L’autonomia dell’azione di prevenzione dall’esercizio dell’azione penale (di Vincenzo Giglio)

Premessa

Una recentissima decisione di legittimità, precisamente Cass. pen., Sez. 1^, sentenza n. 3389/2023 (udienza del 26 ottobre 2022), delinea in modo rigoroso e con elevata attitudine sistematica la dimensione del principio di autonomia dell’azione di prevenzione rispetto all’azione penale, quale sancito dall’art. 29 del Codice antimafia.

Decisione della Corte di cassazione

…Applicabilità alle misure preventive dei principi di tassatività e determinatezza

Già nella decisione Righied altri (Sez. 1^ n.43826 del 2018) si è precisato l’ambito applicativo di detto principio, nel modo che segue.

La necessità di un approdo interpretativo teso a valorizzare, pur in ambito non strettamente penalistico, la tassatività e determinatezza delle previsioni che descrivono le categorie soggettive di pericolosità deriva – in primo luogo – dalla consapevolezza della giurisdizionalità piena del sistema delle misure di prevenzione.

La Corte Costituzionale, in due pronunzie con cui rifiutò di emettere decisioni additive in tema di misure di prevenzione (ord. n. 721 del 1988; sent. n. 335 del 1996), ha sottolineato con particolare evidenza che la giurisdizione preventiva è ..quanto meno, da ritenersi limitativa di diritti .., il che rappresenta una efficace definizione dei tratti peculiari di un settore dell’ordinamento presidiato – in larga misura – da garanzie comuni con quelle del sistema sanzionatorio, trattandosi – per riprendere altra affermazione del giudice delle leggi – di applicare in via giurisdizionale misure tese a delimitare la fruibilità di diritti della persona costituzionalmente garantiti, o ad incidere pesantemente e in via definitiva sul diritto di proprietà (C. cost. sent. n. 93 del 2010).

Si deve quindi ribadire che le misure di prevenzione, pur se sprovviste di natura sanzionatoria in senso proprio (aspetto ripreso e confermato da Corte cost. n. 24 del 2019), rientrano in una accezione lata di provvedimenti con portata afflittiva (sia pure in chiave preventiva) il che impone di ritenere applicabile – in siffatta materia – il generale principio di tassatività e determinatezza dei contenuti della fattispecie astratta (sia come limite al potere legislativo di costruzione della disposizione descrittiva che come criterio interpretativo), lì ove si realizza la tipizzazione dei comportamenti presi in considerazione come prima ‘fonte giustificatrice’ di dette limitazioni.

È, pertanto, dalla matrice giurisdizionale del procedimento e dalle ricadute della decisione su diritti fondamentali della persona che deriva la necessità di una valorizzazione:

a) della dimensione probatoria della cd. fase constatativa del giudizio di prevenzione, base logica e giuridica della successiva prognosi di pericolosità ; b) della aderenza di tale dimensione probatoria ai contenuti tipici della fattispecie astratta che si ritiene di applicare al soggetto proposto.

Le decisioni di legittimità – antecedenti e successive alla pronunzia della Corte di Strasburgo del 2017- che hanno dato corpo a tale linea interpretativa sono molteplici e convergenti nel realizzare una lettura delle disposizioni in tema di pericolosità semplice incentrata, quanto all’art. 1 del d.lgs. n.159 del 2011, sulla valorizzazione della locuzione proventi di attività delittuose/traffici delittuosi in chiave tassativizzante.

Si è infatti affermato, in via generale, che nella fase preliminare della constatazione delle condotte potenzialmente indicative della pericolosità sociale, parlare di ‘traffici delittuosi’ o di proventi di ‘attività delittuose’ in senso non generico, significa che, pur senza indicare le fattispecie incriminatrici specifiche, il legislatore ha inteso prendere in esame la condizione di un soggetto che ha, in precedenza, commesso dei delitti consistenti in attività di intermediazione in vendita di beni vietati (traffici delittuosi) o tipologicamente produttivi di reddito (provento di attività delittuose).

