La posizione di garanzia nel diritto penale: nozione e casistica (Vincenzo Giglio)

La nozione

Dottrina e giurisprudenza hanno individuato, a proposito dell’art. 40 comma 2, cod. pen., il concetto di posizione di garanzia.

Si intende per tale la situazione in presenza della quale sorge a carico di taluno l’obbligo di agire (il cosiddetto obbligo di garanzia).

La posizione di garanzia si presenta in due diverse tipologie:

  • posizione di controllo: è connessa al dominio che taluno esercita su un oggetto o su un’attività dalla quale derivano pericoli per gli interessi di terzi (esempi: il titolare di un’impresa che svolga attività pericolose; il possessore di un’arma da fuoco);
  • posizione di protezione: è connessa ad un legame giuridico in virtù del quale taluno è tenuto a proteggere beni giuridici di un altro soggetto che sia totalmente o parzialmente incapace di provvedervi autonomamente (esempio: obblighi protettivi dei genitori sui figli, del tutore sull’interdetto).

Sono state formulate riguardo all’origine della posizione di garanzia diverse tesi, quelle più importanti sono le seguenti due:

  • teoria formale dell’obbligo: ritiene che l’obbligo giuridico di agire possa derivare solo dalla legge o dal contratto;
  • teoria funzionale: ritiene che l’obbligo predetto possa sorgere solo a carico di chi abbia un effettivo dominio sui fattori che determinano l’evento da impedire.

Sempre in tema di posizione di garanzia, un problema di rilievo è stabilire chi ne sia titolare nelle organizzazioni complesse (come ad esempio una grande azienda, organizzata in forma articolata).

Normalmente si ritiene che la posizione di garanzia spetti in questo caso ai soggetti posti in posizione apicale.

Capita tuttavia piuttosto spesso che tali soggetti deleghino funzioni ai loro sottoposti. Bisogna allora comprendere se la delega di funzioni produca o meno effetti in ambito penale, se cioè sia idonea a trasferire la posizione di garanzia dal delegante al delegato o, quantomeno, ad estenderla a quest’ultimo assieme al primo.

La tesi ormai prevalente è nel senso dell’ammissibilità della delega che viene quindi considerata uno dei modi attraverso i quali il titolare originario della posizione di garanzia può assolvere il proprio obbligo giuridico. In altri termini, il titolare originario della posizione di garanzia non è considerato colpevole dell’evento che aveva l’obbligo di impedire se prova di avere delegato la funzione corrispondente e di avere vigilato adeguatamente sul delegato.

La delega produce effetti solo se:

  • è effettiva: il delegato deve ricevere i poteri e i mezzi necessari per esercitare le funzioni delegate e possedere i requisiti tecnici richiesti da tali funzioni;
  • è certa: la delega deve essere conferita in forma scritta, deve essere conosciuta dal delegato, deve essere impartita nel rispetto delle regole proprie dell’organizzazione complessa;
  • il delegante ha assolto ai suoi doveri non delegabili derivanti dalla posizione apicale.

L’attuale visione giurisprudenziale

Così si esprime Cass. pen., Sez. 4^, sentenza n. 25327/2022 (udienza dell’1° giugno 2022):

In tema di reati omissivi colposi, la posizione di garanzia può essere generata non solo da investitura formale, ma anche dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante mediante un comportamento concludente dell’agente, consistente nella presa in carico del bene protetto. (Fattispecie relativa al crollo di edificio scolastico a seguito di evento sismico, in cui la Corte ha ritenuto la sussistenza in capo al dirigente del settore edilizia della Provincia di un obbligo di collaborare alla valutazione e gestione del rischio sismico connesso alla fragilità dell’edificio, avendo egli assunto, una posizione di garanzia anche in fatto, a seguito delle ripetute ispezioni svolte nei giorni antecedenti al sinistro). Sez. 4, n. 2536 del 23/10/2015 Ud. (dep. 21/01/2016 ) Rv. 265797 – 01.

In proposito questa Corte si è ripetutamente e condivisibilmente espressa.

Le Sezioni unite (S.U. 24 aprile 2014, ThyssenKrupp, RV 261107), hanno chiarito che la posizione di garanzia può essere generata non solo da investitura formale, ma anche dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante. Ed hanno anzi aggiunto che è spesso di particolare importanza porre attenzione alla concreta organizzazione della gestione del rischio. Tale indicazione si desume testualmente dall’art. 299 del T.U. sulla sicurezza del lavoro; ma costituisce importante principio dell’ordinamento penale.

