White list: il diniego prefettizio di iscrizione abilita la società destinataria a chiedere il controllo giudiziario dell’azienda (di Vincenzo Giglio)

Premessa

Una recentissima e condivisibile decisione della Suprema Corte, precisamente Cass. pen., Sez. 2^, sentenza n. 2156/2023 (udienza del 17 novembre 2022), ha affermato l’importante principio per il quale il diniego di iscrizione nella cosiddetta “white list” dà diritto al soggetto giuridico che lo ha subito di chiedere l’accesso al controllo giudiziario dell’azienda ai sensi dell’art. 34-bis, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.

Vicenda

Alla F SRL è stata negata l’iscrizione nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa, operanti nei settori esposti maggiormente a rischio (cd. white list).

La società ha chiesto a tal punto al Tribunale di essere ammessa al controllo giudiziario dell’azienda ai sensi dell’art. 34-bis, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159,

La sua domanda è stata respinta ed uguale esito negativo ha avuto l’appello contro il decreto di primo grado.

Ricorre quindi per cassazione.

La decisione della Corte di cassazione

Si riporteranno ampi stralci letterali della motivazione e li si dividerà in paragrafi per maggiore comodità di lettura.

…In punto di ammissibilità del ricorso

La giurisprudenza di legittimità ha già chiarito, con principio che qui si intende ribadire, che in tema di misure di prevenzione, il ricorso per cassazione avverso il provvedimento della corte d’appello che, in sede di impugnazione, decide sull’ammissione al controllo giudiziario ex art. 34-bis, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è ammissibile solo per violazione di legge, essendo, in tal caso, applicabili i limiti di deducibilità di cui agli artt. 10, comma 3, e 27 del  medesimo decreto (Sez. 5, n. 3856 del 06/11/2020, Rv. 279982).

Si è in tal senso osservato che: “L’assetto dei rimedi impugnatori previsti per il controllo giudiziario ex art. 34-bis del d. Igs. 6 settembre 2011, n. 159 riflette quello delineato per la misura dell’amministrazione giudiziaria dall’art. 34 del medesimo decreto legislativo; ora, quest’ultima disposizione richiama espressamente, a proposito della disciplina delle impugnazioni, l’art. 27, d. lgs. n. 159 del 2011, il quale, a sua volta, in tema di impugnazioni, richiama l’art. 10 del d.lgs. n. 159 cit., il cui comma 3 limita alla violazione di legge l’ambito delle censure proponibili con il ricorso per cassazione. In questa prospettiva, del resto, è univoca l’indicazione che si trae da Sez. U, n. 46898 del 26/09/2019, Rv. 277156, che, nello stabilire che il provvedimento con cui il tribunale competente per le misure di prevenzione nega l’applicazione del controllo giudiziario richiesto ex art. 34-bis, comma 6, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è impugnabile con ricorso alla corte di appello anche per il merito, ha chiarito che, nella riedizione degli artt. 34 e 34-bis effettuata con la legge 161 del 2017, l’intervento del legislatore sembra essersi concentrato piuttosto sulla previsione di procedure camerali ex art. 127 cod. proc. pen. destinate a garantire, in molti dei casi previsti, la conoscenza ed il contraddittorio anticipati: così dando la sensazione di non occuparsi, o meglio, […] lasciando libero, in punto di impugnabilità, uno spazio che è possibile ed anzi doveroso occupare, col ricorso al principio generale sotteso al sistema delle impugnazioni delle misure di prevenzione», che è quello elaborato nell’art. 10 del d. Igs. n. 159 del 2011 (la «norma fondamentale delle impugnazioni»); di qui la conclusione circa la fisionomia di un sistema che, col doppio grado di giudizio – il primo dei quali, di merito, ed il secondo per sola violazione di legge – si pone come quello generale e di riferimento a tutela degli interessi perseguiti dal corpo normativo, aventi tanto natura pubblicistica, quanto garanzia costituzionale come la libertà di iniziativa economica e la proprietà privata, ed ancora quanto alle caratteristiche del giudizio ex art. 34-bis predetto che con riferimento, poi, alla domanda della parte privata, che sia raggiunta da interdittiva antimafia, di accedere al controllo giudiziario il sindacato del giudice, deve essere indirizzato ad accertare i presupposti della misura, necessariamente comprensivi della occasionalità dell’agevolazione dei soggetti pericolosi, come si desume dal rilievo che l’accertamento della insussistenza di tale presupposto ed eventualmente di una situazione più compromessa possono comportare il rigetto della domanda e magari l’accoglimento di quella, di parte avversa, relativa alla più gravosa misura della amministrazione giudiziaria o di altra ablativa”.