Va dunque ribadita l’affermazione per cui, nella costruzione della fattispecie legale di pericolosità semplice il ‘delittuoso’ non è connotazione di disvalore generico della condotta pregressa ma attributo che la qualifica, dunque

il giudice della misura di prevenzione deve, preliminarmente, attribuire al soggetto proposto una pluralità di condotte passate (dato il riferimento alla abitualità) che – vuoi facendosi riferimento ad accertamenti realizzati in sede penale, vuoi attraverso una autonoma ricostruzione incidentale che non risulti contraddetta da esiti assolutori – siano rispondenti al tipo di una previsione di legge penalmente rilevante.

Consegue la necessità di scindere il giudizio di prevenzione in due fasi: quella constatativa e quella prognostica.

In particolare, la scissione del giudizio prevenzionale in due fasi (ampiamente ripresa anche da Corte cost. n. 24 del 2019, decisione con cui, come è noto si è ritenuta non aderente al principio di tassatività la previsione della abituale dedizione a traffici delittuosi) è ormai patrimonio comune sul piano interpretativo degli istituti coinvolti, atteso che solo a seguito di una prima fase «constatativa» (ossia di apprezzamento di fatti idonei ad iscrivere il soggetto in una delle categorie criminologiche tipizzate dal legislatore) può seguire la fase «prognostica» in senso stretto (ossia la valutazione delle probabili, future condotte, in chiave di offesa ai beni tutelati), logicamente influenzata dai risultati della prima, secondo il generale paradigma logico di cui all’art. 203 cod. pen.

Nessuna misura di prevenzione (sia essa personale o patrimoniale) può essere, dunque, applicata lì dove manchi una congrua ricostruzione di «fatti» idonei a determinare l’inquadramento (attuale o pregresso) del soggetto proposto in una delle «categorie specifiche» di pericolosità espressamente «tipizzate» dal legislatore all’art. 1 e all’art. 4 dell’attuale D. Lgs. n.159 del 2001.

Solo l’avvenuto inquadramento del proposto in una delle categorie tipiche di pericolosità, derivante dall’apprezzamento di fatti (v. Corte Cost. n. 23 del 1964 ove si è affermato che non è esatto che dette misure possano essere adottate sul fondamento di semplici sospetti; l’applicazione di quelle norme, invece, richiede una oggettiva valutazione di fatti, da cui risulti la condotta abituale e il tenore di vita della persona..) consente, lì dove tale giudizio sia formulato in termini di attualità all’esito del giudizio di primo grado di applicare la misura di prevenzione personale, se del caso ‘congiunta’ a misura patrimoniale, mentre in ipotesi di pericolosità tipica sussistente ma non più attuale (sempre al momento della decisione di primo grado) può essere, in presenza degli ulteriori presupposti di legge, applicata la misura patrimoniale della confisca ‘disgiunta’ .

Nei citati arresti si è evidenziato, altresì, che affermare la «condizione» di pericolosità sociale di un individuo (in un dato momento storico) è peraltro operazione complessa che nel giudizio di prevenzione non si basa esclusivamente sulla ordinaria «prognosi di probabile e concreta reiterabilità» di qualsivoglia condotta illecita – così come previsto in via generale dall’articolo 203 del codice penale (norma che non distingue la natura della violazione commessa a monte e postula la semplice commissione di un reato) – ma implica il precedente inquadramento del soggetto in una delle categorie criminologiche tipizzate dal legislatore, sicché la espressione della prognosi negativa deriva, appunto, dalla constatazione di una specifica inclinazione mostrata dal soggetto (dedizione abituale a traffici delittuosi, finanziamento sistematico dei bisogni di vita almeno in parte con i proventi di attività delittuose, condotte lesive della integrità fisica o morale dei minori o della sanità, sicurezza o tranquillità pubblica, indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose e altre ipotesi tipiche, di cui all’art. 4 d.lgs. n.159 del 2011) cui non siano seguiti segni consistenti di modifica comportamentale.