La questione è stata del resto esaminata ampiamente anche in passato, con notazioni consonanti (Sez. 4, 22/05/2007, Rv. 236852). Si è rammentato che si è affermata anche in giurisprudenza una visione eclettica della fondazione del ruolo di garanzia che ha in parte superato la storica concezione formale. Si è sviluppata una elaborazione sostanzialistico-funzionale che non fa più leva tanto su profili formali quanto piuttosto sulla funzione dell’imputazione per omissione, connessa all’esigenza di natura solidaristica di tutela di beni giuridici attraverso l’individuazione di un soggetto gravato del ruolo di garante della loro protezione. Tale individuazione del garante avviene, più che sulla base di criteri formali, alla stregua della posizione di fatto assunta, del ruolo svolto. Essa consente inoltre di fronteggiare situazioni nelle quali, pur in presenza di un vizio della fonte contrattuale dell’obbligo, vi è stata la effettiva assunzione del ruolo di garante, la cosiddetta presa in carico del bene protetto; nonché quelle nelle quali si riscontra una situazione di fatto assimilabile, analoga, rispetto a quella prevista dalla fonte legale dell’obbligazione, come ad esempio nel caso della consolidata convivenza in un rapporto di tipo familiare o istituzionale.

La Suprema Corte ha chiarito che, nell’individuazione dei reali destinatari degli obblighi protettivi, vengono in rilievo le funzioni in concreto esercitate dal soggetto agente (S. U., n. 9874 del 01/07/1992, dep. 14/10/1992, Rv. 191185); spetta all’interprete procedere alla selezione delle diverse posizioni di garanzia, per tutti i casi della vita – non tipizzati dal legislatore – corrispondenti ad una situazione di passività, in cui versi il titolare del bene protetto; e che l’interprete, in tale ambito ricostruttivo, deve individuare il contenuto degli obblighi impeditivi specificamente riferibili al soggetto che versa in posizione di garanzia.

Giova, inoltre, ricordare che la posizione di garanzia deve intendersi come locuzione che esprime in modo condensato l’obbligo giuridico di impedire l’evento e che fonda la responsabilità in ordine ai reati commissivi mediante omissione, ai sensi dell’art. 40 cpv. c.p., e che è affidata all’interprete la selezione dei garanti e l’individuazione di aree di competenza pienamente autonome, tali da giustificare la compartimentazione della responsabilità penale.

Nella materia di interesse costituisce principio di diritto affermato da questa Corte quello per cui “ai fini della operatività della così detta clausola di equivalenza di cui all’art. 40 cpv. c.p., nell’accertamento degli obblighi impeditivi gravanti sul soggetto che versa in posizione di garanzia, l’interprete deve tenere presente la fonte da cui scaturisce l’obbligo giuridico protettivo, che può essere la legge, il contratto, la precedente attività svolta, o altra fonte obbligante e – in tale ambito ricostruttivo, al fine di individuare lo specifico contenuto dell’obbligo – come scaturente dalla determinata fonte di cui si tratta – occorre valutare sia le finalità protettive fondanti la stessa posizione di garanzia, sia la natura dei beni dei quali è titolare il soggetto garantito, che costituiscono l’obiettivo della tutela rafforzata, alla cui effettività mira la clausola di equivalenza” (Sez. 4, sent. n. 9855 del 27/01/2015, dep. 06/03/2015, Rv.262440)“.

Un caso concreto

I genitori di una bambina di appena otto mesi vengono entrambi condannati per omicidio colposo per averne causato la morte per colpa consistita nel non avere impedito che assumesse accidentalmente cocaina in quantità tale da provocarle un’overdose fatale.

Il padre ricorre per cassazione.

Il ricorso è trattato dalla quarta sezione penale della Corte che lo definisce con la sentenza n. 4935/2023 (udienza del 26 gennaio 2023).

Seguono adesso la riassunzione del fatto e le ragioni della decisione di inammissibilità del ricorso.

La mattina del 22 agosto 2015 i genitori della minore avevano chiamato il Servizio 118 in quanto la madre, prima della seconda poppata, intorno alle sei, si era accorta che la bambina non rispondeva; il medico intervenuto ne aveva constatato il decesso nel corso del trasporto in ambulanza; la perquisizione dell’abitazione era iniziata alle 10 del mattino ed era stato trovato tutto in ordine; l’ultima poppata era avvenuta intorno alle tre e i periti avevano accertato un discreto quantitativo di cocaina nel sangue, nel fegato, nella bile e nelle urine della piccola; non era possibile stabilire se l’assunzione fosse prolungata nel tempo ma era certo che vi fosse stata un’assunzione poche ore prima del prelievo, mentre i residui della bile erano da ritenersi derivanti da assunzioni datate nel tempo: dati, dunque, compatibili con un’assunzione cronica di cocaina; la morte era stata causata da un’intossicazione acuta da cocaina e la consulenza tecnica chimico-tossicologica aveva rivelato positività associata ad abitualità d’uso; il perito medico-legale aveva accertato che l’ultimo pasto con il biberon era stato digerito mentre l’assunzione della sostanza doveva essere avvenuta sicuramente in un momento successivo in quantità massiva e mortale; nella relazione, a firma congiunta dei periti nominati dal Tribunale, si era affermato che non fosse possibile stabilire il discrimine tra decesso avvenuto a seguito di una prima esposizione alla sostanza o a seguito di esposizione abituale.

