La cassazione sezione 4 con la sentenza numero 6143 depositata oggi, 14 febbraio 2023, ha ribadito che le innovazioni in materia di procedibilità a querela possono operare retroattivamente, ma tale retroattività incontra un limite nella presentazione di un ricorso inammissibile.
La Suprema Corte ricorda che a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022, che ha modificato l’art. 624, comma 3, cod. pen., il reato oggetto del presente giudizio è procedibile a querela di parte.
L’art. 85 del citato decreto (come modificato dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 di conversione del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162), nel dettare disposizioni transitorie in materia di modifica del regime di procedibilità, ha stabilito che “per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato”.
Nel caso di specie la persona offesa risulta aver sporto una “denuncia” che non contiene espressa richiesta di punizione.
Tuttavia, il ricorso può essere deciso senza aspettare che siano decorsi tre mesi dalla data di entrata in vigore del decreto (30 dicembre 2022) e a prescindere dal fatto che la proprietaria dell’auto formuli richiesta di punizione.
Trova, infatti, applicazione il principio che fu affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36. La disciplina transitoria prevedeva, in quel caso (art. 12 comma 2 d.lgs. n. 36/18), che dovesse essere dato avviso alla persona offesa della possibilità di proporre querela e il Supremo collegio ritenne che questo avviso non dovesse essere dato, nei giudizi pendenti in sede di legittimità, in casi di inammissibilità del ricorso (Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Rv. 273551).
Fu rilevato, facendo ampio riferimento ai principi affermati in altre decisioni del supremo Collegio (in particolare Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266819), “che l’art. 129 cod. proc. pen. non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l’epilogo del processo, ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice che presuppone il pieno esercizio della giurisdizione. Non riveste, cioè, per quanto qui interessa, una valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al giudice dell’impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione”.
L’argomentazione si attaglia perfettamente anche al caso in esame.
Consente, infatti, di escludere che il procedimento sia “pendente” in presenza di un ricorso inammissibile.
Come sottolineato anche dalla sentenza n. 12602/2015, Ricci, tale affermazione non è in contrasto con i diritti fondamentali sul giusto processo garantiti dalla CEDU. È onere della parte interessata, infatti, attivare correttamente il rapporto processuale di impugnazione, con la conseguenza che il mancato rispetto delle regole processuali paralizza i poteri cognitivi del giudice e non vengono perciò in considerazione l’equità o la razionalità del processo.
La sopravvenienza della procedibilità a querela, peraltro, ha valore ben diverso dalla “abolitio criminis” e la giurisprudenza ha costantemente escluso che il giudice dell’esecuzione possa revocare la condanna rilevando la mancata integrazione del presupposto di procedibilità (in tal senso, da ultimo: Sez. 1, n. 1628 del 03/12/2019, dep. 2020, Rv. 277925; sull’argomento anche: Sez. 2, n. 14987 del 09/01/2020, Rv. 279197).
Come opportunamente sottolineato dalla sentenza n. 40150/2018, inoltre, la mancanza della condizione di procedibilità viene comunemente trattata nel giudizio di legittimità come una questione di fatto, soggetta alle regole della autosufficienza del ricorso (cfr. Sez. 6, n. 44774 del 08/10/2015, Rv. 265343) e ai limiti dei poteri di accertamento della Cassazione (cfr. Sez. 3, n. 39188 del 14/10/2010, Rv. 248568), sicché non può dirsi che la declaratoria di inammissibilità sia destinata ad essere messa in crisi da una ipotetica, incondizionata necessità di verifica dello stato della condizione di procedibilità come richiesta dalla normativa subentrata (in tal senso Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273551).
In conclusione, chiosa la cassazione, la disciplina codicistica dei mutamenti normativi favorevoli diversi dalla “abolitio criminis” non consente di sostenere che, nel rapporto tra ricorso inammissibile e innovazioni normative che introducono la procedibilità a querela, debbano applicarsi regole diverse da quelle che, in base alla giurisprudenza assolutamente prevalente, si applicano nei rapporti tra ricorso inammissibile e mutamenti normativi favorevoli in materia di cause di non punibilità e, in particolare, di cause estintive del reato, aventi natura più marcatamente sostanziale.
Ne consegue che le innovazioni in materia di procedibilità a querela possono operare retroattivamente, ma tale retroattività incontra un limite nella presentazione di un ricorso inammissibile.
Nessuna indicazione in senso contrario può essere tratta dalla disciplina transitoria dettata dall’art. 85 d.lgs. n. 150/2022.
Il legislatore, infatti, si è limitato a prevedere una generale restituzione nel termine per querelare che, per i reati in precedenza procedibili d’ufficio, decorre dalla data di entrata in vigore della riforma, secondo il brocardo “lex interpellat pro iudice”.
Non ha fatto altro, quindi, che avvalersi della possibilità contemplata dall’art. 124, comma 1, cod. pen. che, con l’espressione “salvo che la legge disponga altrimenti”, consente di far decorrere il termine per querelare da un giorno differente rispetto a quello in cui la persona offesa ha avuto notizia del fatto che costituisce reato.
Com’è evidente, una disciplina siffatta non può incidere sul rapporto tra le innovazioni normative in materia di procedibilità e l’inammissibilità del ricorso e poiché tale inammissibilità, anche se dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione la si deve dichiarare senza che vi sia necessità di verificare se la persona offesa abbia proposto querela o intenda farlo.