Dunque parlare di pericolosità sociale come caratteristica fondante del giudizio di prevenzione se da un lato è esatto, in quanto si intercetta il valore sistemico della misura di prevenzione, che è strumento giuridico di contenimento e potenziale neutralizzazione della pericolosità, dall’altro può essere fuorviante lì dove tale nozione venga intesa in senso del tutto generico, senza tener conto della selezione normativa delle specifiche «categorie» di pericolosità.

Le indicazioni del legislatore, in quanto ‘tipizzanti’ , determinano la esclusione dal settore in esame di quelle condotte che pur potendo percepirsi come manifestazione di pericolosità risultino estranee al «perimetro descrittivo» di cui agli attuali articoli 1 e 4 del Decreto Legislativo n. 159 del 2011.

La prognosi di pericolosità, infatti, segue gli esiti (positivi o negativi) di tale preliminare inquadramento e pertanto si manifesta in forme, costituzionalmente compatibili, che riducono la discrezionalità del giudice agli ‘ordinari’ compiti di interpretazione del valore degli elementi di prova e di manifestazione di un giudizio prognostico che da ‘quelle’ risultanze probatorie è oggettivamente influenzato.

La descrizione della ‘categoria criminologica’ di cui agli artt. 1 e 4 del d.lgs. n.159 del 2011 ha, pertanto, il medesimo «valore» che nel sistema penale è assegnato alla norma incriminatrice, ossia esprime la ‘previa’ selezione e connotazione, con fonte primaria, dei parametri fattuali rilevanti, siano gli stessi rappresentati da una condotta specifica (le ipotesi dì ‘indizio di commissione’ di un particolare reato, con pericolosità qualificata) o da un ‘fascio di condotte’ (le ipotesi di pericolosità

generica).

…La fase “constatativa”

Da tale premessa interpretativa – ampiamente ripresa proprio nella decisione Corte cost. n. 24 del 2019, intervenuta nel settore della cd. pericolosità semplice nei modi già accennati – derivano una serie di conseguenze in punto di rapporto tra giudizio di prevenzione ed esiti di un procedimento penale su fatti posti a fondamento della fase constatativa del giudizio di pericolosità.

La prima riguarda il modo di essere della cd. «fase constatativa» del giudizio di prevenzione, rappresentata dalla iscrizione del soggetto proposto (attuale o pregressa) nella categoria tipica di riferimento, base logica della prognosi.

Se l’iscrizione nella categoria è una condizione della prognosi – non essendo sufficiente per la formulazione della medesima, dovendo la pericolosità porsi come giudizio rivolto al futuro – è evidente che la base cognitiva deve essere processualmente certa, altrimenti la prognosi (giudizio ontologicamente probabilistico) nasce viziata in radice.

Ove si tratti delle ipotesi di cui all’art. 1 Cod. Ant. si è detto che le precedenti condotte del soggetto vanno qualificate in termini di ricorrenti attività delittuose (produttive in concreto di reddito) il che tendenzialmente esclude la possibilità di ritenere tali, in sede di prevenzione, quelle condotte che il giudice penale – nell’esercizio della sua funzione cognitiva – ha ritenuto non conformi al tipo o addirittura insussistenti nella loro dimensione fattuale o giuridica.

Non è un caso, infatti, che l’origine giurisprudenziale (Sez. Un. Simonelli del 1996) del principio della «autonoma valutazione» riguardi il settore della pericolosità qualificata (appartenenza ad associazione mafiosa) nel cui ambito la descrizione normativa prevenzionale è operata in termini meno stringenti (si evoca l’indizio di appartenenza) rispetto a quelli prima evidenziati, il che rende in  una certa misura sostenibile – in una con lo sviluppo autonomo dei dati informativi – l’approdo ad una diversità di esito dei due giudizi (penale e di prevenzione qualificata).