Si è quindi osservato che: “La peculiarità dell’accertamento giudiziale relativo al controllo ex art. 34-bis, e a maggior ragione al controllo volontario, sta nel fatto che il fuoco dello scrutinio deve individuarsi nella verifica di concrete possibilità che la singola realtà aziendale abbia o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni (nel caso della amministrazione, anche vere intromissioni) che il giudice delegato può rivolgere nel guidare la impresa infiltrata”; in questa prospettiva, “l’accertamento dello stato di condizionamento e di infiltrazione non può […] essere soltanto funzionale a fotografare lo stato attuale di pericolosità oggettiva in cui versi la realtà aziendale a causa delle relazioni esterne patologiche, quanto piuttosto a comprendere e a prevedere le potenzialità che quella realtà ha di affrancarsene seguendo l’iter che la misura alternativa comporta”.

Pertanto, sebbene sia indubbio che il tribunale non abbia potere di sindacato sulla legittimità della interdittiva antimafia adottata dal prefetto, per la evidente autonomia dei mandati delle due giurisdizioni, è anche vero che l’intera gamma delle situazioni richiamate dall’art. 34-bis, comma 6, d.lgs. 159/2011 è devoluta alla sua cognizione, dovendosi esso esprimere non solo sulla applicabilità del controllo giudiziario di cui alla lett. b) del comma 2 dell’articolo citato – cioè quello che prevede la nomina del giudice delegato e dell’amministratore giudiziario con poteri di controllo – ma anche di verificare il ricorso dei relativi presupposti – e cioè la occasionalità della agevolazione ai soggetti mafiosi e non ivi previsti, il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose e la sua intensità – e saggiare la sussistenza delle condizioni per applicare uno o più degli obblighi informativi ed anche gestionali previsti dal comma 3 dell’art. 34-bis (Sez. 5, n. 3856 del 06/11/2020, cit.; da ultimo, Sez. 2, n. 18265 del 31/03/2022, non mass.)“.

…Il sistema della documentazione antimafia

Il sistema della documentazione antimafia, previsto dal c.d. Codice antimafia (d. lgs. n. 159 del 2011), in attuazione della legge delega n. 136 del 13 agosto 2010 (art. 2), si fonda sulla distinzione tra le comunicazioni antimafia e le informazioni antimafia (art. 84 del d. Lgs. n. 159 del 2011), che – come è noto – costituiscono le fondamentali misure di prevenzione amministrative previste dal Codice nel libro II e tuttora confermate, nel loro impianto anche dalla modifica del Codice antimafia, di cui alla L. n. 161 del 17 ottobre 2017, entrata in vigore il 19 novembre 2017.

Le comunicazioni antimafia mantengono un legame di tipo almeno formale con tale apparato, per il loro contenuto vincolato, poiché il presupposto della loro emissione consiste nell’attestazione che a carico di determinati soggetti, individuati dall’art. 85 del d. Lgs. n. 159 del 2011, non siano state emesse dal Tribunale misure di prevenzione personali definitive.

Le informazioni antimafia, invece, si distinguono per uno spiccato momento di autonomia valutativa da parte del Prefetto, nel soppesare il rischio di permeabilità mafiosa dell’impresa, di contenuto discrezionale, poiché ben possono prescindere dagli esiti delle indagini preliminari o dello stesso giudizio penale, che comunque la Prefettura ha il dovere di esaminare in presenza dei cc.dd. delitti spia (art. 84, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011), non vincolanti per l’apprezzamento che, a fini preventivi, la Prefettura è chiamata a compiere in ordine al rischio di condizionamento mafioso.

