
La cassazione sezione 5 con la sentenza numero 3453/2023 è tornata ad occuparsi di offese via Facebook per delineare la distinzione tra la diffamazione e l’ingiuria.
La Suprema Corte ricorda che l’elemento distintivo tra ingiuria e diffamazione è costituito dal fatto che nell’ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, è diretta all’offeso, mentre nella diffamazione l’offeso resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l’offensore (Sez. 5, n. 10313 del 17/01/2019, Rv. 276502).
Data la premessa ne consegue che la missiva a contenuto diffamatorio diretta a una pluralità di destinatari, oltre l’offeso, non integra il reato di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, bensì quello di diffamazione, stante la non contestualità del recepimento delle offese medesime e la conseguente maggiore diffusione della stessa (Sez. 5, n. 18919 del 15/03/2016, Rv. 266827).
Orbene nel caso esaminato la difesa sottolinea che le frasi offensive sarebbero state pubblicate sulla pagina Facebook della stessa persona offesa e, quindi, sarebbero state rivolte direttamente a quest’ultima.
In ciò la necessaria qualificazione dei fatti in termini di ingiuria aggravata.
La ricostruzione prospettata collide con la consolidata interpretazione offerta dalla Corte di legittimità, secondo cui l’offesa diretta a una persona “distante” costituisce ingiuria solo quando la comunicazione offensiva avviene, esclusivamente, tra autore e destinatario (Sez. 5, n. 13252 del 04/03/2021, Rv. 280814).
Cosicché, laddove vengano in rilievo comunicazioni (scritte o vocali), indirizzate all’offeso e ad altre persone non contestualmente “presenti” (in accezione estesa alla presenza “virtuale” o “da remoto”), ricorreranno i presupposti della diffamazione (Sez. 5, n. 29221 del 06/04/2011, Rv. 250459; Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012, Rv. 254044; Sez. 5 n. 12603 del 02/02/2017, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 34484 del 06/07/2018, non massimata; Sez. 5., n. 311 del 20/09/2017, dep. 2018, non massimata; Sez. 5, n. 14852 del 06/03/2017, non massimata)
Ebbene, alla luce di quanto osservato, proprio la natura, pacificamente, pubblica della bacheca ove le frasi sono state pubblicate permette di qualificare il fatto in termini di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma 3, cod. pen., poiché questa modalità di comunicazione ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone (non contestualmente presenti), perché attraverso questa piattaforma virtuale’ gruppi di soggetti valorizzano il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un numero indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione (Sez. 5, n. 8328 del 13/07/2015 – dep. 01/03/2016, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 4873 del 14/11/2016, dep. 2017, Rv. 269090).

Devi effettuare l'accesso per postare un commento.