Ma lì dove la parte constatativa del giudizio debba fondarsi sulla constatazione di precedenti attività delittuose (art. 1 comma 1 lett. b) o debba fondarsi sull’ indizio di commissione di un reato specifico (art.4 comma 1 lett. b), il sistema attuale della pericolosità semplice – arricchito, come si dirà, dalla previsione specifica di cui all’art. 28 Cod. Ant. – non tollera la rielaborazione autonoma di un giudicato

penale assolutorio – nel merito – da parte del giudice della prevenzione, se non nella marginale ipotesi di un consistente apporto di elementi informativi non valutati in sede penale.

A venire in rilievo, in particolare, da un lato è la dimensione necessaria del principio di tassatività, dall’altro il principio di non contraddizione dell’ordinamento, specie ove la diversità di valutazione sul medesimo fatto porti a conseguenze sfavorevoli per il soggetto sottoposto ad un qualsivoglia procedimento ‘limitativo’ di diritti fondamentali.

Conviene sviluppare il secondo aspetto, anche sulla base delle ricadute sistematiche di una disposizione di notevole impatto, come è quella dell’art. 28 d. lgs. n.159 del 2011.

Già nella decisione Sez. I n. 24707/2018 ric. Oliveri si è avviata una riflessione sulla riconosciuta ‘prevalenza’ – da parte del legislatore – degli esiti assolutori del giudizio penale, sul fatto specifico rilevante in sede di prevenzione – tale da rappresentare un evidente limite normativo al principio di autonomia.

In detto arresto si è precisato quanto segue:  [.1 ..non può prescindersi dal fatto che il giudizio di prevenzione – specie in riferimento alle elaborazioni più recenti, tese a riconsiderare talune passate ambiguità concettuali in chiave costituzionalmente e convenzionalmente orientata – è strutturato come

giudizio «cognitivo» teso a ricostruire, preliminarmente, talune condotte poste in essere dal soggetto ‘attenzionato’, in virtù del fatto che la formulazione di un giudizio prognostico rivolto al futuro (il giudizio di pericolosità attuale) è affrancata da un inaccettabile soggettivismo (che contrasterebbe con la natura giurisdizionale del procedimento) se ed in quanto trae origine da un previa operazione di tipo ricostruttivo, del tutto analoga a quella che si realizza – in sede penale – lì dove si ricostruisce il rapporto tra fatto concreto e fattispecie astratta. In particolare, secondo gli arresti univoci di questa Corte – antecedenti e successivi alla pronunzia Corte Edu De Tommaso c. Italia – la parte prognostica del giudizio è preceduta e condizionata da una parte «ricostruttiva» di fatti (con strumenti dimostrativi

analoghi a quelli utilizzati in sede penale) e delle singole condotte tenute dal proposto, sì da determinare la «previa iscrizione» del soggetto nella categoria normativa tipizzata di cui agli artt. 1/4 d.lgs. n.159 del 2011.

Ora, lì dove detta ricostruzione preliminare e funzionale alla formulazione della prognosi di pericolosità in prevenzione venga successivamente «smentita» dagli esiti definitivi di un giudizio penale, è evidente che a venire in rilievo ( come giù emerso nella linea interpretativa formatasi sull’art. 7 legge n.1423 del 1956, seguita a partire da Sez. Un. n.18 del 10.12.1997 dep.1998, Pisco) è qui il tema del «contrasto tra giudicati» , con tendenziale prevalenza della valutazione realizzata nel contesto dotato di maggiori garanzie di affidabilità della decisione, rappresentato, indubbiamente, dal giudizio penale.

