La cassazione sezione 3 con la sentenza numero 541 depositata l’8 febbraio 2023 ha esaminato il caso di una sentenza con una motivazione apparente, un esempio che per la sua semplicità e chiarezza si potrebbe definire “caso di scuola”.
Testo della motivazione
“Con decreto di citazione a giudizio del 29/07/2020, emesso a seguito ad opposizione a decreto penale di condanna, l’imputato era tratto davanti al tribunale di P. in composizione monocratica per rispondere dei reati ascritti in rubrica.
Nel corso dell’istruttoria dibattimentale venivano escussi i testi indicati in lista. Dall’esame dei testi indicati dal pubblico ministero emerge che l’imputato è il legale rappresentante della ditta individuale di cui è titolare.
Riferiscono i verbalizzanti che a seguito di ispezione presso il cantiere di lavoro ubicato in S., la ditta di cui l’imputato è titolare stava eseguendo dei lavori di ristrutturazione di un immobile.
Il teste S.P. ispettore del lavoro, ha riferito di avere eseguito un accesso ispettivo presso il cantiere di S. e dall’accertamento è emerso che l’imputato ha violato le disposizioni normative di cui al capo di imputazione.
In particolare riferisce D.S. l’imputato ha omesso di redigere il P.O.S. con la collaborazione del medico competente, eseguiva il ponteggio in più punti sprovvisti di parapetto e non ben ancorati omettendo di accertarne la resistenza e stabilità.
I testi della difesa, escussi sul punto sono stati generici e nulla hanno aggiunto a quanto riferito dal D.S., né hanno nel dettaglio sconfessato lo l’operato dell’ispettore del lavoro.
La responsabilità penale dell’imputato è provata oltre ogni ragionevole dubbio e lo stesso, tenuto conto delle modalità del fatto e della personalità dell’imputato, così come si desume dal casellario giudiziale, va condannato alla pena di cui in parte dispositiva, che appare proporzionata e congrua al fatto contestato. Sussistono i presupposti di legge per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena”.
Difesa
Nel ricorso si contesta la mancanza di una reale motivazione in ordine all’affermazione di colpevolezza per i reati per i quali è stata pronunciata condanna, deducendo che la stessa si fonda esclusivamente su un sintetico richiamo alla deposizione dell’unico teste di accusa, senza descrivere i fatti ritenuti accertati, né indicare le ragioni per le quali gli stessi sono da riferire all’imputato, e senza spiegare perché le dichiarazioni di tale soggetto debbano ritenersi attendibili.
Decisione
La cassazione premette che deve considerarsi priva di motivazione la sentenza di condanna che si limiti a riprodurre brani delle deposizioni testimoniali, omettendo il vaglio critico delle stesse e l’illustrazione delle valutazioni relative alla ricostruzione del fatto e alla sua attribuzione all’imputato (così Sez. 5, n. 12053 del 16/12/2009, dep. 2010, Rv. 246706-01, nonché Sez. 6, n. 39569 del 10/10/2002, Rv. 222958-01).
Altre decisioni, in termini sovrapponibili alle precedenti, osservano che, in tema di vizio della motivazione della sentenza, è ravvisabile una motivazione apparente qualora il provvedimento si limiti ad indicare le fonti di prova della colpevolezza dell’imputato, senza contenere la valutazione critica e non argomentata compiuta dal giudice in merito agli elementi probatori acquisiti al processo (cfr., in particolare, Sez. 3, n. 49168 del 13/10/2015, Rv. 265322-01, e Sez. 3, n. 7134 del 30/04/1998, Rv. 211210-01).
E queste conclusioni, risultano pienamente condivisibili anche perché l’art. 546, comma 1, lett. e), prescrive che la sentenza debba contenere “la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata”, ma, si puntualizza, “con l’indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati e con l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie”.
