Pena esemplare in Costituzione: ancora una proposta dell’onorevole Edmondo Cirielli (di Vincenzo Giglio)

Art. 1.

1. L’articolo 27 della Costituzione è sostituito dal seguente:

«Art. 27. – La responsabilità penale è personale.

L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

La pena, che non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, assicura la giusta punizione del reo per il fatto commesso e la prevenzione generale e speciale del reato e deve tendere, con la collaborazione del condannato, alla sua rieducazione.

Sono stabiliti con legge i limiti della finalità rieducativa in rapporto con le altre finalità e con le esigenze di difesa sociale.

Non è ammessa la pena di morte.

La legge determina, secondo princìpi conformi alle disposizioni del presente articolo, le finalità e le modalità delle misure di sicurezza».

Sarebbe questo il nuovo testo dell’art. 27 della Costituzione se venisse approvata la proposta di legge costituzionale (allegata in calce al post) depositata alla Camera dal deputato Edmondo Cirielli il 13 ottobre 2022 ed identificata dal numero 285.

Comunque vada, resteranno memorabili alcuni passaggi del testo di presentazione che accompagna la proposta. Eccoli:

La dottrina ha acutamente osservato, peraltro, che la finalità rieducativa della pena presenta degli evidenti limiti.

Se la rieducazione assume un ruolo primario nella fase dell’esecuzione e della commisurazione giudiziale della pena, altrettanto non può dirsi nella fase della minaccia: l’obiettivo perseguito in questa fase è quello della «prevenzione generale», proprio perché la minaccia della pena serve a distogliere la generalità dei consociati dalla commissione di fatti penalmente illeciti.

Il secondo limite della finalità rieducativa è ravvisabile nella stessa «genericità» del concetto di rieducazione.

In questo contesto l’interprete è obbligato a precisare la portata e i limiti della rieducazione alla stregua dell’insieme dei princìpi che caratterizzano il nostro sistema costituzionale.

In proposito, è opportuno osservare che, affinché il processo rieducativo possa avere corso senza tradursi in un’imposizione coercitiva nei confronti del destinatario, occorre che vi sia la «disponibilità psicologica» di quest’ultimo.

In altri termini, dal momento che non può essere coercitivamente imposta, la rieducazione trova un ostacolo nell’eventuale rifiuto opposto dal soggetto destinatario della sanzione. Una simile tensione conflittuale tra esigenza rieducativa e indisponibilità psicologica del reo si fa più acuta quando il delitto costituisce il frutto di una scelta politico-ideologica, come, ad esempio, nei fenomeni di eversione dell’ordine costituito quali quello delle «brigate rosse», che si pone in contrasto con i princìpi ispiratori dell’ordinamento. In tale caso il principio rieducativo entra in crisi poiché è necessario rispettare un altro valore dotato di rilevanza costituzionale: l’autonomia morale dell’individuo.

[…] Vi sono, ancora, ipotesi in cui la rieducazione del reo non è sufficiente ovvero non è necessaria.

Non è sufficiente nei casi in cui il reo è un soggetto socialmente emarginato. In tale caso non potrà esservi riappropriazione dei valori della convivenza senza un previo superamento della condizione di emarginazione: ecco che il «reinserimento» nella società diventa in questo caso una condizione preventiva per la rieducazione del reo.

Non è necessaria quando il reo appartiene alla categoria dei «colletti bianchi», soggetti già ben inseriti socialmente. In tale caso più opportuna appare una sanzione di tipo afflittivo.

Un terzo, notevole, limite imposto dall’attuale formulazione dell’articolo 27, terzo comma, della Costituzione, si ravvisa, infine, all’atto della concreta commisurazione della pena da parte del giudice definita dall’articolo 133 del codice penale. La finalità rieducativa impone, infatti, che già al momento dell’irrogazione il giudice debba scegliere una sanzione finalizzata, sia nel risocializzazione del reo.

Tenuto conto della precisione di tale assunto, attraverso il quale il legislatore detta le regole per la commisurazione della pena, è completamente esclusa la possibilità, per il giudice, di irrogare pene esemplari, che fungano da ammonimento verso tutti i consociati, che pure potrebbero svolgere un’opportuna funzione preventiva.

Tuttavia, l’introduzione del concetto di prevenzione generale, o di intimidazione dei consociati, tra gli scopi della pena, conduce al riconoscimento di un adeguato spazio a tale funzione anche nello stadio della sua concreta irrogazione.

I limiti della teoria della funzione rieducativa della pena sono, a prescindere da altro, testimoniati da un ritorno, cui si è assistito già a partire dagli anni sessanta, all’idea di prevenzione generale.

Da un lato, infatti, l’aumento della criminalità ha prospettato la necessità di valorizzare l’efficacia deterrente della sanzione penale. Dall’altro lato, i risultati poco confortanti dell’ideologia della risocializzazione hanno indotto gli studiosi a parlare di una vera e propria «crisi dell’ideologia rieducativa».

Due strade sono possibili a fronte di una proposta del genere: un fiume di parole oppure il silenzio.

Scegliamo la seconda e lasciamo che ogni lettore si faccia da solo la sua idea.