Si tratta, in altre parole, del risvolto del tema che già la giurisprudenza di legittimità ha esaminato trattando i profili delle misure di prevenzione, lì dove si è affermato che lì dove le condotte sintomatiche della pericolosità risultino legislativamente caratterizzate (nell’ambito di previsioni da ritenersi tipizzanti, come quelle di cui agli artt. 1 e 4 del Cod. Ant.) in termini per lo più evocativi di fattispecie penali (quali le ‘ricorrenti condotte delittuose’ da cui il soggetto trae sostegno, l’indizio di appartenenza ad organismo mafioso, l’ indizio di commissione di uno o più fatti di reato ricompresi in una norma di rinvio) è evidente che il giudice della misura di prevenzione (nel preliminare apprezzamento di tali ‘fatti’) non può evitare di porsi il problema rappresentato dalla esistenza di una pronunzia giurisdizionale che proprio su ‘quella’ condotta (ingrediente necessario della preliminare iscrizione nella categoria normativa di pericolosità) ha espresso una pronunzia in termini di insussistenza o di non attribuibilità del fatto all’individuo di cui si discute.

L’interferenza cognitiva tra i due procedimenti (penale e di prevenzione) è tema ormai ineludibile, sia pure nell’ambito di previsioni di legge che realizzino un bilanciamento, imposto dalle particolari caratteristiche del giudizio di prevenzione. Questa è, peraltro, la linea seguita dal legislatore delegato del 2011 (d.lgs. 159) in tema di revocazione della confisca (art. 28), istituto che realizza – per la prima volta – una normativizzazione dei principi affermatisi in giurisprudenza dal 1998 in poi, attraverso la previsione di cui al comma 1 lettera b dell’art. 28, disposizione che facoltizza la proposizione della domanda di revocazione quando i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludano in modo assoluto l’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca.

Gli aspetti di maggior interesse di tale formalizzazione legislativa, tali da transitare nella interpretazione corrente sono rappresentati da :

– la netta scissione tra l’ipotesi della sopravvenienza di nuove prove decisive (lett. a del comma 1 art. 28) e il particolare caso di contrasto tra giudicati tra esito del giudizio di prevenzione ed esito del giudizio penale (lett. b del comma 1 art. 28), sì da rendere possibile una richiesta di revoca ex tunc della misura di prevenzione anche in presenza dei medesimi elementi istruttori, lì dove siano stati diversamente apprezzati in sede penale;

– la opzione legislativa verso la prevalenza del giudicato favorevole venutosi a determinare in sede penale, lì dove tale giudicato sia interpretabile nel senso di ‘escludere in modo assoluto’ i presupposti applicativi della misura di prevenzione.

Ora, l’assenza di casistica sulla disposizione testé citata (in virtù della opzione interpretativa adottata in più arresti relativi al regime transitorio) non ha consentito di realizzare affinamenti interpretativi tesi a delimitare il concetto di ‘esclusione in modo assoluto’ (non privo di ambiguità semantica), ma appare evidente che con simile locuzione il legislatore abbia inteso preservare da automatismi (sia pure in un ambito di favor verso la revocabilità) la tenuta del giudicato di prevenzione, favorendo la costruzione interpretativa di spazi di autonomia del giudice della prevenzione.

che il provvedimento qui impugnato

Ora, ferma restando la riaffermazione di tali, sia pur ridotti, spazi di autonomia, va precisato che il generale principio di non-contraddizione dell’ordinamento, in una con la scelta legislativa di accordare tendenziale preferenza al giudicato penale favorevole (ove di merito) impone di costruirne il senso non già in chiave di mera discrezionalità quanto in termini di possibile valorizzazione di dati obiettivi (normativi o fattuali) che si pongano come congruo fattore di giustificazione al mantenimento della misura di prevenzione pure a fronte di un ‘incidente’ giudicato penale di assoluzione. In particolare, lì dove la «interferenza cognitiva» tra i due procedimenti (di prevenzione e penale) vada a cadere su un ingrediente essenziale della parte ricostruttiva del giudizio di prevenzione, èda escludersi che possa farsi leva su tale spazio di autonomia per giustificare, in sede di esame della domanda di revoca, il mantenimento in essere del provvedimento applicativo della misura di prevenzione. Ciò perchè, come si è detto in precedenza, il recupero di tassatività descrittiva delle categorie tipiche di pericolosità è stato realizzato negli arresti prima citati (specie sul fronte della cd. pericolosità generica) proprio attraverso la valorizzazione della ‘correlazione’ con uno o più delitti ritenuti come realizzati dal soggetto proposto (sicché lì dove la valutazione del giudice della prevenzione sia su smentita dal giudice della cognizione penale viene meno uno dei presupposti tipici cui era ancorata la misura dì prevenzione).

