeterminata di reati contro la pubblica amministrazione ed al fine di assumere il controllo di due amministrazioni comunali, condotta consistita nella messa a disposizione del sodalizio, nella qualità di assessore ai lavori pubblici di una delle due amministrazioni, per l’affidamento di lavori a ditte vicine al sodalizio.
Il difensore fonda il motivo di ricorso su due particolari profili.
Il primo, concernente l’asserito collegamento del ricorrente al clan, è ricavato da una sentenza assolutoria di alcuni imputati che erano stati accusati dallo stesso collaboratore di giustizia P. che ha accusato LGO.
Il secondo consiste nella carenza di un apporto fattivo, concreto e stabile del ricorrente, idoneo a configurarne la partecipazione al sodalizio mafioso. Il collaboratore P. non ha indicato le generalità dell’assessore intraneo al sodalizio e il solo riferimento alle caratteristiche fisiche è inidoneo a ritenere che si trattasse del ricorrente. Inoltre, quanto al concreto apporto contestato al ricorrente, è dedotta l’omessa o carente valutazione della produzione documentale effettuata dalla difesa nel corso del giudizio di riesame in merito ai lavori affidati dal Comune di Ma… negli anni 2014-2019 nonché ai risultati delle elezioni amministrative negli anni 2015 e 2020, competizione, quest’ultima in cui, nonostante la tesi dell’impegno di un componente del clan a sostegno della candidatura del ricorrente, risulta che questo non è stato eletto.
La decisione della Corte di cassazione
Il collegio di legittimità rileva che il ricorrente ha censurato il carattere individualizzante dei riscontri considerati dall’ordinanza impugnata sottolineando, in primo luogo, la mancanza di alcun riferimento nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia al soprannome (“chiddu longu”, quello alto, NDA) di LGO, posto che P. ha dichiarato di non ricordare il nome dell’assessore, descrivendolo come un soggetto alto, scuro, di circa 35 anni, e che aveva spesso chiamato ditte vicine al clan L. In secondo luogo, il ricorrente deduce la mancanza di riscontri in merito all’attività in cui si sarebbe manifestata la “messa a disposizione” di LGO in favore del sodalizio mafioso. Ha, in particolare, dedotto l’assenza di riscontri sia in merito all’affidamento diretto dei lavori sotto soglia a ditte vicine al sodalizio, evidenziando che tale attività esula dalle competenze dell’assessore ai lavori pubblici, spettando, invece, all’Ufficio tecnico comunale, e che, comunque, non è emerso alcuna “vicinanza” al sodalizio mafioso delle ditte affidatarie dei lavori nel Comune di Ma… nel periodo in contestazione.
Il collegio considera meritevoli di accoglimento tali censure.
Ricorda al riguardo che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni unite, la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua “messa a disposizione” in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (da ultimo, Sez. U, sentenza n. 36958 del 27/05/2021, Modafferi, Rv. 281889). Tale nozione rappresenta l’ultima tappa del percorso ermeneutico da tempo tracciato dalle Sezioni unite in cui si è chiarito che siffatta partecipazione implica, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U., sentenza n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670). Nel caso di specie, secondo la chiamata in correità di P., la partecipazione del ricorrente si sarebbe manifestata attraverso l’affidamento dei lavori pubblici sotto soglia, da eseguire nel Comune di Ma…, a ditte compiacenti, ricevendo in cambio l’appoggio del sodalizio nelle competizioni elettorali amministrative del 2015-2016 in cui era stato candidato a sindaco.
Ribadisce che le dichiarazioni accusatorie rese dal coindagato o coimputato nel medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato, integrano i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273, comma primo, cod. proc. pen. – in virtù dell’esplicito richiamo all’art. 192, commi 3 e 4, operato dall’art. 273, comma 1-bis, cod. proc. pen. – soltanto se esse, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, risultino corroborate da riscontri estrinseci individualizzanti, tali cioè da attribuire capacità dimostrativa e persuasività probatoria in ordine all’attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario di esse, ferma restando la diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza del chiamato, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato (tra le tante, si veda, Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006, Spennato, Rv. 234598; Sez. 2, n. 11509 del 14/12/2016, dep. 2017, Rv. 269683; Sez. 5, n. 50996 del 14/10/2014, Rv. 264213).
Ritiene che il tribunale del riesame abbia eluso il suddetto principio di diritto, avendo utilizzato riscontri privi di siffatta valenza individualizzante in relazione, in primo luogo, all’identificazione dell’assessore messosi a disposizione del sodalizio, non essendo a tal fine sufficiente, come dedotto dal ricorrente, il generico riferimento alla statura fisica di tale soggetto di cui, peraltro, il collaboratore non indica anche il soprannome (che nel caso di LGO si riferisce proprio alla sua altezza). Va, inoltre, aggiunto che, come risulta dalla stessa ordinanza impugnata, il P., nel corso delle dichiarazioni rese il 6 agosto 2019, aveva inizialmente fatto riferimento all’assessore del vicino Comune di Mo…, mentre nel successivo interrogatorio del 24 settembre 2019, si era corretto, facendo riferimento al Comune di Ma…, giustificando tale discrasia nella vicinanza dei due Comuni. Manca, inoltre, qualsiasi riscontro alla specifica attività in cui si sarebbe manifestata la messa a disposizione del ricorrente, non potendosi considerare tale il contenuto della conversazione del 2020 tra il ricorrente e GP in cui non risulta alcun riferimento ad una pregressa attività di LGO in favore del sodalizio. Va, infatti, considerato che, secondo l’imputazione provvisoria, la partecipazione del ricorrente, nei termini indicati dal collaboratore di giustizia, avrebbe avuto inizio nel 2013 fino all’attualità. Analoghe considerazioni valgono in relazione al contenuto del colloquio in carcere in cui CP proponeva LGO quale candidato gradito alla famiglia per le competizioni elettorali del 4-5 ottobre 2020, in cui, peraltro, come risulta dalla stessa ordinanza impugnata, il ricorrente, candidatosi a sindaco, non fu eletto.
Per queste complessive dichiarazioni, il collegio ha annullato con rinvio l’ordinanza impugnata.
Massima
Le dichiarazioni accusatorie rese dal coindagato o coimputato nel medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato, integrano i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273, comma primo, c.p.p. – in virtù dell’esplicito richiamo all’art. 192, commi 3 e 4, operato dall’art. 273, comma 1-bis, c.p.p. – soltanto se esse, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, risultino corroborate da riscontri estrinseci individualizzanti, tali cioè da attribuire capacità dimostrativa e persuasività probatoria in ordine all’attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario di esse, ferma restando la diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza del chiamato, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato.
