Ingiusta detenzione e impunità disciplinare dei magistrati, l’on. Costa ci riprova (di Riccardo Radi)

Ingiuste detenzioni ed errori giudiziari: nel 2022 si sono contati 547 casi e sono costati allo Stato circa 38 milioni di euro, come riferito ieri alla Commissione Giustizia alla Camera dal sottosegretario alla Giustizia on. Andrea Ostellari.

L’altro dato è che negli ultimi 5 anni non risulta alcuna sanzione disciplinare ai magistrati per gli errori giudiziari e le ingiuste detenzioni.

L’asimmetria tra i due dati è evidente ed in proposito Terzultima Fermata informa che l’onorevole Costa ha depositato la proposta di legge numero 631 la quale intende modificare l’articolo 315 del codice di procedura penale prevedendo che la sentenza di accoglimento della domanda di riparazione per ingiusta detenzione sia trasmessa agli organi titolari dell’azione disciplinare nei riguardi dei magistrati, per le valutazioni di loro competenza.

Partiamo dai numeri: dal 1992 al 2022, 31.000 persone hanno ricevuto l’indennizzo per ingiusta detenzione, con una media di 1.000 all’anno.

Se poi si considera che il 77% delle richieste di indennizzo vengono respinte e che in un numero rilevante di casi l’esito negativo è determinato da meri vizi formali o indirizzi interpretativi eccessivamente rigorosi (soprattutto nella valorizzazione del concorso di colpa dell’istante), si deve concludere che la privazione ingiusta della libertà abbia riguardato un numero ben più ampio di persone.

La spesa che lo Stato ha dovuto sostenere ammonta complessivamente a quasi 938 milioni.

A fronte alle assoluzioni di persone che erano state arrestate, ha pagato solo lo Stato, mentre nessuna sanzione disciplinare è stata comminata a chi ha sbagliato.

Dai dati forniti dal Ministero della giustizia su richiesta della Corte dei conti, emerge che negli anni 2016-18 sono stati aperti 3 fascicoli disciplinari (su 1.000 ingiuste detenzioni), tutti chiusi con l’archiviazione; nel 2019, zero fascicoli aperti ed altrettanto nel triennio 2019-2022.

L’istituto della riparazione per ingiusta detenzione trova il suo fondamento costituzionale nei princìpi di inviolabilità della libertà personale (articolo 13 della Costituzione) e di non colpevolezza fino alla condanna definitiva (articolo 27 della Costituzione), oltre che nella previsione dell’articolo 24 della Costituzione, che – al quarto comma – attribuisce al legislatore il compito di determinare “le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari”.

Inoltre, l’articolo 5 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, afferma che ogni persona vittima di un arresto o di una detenzione eseguiti in violazione della stessa Convenzione ha diritto a un indennizzo.

In armonia con questi princìpi, il codice di procedura penale, nel disciplinare le misure cautelari, agli articoli 314 e 315 prevede uno specifico procedimento per “compensare”, in chiave solidaristica (articolo 2 della Costituzione), gli effetti pregiudizievoli che la vittima dell’indebita restrizione della libertà personale patisce, ovvero la riparazione per l’ingiusta detenzione subita a titolo di custodia cautelare.

All’origine di questo fenomeno gravemente e colpevolmente sottovalutato c’è soprattutto una custodia cautelare applicata anche per lunghi periodi, spesso con eccessiva leggerezza e con scarso senso di responsabilità, salvo poi risolversi il processo in un’assoluzione o in un proscioglimento.

La proposta di legge pone una domanda e una riflessione: di fronte a tali situazioni che colpiscono le famiglie, l’attività lavorativa, la credibilità di soggetti che entrano nel sistema carcerario o la cui libertà personale viene ingiustamente limitata, può essere ammissibile che a pagare sia sempre e soltanto lo Stato? Se lo Stato riconosce che c’è stata un’ingiustizia, è corretto che affronti e valuti che cosa non ha funzionato: se qualcuno ha sbagliato, se l’errore è stato inevitabile, se c’è stata negligenza o superficialità, se chi ha sbagliato deve essere chiamato a una valutazione disciplinare.

Pertanto, con l’articolo 1 della presente proposta di legge si chiede di modificare l’articolo 315 del codice di procedura penale, prevedendo che la sentenza di accoglimento della domanda di riparazione per ingiusta detenzione sia trasmessa agli organi titolari dell’azione disciplinare nei riguardi dei magistrati, per le valutazioni di loro competenza.

Troppo spesso, infatti, accade che le ragioni che hanno determinato errori, anche gravi, non siano rilevate, come occorrerebbe, sul piano disciplinare o restino prive di conseguenze in sede di decisione sugli avanzamenti di carriera.

La novella, per ovviare a questa mancanza, introduce l’obbligo dell’immediata trasmissione della sentenza che accoglie la domanda di riparazione, cosicché gli organi titolari dell’azione disciplinare non possano sottrarsi all’accertamento e alla valutazione della vicenda che ha condotto all’indennizzo per ingiusta detenzione.

Ad oggi, infatti, sussiste un’evidente lacuna di carattere procedurale: di fronte a una acclarata ingiustizia, nessuno svolge una verifica in ordine alle ragioni della stessa.

Non si intende, tuttavia, introdurre alcun tipo di automatismo, prevedendosi esclusivamente che la sentenza che accoglie la domanda di riparazione venga trasmessa agli organi “titolari dell’azione disciplinare” perché gli stessi, nella propria autonomia, operino “le valutazioni di loro competenza”.

Quella che si ripropone in questa legislatura appare una norma di civiltà per affrontare con la dovuta serietà un tema, lo si ribadisce, gravemente e colpevolmente sottovalutato, abbandonando la cultura della comoda deresponsabilizzazione a favore di un più diretto e penetrante controllo sull’operato del magistrato.