I giudici di merito, sulla base dei dati scientifici a disposizione e considerando che dall’intervento dell’ambulanza, alle ore 7:00 circa, all’inizio della perquisizione, alle ore 10:00 circa, erano trascorse tre ore durante le quali un testimone aveva riferito esservi in casa una decina di persone, hanno fondato il giudizio di responsabilità sul dato certo costituito dalla causa del decesso, ritenendo contestualmente irrilevante il mancato rinvenimento di droga in casa così come irrilevanti le modalità per mezzo delle quali la bambina era entrata in contatto con la cocaina, attribuendo altresì rilievo dirimente all’assenza di elementi esterni che avrebbero impedito un intervento tempestivo dei genitori, al rapporto di protezione esistente tra genitori e bambina, all’età della minore e alla totale assenza di autonomia di una bambina di otto mesi […]

In particolare, con riguardo alla condotta attribuita all’imputato, la Corte ha sottolineato l’acquisizione dei dati, certi e non contestati, costituiti dalla presenza di cocaina nel corpo della neonata, nonché dal collegamento causale tra la morte e l’intossicazione acuta da cocaina. Ha, quindi, considerato che la vittima era una infante di otto mesi affidata all’esclusivo controllo, vigilanza e sorveglianza dei genitori al momento del fatto, in totale assenza di elementi che dimostrassero la presenza in casa, quella notte o nei giorni precedenti, di terzi estranei al nucleo familiare che avessero interagito con la bambina o con gli ambienti domestici, attribuendo a tali dati di fatto la valenza di elementi circostanziali ineludibili nel giudizio circa l’ampiezza dell’obbligo di protezione gravante sui genitori in relazione a tutte le possibili forme di aggressione alla incolumità psico-fisica della bambina, del tutto incapace di tutelarsi autonomamente. I giudici di merito hanno, conseguentemente, ritenuto violata la basilare regola cautelare di impedire che la cocaina entrasse in contatto con l’infante, trattandosi di situazione pericolosa e foriera di pregiudizi per la salute della stessa.

Il totale condizionamento che le scelte dei genitori determinano su un infante di otto mesi è stato ritenuto indicativo del collegamento causale tra la violazione di detta regola cautelare e il rischio concretizzatosi, a fronte di una situazione subita passivamente dalla bambina e vissuta nel circoscritto ambito domestico, soggetto al completo dominio e controllo dei garanti. L’introduzione della cocaina nell’ambiente domestico è stata considerata, con motivazione esente da vizi, indice di gravissima negligenza dei genitori, titolari di una posizione di garanzia dettata dall’art.147 cod. civ., a fronte di un evento prevedibile causalmente correlato a tale negligenza laddove, se i genitori avessero impedito che la minore entrasse in contatto con la cocaina, l’evento non si sarebbe verificato.

Con riguardo alla concreta difficoltà, nel caso in esame, di descrivere il meccanismo causale che ha condotto alla morte della bambina nella sua interezza, i giudici di merito hanno correttamente richiamato il principio secondo il quale non è determinante che il giudice venga a conoscenza di tutti i passaggi causali essendo sufficiente che in base a leggi scientifiche, universali o statistiche si possa affermare che l’evento, con alto grado di probabilità logica o credibilità razionale, non si sarebbe verificato ove l’agente avesse tenuto il comportamento doveroso.

Il mancato accertamento circa le modalità dell’assunzione è stato correttamente ritenuto irrilevante in quanto, in ragione della tenerissima età della minore, tanto la somministrazione del cibo quanto la collocazione della stessa in ambienti della casa nei quali la stessa sarebbe entrata in contatto con oggetti contaminati, dipendevano in ogni caso esclusivamente dall’intervento dei genitori. Il vincolo giuridico tra genitori e figlia e il rapporto esclusivo tra gli stessi sussistente ha reso altresì irrilevante, secondo quanto logicamente argomentato nella sentenza, l’accertamento della durata dell’esposizione alla cocaina“.

La vicenda appena raccontata è una dimostrazione plastica e purtroppo drammatica di cosa si intende per posizione di garanzia.

Una norma, precisamente l’art. 147 cod. civ., impone ai genitori il dovere di prendersi cura dei figli.

Una bimbetta in tenerissima età – appena otto mesi – e totalmente priva di autonomia e dipendente dalle cure genitoriali, muore per overdose di cocaina.

Nessun elemento processuale consente di affermare che siano intervenuti fattori estranei al controllo dei genitori e tali che costoro non potessero prevenire ed impedire ricorrendo all’ordinaria sollecitudine obbligatoria per chi ha la responsabilità di una creatura così piccola e dipendente.

Ecco quindi entrare in scena la posizione di garanzia ed il prezzo da pagare, in questo caso di certo non solo penale, per chi non ne è stato all’altezza.