Insolvenza fraudolenta: le differenze dalla truffa e dall’inadempimento contrattuale (di Vincenzo Giglio)

Premessa

Cass. pen., Sez. 2^, sentenza n. 3499/2023 (udienza del 15 novembre 2022) ha offerto chiarimenti sul reato di insolvenza fraudolenta e sulla sua distinzione dalla truffa e dal semplice inadempimento contrattuale.

Vicenda

La Corte territoriale ha confermato la condanna di AC e CS per il reato di insolvenza fraudolenta continuata e aggravata (dall’avere cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità).

Il loro difensore ha proposto ricorso per cassazione.

Decisione della Corte di cassazione

Il collegio di legittimità ha inteso anzitutto tracciare la linea di confine tra l’insolvenza fraudolenta e il mero inadempimento contrattuale.

Integra il reato in esame fraudolenta la condotta di chi tiene il creditore all’oscuro del proprio stato di

insolvenza al momento di contrarre l’obbligazione, con il preordinato proposito di non adempiere la dovuta prestazione, mentre si configura solo un illecito civile nel mero inadempimento non preceduto da alcuna preordinazione (Sez. 2, n. 39890 del 22/05/2009, Rv. 245237-01; Sez. 2, n. 34192 del 11/07/2006, Rv. 234774-01).

In quest’ultima pronuncia, in particolare, è stato chiarito che la prova della preordinazione può essere desunta anche da argomenti induttivi seri e univoci, ricavabili dal contesto dell’azione, nell’ambito del quale anche il silenzio può acquistare rilievo come forma di preordinata dissimulazione dello stato di insolvenza, quando fin dal momento della stipula del contratto sia già maturo, nel soggetto, l’intento di non far fronte agli obblighi conseguenti.

Quanto alla rilevanza del silenzio, si è affermato che, ai fini della configurabilità del reato di insolvenza fraudolenta, può assumere rilievo anche il silenzio dell’agente, quale forma di dissimulazione del proprio stato di insolvenza, nel caso in cui tale condizione non sia stata manifestata all’altra parte contraente al momento della stipula del contratto, con il preordinato proposito di non adempiere alla prestazione scaturente dal rapporto contrattuale (Sez. 2, n. 8893 del 03/02/2017, Rv. 269682-01).

La prova del preordinato proposito di non adempiere alla prestazione dovuta sin dalla stipula del contratto, dissimulando lo stato di insolvenza, può essere desunta anche da argomenti induttivi seri e univoci, ricavabili dal contesto dell’azione e dal comportamento successivo all’assunzione dell’obbligazione (Sez. 2, n. 6847 del 21/01/2015, Rv. 262570-01).

In senso analogo è Sez. 5, n. 30718 del 18/06/2021, Rv. 281868-01, secondo cui, in tema di insolvenza fraudolenta, la prova della condizione di insolvenza dell’agente, al momento dell’assunzione dell’obbligazione, può essere desunta dal comportamento precedente e successivo all’inadempimento,

assumendo rilievo anche il mero silenzio dell’agente, quale forma di dissimulazione del proprio stato.

È poi utile rammentare anche l’orientamento della giurisprudenza di legittimità relativo al delitto di truffa.

Si è affermato al riguardo che quest’ultimo si distingue dall’insolvenza fraudolenta perché nella truffa la frode è attuata mediante la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore, mentre nell’insolvenza fraudolenta la frode è attuata con la dissimulazione del reale stato di insolvenza dell’agente (tra le tante, Sez. 5, n. 44659 del 21/10/2021, Rv. 282174-01).

La distinzione tra i due reati è stata ugualmente analizzata da Sez. 2, n. 32055 del 04/07/2017, che, richiamando Sez. U, n. 7738 del 09/07/1997, Gueli, ha ribadito che «[l]’insolvenza fraudolenta si distingue dalla truffa perché la frode non viene attuata mediante i mezzi insidiosi dello artificio o del raggiro ma con un inganno rappresentato dello stato di insolvenza del debitore e della dissimulazione

della sua esistenza finalizzato all’inadempimento dell’obbligazione, in violazione di norme comportamentali. Si è evidenziato in dottrina che l’essenza della frode nel reato di cui all’art. 641 cod. pen. postula che, al momento della stipulazione, come giudizio di verosimiglianza, il creditore confida nella solvibilità del debitore. Tale convincimento, derivante dalla prassi commerciale o dall’abituale modo di svolgersi di determinati tipi di affari e di convenzioni negoziali tanto più facilmente può formarsi – trovando ingresso al riguardo le massime di esperienza – quanto più modesta sia l’entità economica del negozio. Deve pertanto ritenersi che la dissimulazione attenga ad un convincimento, precostituito, del creditore di solvibilità del debitore riflettente un dato di conoscenza o di costume che lo qualifica come un affidamento ben riposto. La dissimulazione, dunque, è una forma minore di inganno in quanto con esso non si induce il soggetto passivo in errore ma lo si mantiene in tale stato».

Nel caso oggetto del ricorso, il collegio ha ravvisato l’assenza di elementi univoci, ricavabili dal contesto delle azioni e dal comportamento delle imputate, che consentano di ritenere provato, al di là

di ogni ragionevole dubbio, che le stesse imputate abbiano agito con il preordinato proposito di non adempiere alle predette obbligazioni sin dalla conclusione dei contratti di fornitura, dissimulando lo stato di insolvenza della propria impresa familiare.

La conseguenza è stata l’annullamento senza rinvio della decisione impugnata.