Premessa
Cass. pen., Sez. 1^, sentenza n. 453/2023 (udienza del 17 novembre 2022) ha chiarito a quali condizioni l’esclusione di una circostanza aggravante ad opera del giudice di merito può produrre effetti su un titolo cautelare.
Fatto
Il tribunale del riesame, in funzione di giudice dell’appello cautelare, ha rigettato l’impugnazione di DDS avverso l’ordinanza con cui la Corte di appello ha respinto la sua richiesta di scarcerazione per decorso dei termini massimi di custodia cautelare.
L’organo di garanzia ha ritenuto che:
- il titolo di reato a cui fare riferimento per determinare il termine di custodia cautelare è quello ritenuto dalla sentenza di primo grado che ha riconosciuto, in riferimento al reato di associazione di tipo mafioso, entrambe le aggravanti di cui ai commi quarto e sesto dell’art. 416-bis cod. pen.;
- la sentenza di annullamento con rinvio in ordine all’aggravante di cui al comma sesto impone un nuovo giudizio sul punto, e il reato per cui si procede, a cui fa riferimento l’art. 303, comma 4, cod. proc. pen., è quello ritenuto dalla sentenza di primo grado che, in punto di riconoscimento della predetta aggravante, è ancora valida.;
- deve dunque trovare applicazione il termine di custodia cautelare pari a sei anni di cui all’art. 303, comma 4, cod. proc. pen., con la conseguenza che, tenuto conto della sospensione di cui ha dato atto la Corte di appello, la richiesta di scarcerazione non può essere accolta.
I difensori di DDS hanno fatto ricorso per cassazione,
Decisione della Corte di cassazione
Il collegio di legittimità ha osservato che l’annullamento con rinvio ha devoluto al giudice del rinvio la cognizione sul punto della sussistenza o meno della circostanza aggravante di cui al comma sesto dell’art. 416-bis cod. pen., determinando al contempo l’irrevocabilità della condanna per il reato di cui all’art. 416-bis aggravato soltanto dall’essere la struttura associativa armata. Dall’intervento della menzionata pronuncia di annullamento non può quindi trarsi la conclusione, invece affermata in ricorso, che l’aggravante oggetto della devoluzione al giudice di rinvio sia stata eliminata con una decisione direttamente incidente sull’addebito cautelare.
Ed infatti, proprio dalla necessità, conseguente alla sentenza di annullamento, che il giudice del rinvio si pronunci nel merito dell’aggravante si può agevolmente desumere che l’addebito cautelare non può esser stato mutato, con eliminazione della menzionata aggravante, perché, se così fosse, verrebbe meno la stessa possibilità, logica e giuridica, di una pronuncia del giudice del merito cautelare. Alla caducazione dell’aggravante dall’addebito cautelare non potrebbe che seguire la preclusione per il giudice del rinvio di prenderla in esame, perché appunto al tema della decisione, costituito da quel che è descritto in addebito, sarebbe ormai estranea.
Il collegio ha conseguentemente ritenuto che il reato per il quale si procede, di cui all’art. 303, comma 4, cod. proc. pen., continua ad essere qualificato anche dall’aggravante per la quale è stata emessa una sentenza di annullamento con rinvio, perché la struttura della sentenza di legittimità di tal tipo non ha idoneità a modificare, con incidenza diretta, l’addebito cautelare. Le evenienze del giudizio di merito possono per la verità produrre, ma soltanto in casi limitati, effetti sull’addebito cautelare: come è stato precisato da Sez. U, n. 24 del 05/07/2000, Rv. 216706, l’esclusione di un’aggravante nel giudizio di merito riverbera effetti sul titolo cautelare, modificandone l’addebito, ma a condizione che quella esclusione si sia stabilizzata, come accade nel caso in cui non intervenga impugnazione del pubblico ministero. Stessa discorso non può essere fatto, ovviamente, quando il giudizio di merito prosegua proprio per accertare se l’aggravante debba essere mantenuta o esclusa.
Il ricorso è stato di conseguenza rigettato.
Massima
L’esclusione di un’aggravante nel giudizio di merito produce effetti sul titolo cautelare, modificandone l’addebito, ma a condizione che quella esclusione si sia stabilizzata, come accade nel caso in cui non intervenga impugnazione del pubblico ministero.