La nuova legislazione antimafia persegue, per finalità di sicurezza pubblica e di contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso, l’obiettivo di prevenire le infiltrazioni mafiose nelle attività economiche non solo nei rapporti dei privati con le pubbliche amministrazioni (contratti pubblici, concessioni e sovvenzioni), mediante lo strumento delle informazioni antimafia (artt. 90-95 del d. lgs. n. 159 del 2011), ma anche quello di inibire l’esercizio dell’attività economica, nei rapporti tra i privati stessi, mediante lo strumento delle comunicazioni antimafia (artt. 87-89 del d. lgs. n. 159 del 2011), richieste per l’esercizio di qualsivoglia attività soggetta ad autorizzazione, concessione, abilitazione, iscrizione ad albi, o anche alla segnalazione certificata di inizio attività (c.d. s.c.i.a.) e alla disciplina del silenzio assenso (art. 89, comma 2, lett. a) e lett. b) del d. lgs. n. 159 del 2011).

Per quanto riguarda la ratio dell’istituto della interdittiva antimafia, va precisato che si tratta di una misura volta – ad un tempo – alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica amministrazione: nella sostanza, l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti «affidabile») e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge.

Fondamentale è la distinzione tra le comunicazioni antimafia e le informazioni (o informative) antimafia.

La comunicazione antimafia consiste nell’attestazione della sussistenza, o meno, di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67 (art. 84, comma 2, del d. Igs. n. 159 del 2011) e, cioè, l’applicazione, con provvedimento definitivo, di una delle misure di prevenzione personali previste dal libro I, titolo I, capo II, del d. lgs. n. 159 del 2011 e statuite dall’autorità giudiziaria, ovvero condanne penali con sentenza definitiva o confermata in appello per taluno dei delitti consumati o tentati elencati all’art. 51, comma 3-bis cod. proc. pen. è di competenza delle Direzioni distrettuali antimafia 3-bis.

Al riguardo, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha chiarito che per “definitivo”, ai sensi dell’art. 84, comma 2, del d. lgs. n. 159 del 2011, nel sistema del Codice antimafia, alla luce di una interpretazione sistematica delle disposizioni in materia, si deve intendere il provvedimento non impugnato o non più impugnabile, che ha acquisito, quindi, la stabilità connessa o, comunque, equivalente al giudicato (Cons. St., Sez. 3, 1° aprile 2016, n. 1234, che ribadisce la “distinzione, ben netta ed ancorata a tassativi presupposti, tra informazione antimafia e comunicazione antimafia, vincolata, quest’ultima, alla definitività della misura di prevenzione”).

La comunicazione antimafia descrive, quindi, il cristallizzarsi di una situazione di permeabilità mafiosa contenuta in un provvedimento giurisdizionale ormai definitivo, con il quale il Tribunale ha applicato una misura di prevenzione personale prevista dal Codice antimafia, ed ha un contenuto vincolato, di tipo accertativo, che attesta l’esistenza, o meno, di tale situazione tipizzata nel provvedimento di prevenzione.

Il legislatore ha espressamente previsto che le comunicazioni antimafia, come si è accennato, hanno efficacia interdittiva rispetto a tutte le iscrizioni e ai provvedimenti autorizzatori, concessori o abilitativi per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati, nonché a tutte le attività soggette a segnalazione certificata di inizio attività (c.d. s.c.i.a.) e a silenzio assenso (art. 89, comma 2, lett. a) e b), del d. lgs. n. 159 del 2011), a differenza di quanto ordinariamente la legge prevede per le informazioni antimafia e comportano, altresì, il divieto di concludere contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cottimo fiduciario e relativi subappalti e subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo e le forniture con posa in opera (art. 84, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 159 del 2011).

L’informazione antimafia consiste nell’attestazione della sussistenza, o meno, di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto, di cui all’art. 67 (l’esistenza, come detto, di un provvedimento di prevenzione definitivo), nonché nell’attestazione della sussistenza, o meno, di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte o gli indirizzi della società o delle imprese interessate (art. 84, comma 3, del d. lgs. n. 159 del 2011).

Detta forma di documentazione antimafia, dunque, ha un duplice contenuto, di tipo vincolato, da un lato, e analogo a quello della comunicazione antimafia, nella parte in cui attesta o meno l’esistenza di un provvedimento definitivo di prevenzione personale emesso dal Tribunale, e di tipo discrezionale, dall’altro, nella parte in cui, invece, il Prefetto ritenga la sussistenza, o meno, di tentativi di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa, desumibili o dai provvedimenti e dagli elementi, tipizzati nell’art. 84, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011, o dai provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata. A differenza delle comunicazioni antimafia, il cui effetto interdittivo, come visto, è esteso non solo ai contratti e alle concessioni, ma anche alle autorizzazioni, le informazioni antimafia, normalmente, esplicano i loro effetti solo in rapporto ai contratti pubblici, alle concessioni e alle sovvenzioni salvo quanto si dirà a seguito dell’introduzione dell’art. 89-bis del codice antimafia.

