Prove inutilizzabili: basta interpretazioni e aggettivazioni creative come “patologica” e “derivata” (di Riccardo Radi)

Il comma 1 dell’articolo 191 del codice di procedura penale sancisce chiaramente l’inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione di legge.

Dunque, in claris non fit interpretatio: una prova acquisita nel dispregio della legge è una prova che non può essere utilizzata, appunto, perché acquisita in violazione di legge.

Nondimeno, reiterati arresti della Suprema Corte hanno, con interpretazione “creativa”, introdotto nel nostro ordinamento una sorta di distinzione, non prevista dal legislatore, tra inutilizzabilità “patologica” e altri modelli di inutilizzabilità.

Il funambolico superamento con la distinzione sopra evidenziata è servito a minare in taluni casi e, purtroppo, ripetutamente il nostro ordinamento processual-penale nel segmento più importante, vale a dire quello della valutazione di una prova che, addirittura totalmente viziata nella genesi, viene a essere considerata valida nel processo a prova contratta.

In buona sostanza, l’imputato che sceglie il giudizio abbreviato paga il pegno della propria legittima scelta difensiva, facendo acquiescenza – secondo la giurisprudenza sopra richiamata – all’utilizzabilità di un atto acquisito in violazione di legge.

È ovvio che un simile orientamento giurisprudenziale palesa l’intenzione di far salvi i deficit requirenti che, a stretto rigore di legge, andrebbero soggetti alla sanzione dell’inutilizzabilità dell’atto.

La Suprema Corte è arrivata ad affermare che “l’irritualità nell’acquisizione dell’atto probatorio è neutralizzata dalla scelta negoziale della parte di tipo abdicativo, che fa assurgere a dignità di prova gli atti di indagine compiuti senza il rispetto delle forme di rito” (si vedano, ex multis, Corte di cassazione penale, sezione IV, sentenza n. 40550 del 10 novembre 2021, e Corte di cassazione penale, sezione III, sentenza n. 46325 del 14 novembre 2011).

In buona sostanza, il giudice di legittimità arriva a sancire l’”abdicazione”, la rinunzia dell’imputato al rispetto delle regole processuali, in ragione di una loro asserita “neutralizzazione” ad opera della sua, si torna a ripetere legittima, scelta processuale.

In definitiva, deve sempre comandare la norma, avendo il nostro diritto vivente, semmai, la funzione di interpretarla, di creare e determinare orientamenti, giammai di sostituirsi, appunto, alla norma soprattutto nei casi come quello che ci riguarda, di essenziale importanza e rilevanza strutturali.

Le premesse illustrate sono il preambolo della proposta di legge numero 729 pubblicata sul sito della Camera dei Deputati il 10 febbraio 2023 (allegata in calce al post) che intende impedire l’eccesso di zelo interpretativo, una norma che cristallizzi un principio che, nella volontà del legislatore del 1989, appariva essere assolutamente scontato e non revocabile in dubbio.

Con la proposta di legge si intende altresì normare un ulteriore aspetto della disciplina in tema di inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione di legge: quello della cosiddetta “inutilizzabilità derivata”, ulteriore creazione di carattere giurisprudenziale.

In buona sostanza, per il nostro diritto vivente, anche se una prova è stata acquisita in violazione di legge e non è utilizzabile, la successiva prova di diretta discendenza da quella viziata viene, sorprendentemente, considerata valida e utilizzabile (si vedano, ex multis, Corte di cassazione penale, sezione VI, sentenza n. 1007 del 12 febbraio 2019, e Corte di cassazione penale, sezione VI, sentenza n. 44896 del 7 novembre 103).

Però, da una perquisizione arbitraria, perché effettuata in violazione di legge, non può mai discendere un sequestro legittimo.

Anche questa “acrobazia giurisprudenziale”, all’evidenza finalizzata a colmare il mancato rispetto delle regole processuali da parte degli organi inquirenti, deve essere neutralizzata ed è proprio a tale istanza che intende rispondere il progetto di legge.

La prassi giudiziaria, con percentuali ormai allarmanti, ha chiarito che le prove inutilizzabili vengono sempre utilizzate contra reum e mai pro reo e questo pare sintomatico di una ben precisa visione giudiziaria e della posizione in essa occupata dall’imputato.