Avvocato, sii chiaro e sintetico: in caso contrario pagherai una somma pari alle spese di lite (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 3 con l’ordinanza numero 4300 depositata il 13 febbraio ha stabilito che: “Il mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali che, fissato dall’articolo 3, secondo comma 2, Cpa, esprime tuttavia un principio generale del diritto processuale, destinato a operare anche nel processo civile, espone il ricorrente al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, non già per l’irragionevole estensione del ricorso (la quale non è normativamente sanzionata), ma in quanto pregiudica l’adeguata comprensibilità delle questioni, qualora renda effettivamente oscura l’esposizione dei fatti di causa e così confuse le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui ai numeri 3 e 4 dell’articolo 366 Cpc, assistite – queste sì – da una sanzione testuale di inammissibilità”.

Il ricorso che contiene un’esposizione sovrabbondante impone al collegio di leggere una massa imponente di atti irrilevanti ai fini del decidere e nello stesso tempo impedisce di focalizzarsi sui fatti davvero dirimenti, perché risultano confuse le censure mosse alla sentenza impugnata.

Si profila pertanto l’abuso del processo con condanna a pagare alla controparte una somma pari a quella liquidata per le spese processuali: il dovere di chiarezza e sinteticità degli atti processuali costituisce un principio destinato a operare anche nel processo civile.

Ricordiamo che il principio fa parte della riforma che entrerà in gran parte in vigore per i procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio prossimo.

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