La cassazione premette che il difensore ha il diritto-dovere, costituzionalmente garantito, di difendere gli interessi della parte assistita nel migliore modo possibile nei limiti del mandato e nell’osservanza della legge e dei principi deontologici e cioè di adoperarsi con ogni mezzo lecito a sottrarre il proprio assistito, colpevole o innocente che sia, alle conseguenze negative del procedimento a suo carico.
Partendo da questo presupposto la cassazione sezione 6 con la sentenza numero 37512/2021 ha delineato il confine tra la lecita difesa e l’aiuto del difensore alla deviazione o elusione delle investigazioni e quindi al turbamento della funzione giudiziaria.
La Suprema Corte sottolinea che la questione della ravvisabilità del reato di favoreggiamento personale nei rapporti tra difensore e assistito (quale è quello che nel caso in esame intercorre tra gli indagati e la pretesa favorita), ritenendo che in tanto è configurabile il reato di cui all’art. 378 cod. pen. in quanto il difensore abbia travalicato la funzione affidatagli, di talché l’aiuto del difensore risulta strumentale non già alla corretta, scrupolosa e lecita difesa, ma alla elusione o deviazione delle investigazioni e, quindi, al turbamento della funzione giudiziaria rilevante ai sensi della citata norma penale (tra tante, Sez. 6, n. 7913 del 29/03/2000, Rv. 217188).
Come chiarito dalla cassazione nell’arresto ora richiamato, la linea di demarcazione tra regolare e puntuale espletamento dell’attività difensiva, superamento dei limiti legali sotto il profilo della correttezza deontologica e, infine, illecito penalmente rilevante non può essere fissata in modo rigido, sulla base di parametri assoluti, ma deve essere individuata caso per caso.
Anche se, alla luce delle incisive trasformazioni che ha subito nel corso degli anni l’esercizio dell’attività forense, gli interessi della difesa, spesso di indole particolarissima, possono non coincidere con quelli collegati ad una esatta e puntuale applicazione della legge, con riferimento alla responsabilità dell’imputato e alle previste conseguenze, si è comunque escluso che il patrocinante, per assolvere il suo compito, possa porre in essere condotte costituenti reato per la generalità dei soggetti.
Nella scelta dei metodi e degli strumenti cui il difensore ritiene di fare ricorso per la tutela degli interessi del proprio assistito, esiste quindi un limite oggettivo che non è consentito valicare impunemente e che è costituito dall’osservanza di quegli obblighi e di quei divieti, la cui violazione integra altrettanti illeciti penali.
Restringendo il campo di osservazione alla ipotesi contemplata dall’art. 378 cod. pen., si evidenzia che è soprattutto sul piano “soggettivo” che deve essere apprezzata la condotta del difensore, che ha il diritto-dovere, costituzionalmente garantito, di difendere gli interessi della parte assistita nel migliore modo possibile nei limiti del mandato e nell’osservanza della legge e dei principi deontologici e cioè di adoperarsi con ogni mezzo lecito a sottrarre il proprio assistito, colpevole o innocente che sia, alle conseguenze negative del procedimento a suo carico.
L’aiuto ad eludere le investigazioni o a sottrarsi alle ricerche dell’autorità va pertanto apprezzato, specie con riferimento alla particolare posizione del difensore, non in maniera freddamente “oggettiva” e nella sua formale ed astratta corrispondenza al modello legale di reato, ma come concreta ed effettiva espressione di una “solidarietà anomala” con la persona difesa, il che chiaramente esorbita dal compito istituzionale dell’avvocato.
Quindi per stabilire se la condotta realizzata in connessione all’esercizio del diritto di difesa venga ad integrare la previsione criminosa di cui all’art. 378 cod. pen. occorre anche far riferimento al contenuto della intenzionalità che muove il soggetto agente, ovvero la prospettiva che ha ispirato lo stesso difensore (in tal senso, cfr. anche Sez. 6, n. 24035 del 24/05/2011).
Pertanto, correttamente si è stabilito che la mera ricezione di documenti, in mancanza di altri elementi indizianti, risultava finalizzata al fisiologico esercizio del diritto di difesa, indipendentemente dall’oggetto (rilevante o meno per le investigazioni), a differenza dell’altra condotta addebitata ai due legali, connotata da un’attività di vera e propria “sottrazione” di prove, con relativo occultamento presso il loro studio legale, che andava ben al di là delle loro legittime attività difensive Cassazione sezione 6 sentenza numero 48585/2019.
Altra pronuncia ha stabilito che non integra il delitto di favoreggiamento personale la condotta del difensore che, avendo ritualmente preso visione di atti processuali dai quali emergano gravi indizi di colpevolezza a carico del proprio assistito, lo informi della possibilità che nei suoi confronti possa essere applicata una misura cautelare (nella specie effettivamente disposta e non eseguita per la latitanza dell’indagato), atteso che la legittima acquisizione di notizie che possono interessare la posizione processuale dell’assistito ne rende legittima la rivelazione a quest’ultimo in virtù del rapporto di fiducia che intercorre tra professionista e cliente e che che attiene al fisiologico esercizio del diritto di difesa; qualora, invece, l’acquisizione di notizie avvenga in maniera illegale – come nel caso di concorso nel delitto di rivelazione o di utilizzazione di segreti d’ufficio o nella fraudolenta presa visione o estrazione di copie di atti che devono rimanere segreti – si verifica una sorta di “solidarietà anomala” con l’imputato in virtù della quale l’aiuto del difensore è strumentale non già alla corretta, scrupolosa e lecita difesa ma alla elusione o deviazione delle investigazioni e, quindi, al turbamento della funzione giudiziaria rilevante ai sensi dell’art. 378 cod. pen.(Sez. 6, n. 7913 del 29/03/2000, Rv. 217188).
Ancora, non integra il delitto di favoreggiamento personale la condotta del difensore che, avendo fortuitamente acquisito la notizia dell’emissione nei confronti del proprio assistito di una misura cautelare, lo informi, consentendo così la sua latitanza, atteso che non esorbita dalla funzione del difensore partecipare al proprio assistito quanto possa aiutarlo a mantenere la propria libertà personale (Sez. 6, n. 20813 del 18/05/2010, Rv. 247349).
Infine, l’imputato è libero di mentire a fine difensivo e il giudice non è tenuto a prestare fede incondizionata alle sue dichiarazioni ma ad indagare, indipendentemente da esse, per accertare la verità.
Pertanto non integra gli estremi del reato di favoreggiamento personale il suggerimento dato all’imputato di rendere dichiarazioni mendaci al magistrato, mancando la idoneità a fuorviare l’attività giudiziaria (Sez. 1, n. 1040 del 11/11/1971 (dep. 1972), Rv. 120241).
Pertanto, esula dalla condotta di favoreggiamento l’attività di consulenza fornita dal ricorrente agli indagati sulla base della conoscenza lecita degli atti redatti a loro carico e, specificamente, il suggerimento dato agli stessi in ordine alle dichiarazioni da fare alla A.G. rientrando nella facoltà degli stessi indagati quella di mentire.