Risulta, per converso, possibile realizzare un simile effetto – di mantenimento della misura – lì dove il segmento fattuale ‘azzerato’ dal diverso esito del giudizio penale si inserisca come ingrediente fattuale solo concorrente e minusvalente rispetto ad altri episodi storici rimasti confermati (o non presi in esame in sede penale), o dove il giudizio di prevenzione si basi su elementi cognitivi realmente autonomi e diversi rispetto a quelli acquisiti in sede penale, o ancora lì dove la conformazione legislativa del tipo di pericolosità prevenzionale risulti essere realizzata in modo sensibilmente diverso rispetto ai contenuti della disposizione incriminatrice oggetto del giudizio penale (è il caso del rapporto che intercorre tra la nozione di appartenenza e quella di partecipazione alla associazione di cui all’art. 416 bis cod. pen.

…I principi di diritto

Vanno quindi ribaditi alcuni principi di diritto che possono essere così sintetizzati:

a) nel giudizio cognitivo di prevenzione, l’applicazione delle previsioni di legge di cui agli articoli 1 e 4 d.lgs. n.159 del 2011 richiede adeguata motivazione circa la esistenza pregressa delle condotte attribuite al proposto, aderenti ai contenuti della previsione astratta, declinata – quest’ultima – in termini tassativi, trattandosi della base logica e normativa del giudizio di pericolosità soggettiva;

b) il giudice della misura di prevenzione può fare riferimento, in tale parte della motivazione, a provvedimenti emessi in sede penale che abbiano affermato (anche decisioni di primo grado o misure caute/ari) la ricorrenza delle condotte in questione, esprimendo argomentata condivisione e confrontandosi con gli argomenti contrari eventualmente introdotti dalla difesa;

c) il giudice della misura di prevenzione può ricostruire in via totalmente autonoma gli episodi storici in questione – anche in assenza di procedimento penale correlato – in virtù della assenza di pregiudizialità e della possibilità di azione autonoma di prevenzione (art. 29 Cod. Ant.);

d) il giudice della misura di prevenzione è tuttavia tenuto ad osservare l’eventuale esito assolutorio non dipendente dall’applicazione di cause estintive – sul fatto posto a base del giudizio di pericolosità – prodottosi nel correlato giudizio penale con le sole eccezioni che seguono: 1) il segmento fattuale oggetto dell’esito assolutorio del giudizio penale si pone come ingrediente fattuale solo concorrente

e minusvalente rispetto ad altri episodi storici rimasti confermati (o non presi in esame in sede penale); 2) il giudizio di prevenzione si basa su elementi cognitivi autonomi e diversi rispetto a quelli valutati in sede penale; 3) la conformazione diverso rispetto ai contenuti della disposizione incriminatrice oggetto del giudizio penale.

Ad essi va aggiunto un ulteriore e specifico punto di diritto:– l’assoluzione in ambito penale per una delle ipotesi di reato richiamate nella previsione di legge di cui alrart.4 comma 1 lett. b del d.lgs. n.159 del 2011 determina la impossibilità di applicare la misura di prevenzione personale fondata sul medesimo fatto di reato quale sintomo di pericolosità.