Con riguardo alla natura giuridica e degli effetti dell’interdittiva antimafia, va precisato che:

1) si tratta di un provvedimento di natura cautelare e preventiva, espressione del bilanciamento tra tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41 Cost.;

2) costituisce una misura volta alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica amministrazione;

3) mira a prevenire tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese volti a condizionare le scelte e gli indirizzi della pubblica amministrazione;

4) preclude all’imprenditore di essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni ovvero destinatario di titoli abilitativi o di contributi, finanziamenti, mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo;

5) determina una particolare forma di incapacità giuridica, parziale e tendenzialmente temporanea, in quanto comporta l’inidoneità del destinatario ad essere titolare di talune situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi)“.

…Le cosiddette white list

Discorso solo in parte diverso va fatto per le c.d. white list.

Il legislatore, con l’art. 29, comma 1, del d.l. n. 90 del 2014, è intervenuto in modo organico sul sistema delle c.d. white list e, cioè, su quell’apposito elenco «di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa operanti» in delicati settori delle opere pubbliche, tenuto dalla Prefettura, il cui provvedimento negativo si fonda sugli stessi elementi che devono essere posti a base dell’informazione antimafia, in quanto la Prefettura “effettua verifiche periodiche circa la perdurante insussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa e, in caso di esito negativo, dispone la cancellazione dell’impresa dall’elenco»: detti settori sono costituiti dalle attività di estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti; confezionamento, fornitura e trasporto di calcestruzzo e di bitume; noli a freddo di macchinari; fornitura di ferro lavorato; noli a caldo; autotrasporti per conto di terzi; guardiania dei cantieri; servizi funerari e cimiteriali; ristorazione, gestione delle mense e catering; servizi ambientali, comprese le attività di raccolta, di trasporto nazionale e transfrontaliero, anche per conto di terzi, di trattamento e di smaltimento dei rifiuti, nonché le attività di risanamento e di bonifica e gli altri servizi connessi alla gestione dei rifiuti.

Per poter essere iscritte nell’elenco white list, le imprese devono presentare un’apposita istanza alla Prefettura territorialmente competente, ossia alla Prefettura della provincia in cui l’impresa ha la propria sede legale. All’istanza dovranno essere allegate la dichiarazione sostitutiva del certificato di iscrizione alla Camera di Commercio e le autocertificazioni, rese da ciascun soggetto sottoposto a verifica ai sensi dell’art. 85 del Codice Antimafia.

A seguito della presentazione dell’istanza di iscrizione, la Prefettura territorialmente competente verifica:

– l’assenza di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 del d.lgs. n. 159/2011;

– l’assenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa di cui all’art. 84, comma 3, del d.lgs. n. 159/2011.

Se le verifiche danno esito positivo, la Prefettura dispone l’iscrizione dell’impresa nell’elenco pubblicato sul sito. Nel caso in cui emergano condizioni ostative, la stessa rigetta l’istanza di iscrizione comunicandolo all’impresa interessata.

Eventuali modifiche degli organi sociali (soci, amministratori e collegio sindacale) devono essere segnalate alla Prefettura territorialmente competente entro trenta giorni, tramite l’apposita modulistica presente all’interno della sezione del sito dedicata alla white list.

Entro trenta giorni dalla scadenza (l’iscrizione nell’elenco white list ha una durata di dodici mesi dalla data di iscrizione indicata nell’elenco accanto al numero di iscrizione), l’impresa che ha interesse a mantenere la propria iscrizione nell’elenco white list dovrà comunicare l’interesse a permanere. La mancata comunicazione dell’interesse a permanere entro 30 giorni dalla scadenza comporta la cancellazione dall’elenco white list. Le imprese che non presentano la comunicazione di interesse a permanere devono pertanto procedere con nuova iscrizione. L’iscrizione alla white list sostituisce la comunicazione ed anche l’informazione antimafia liberatoria, anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per la quali essa è stata disposta: quindi, una volta iscritte nelle c.d. white list, le imprese non dovranno presentare altri documenti alle pubbliche amministrazioni ai fini della cosiddetta “liberatoria antimafia” (art. 1, comma 52- bis L. n. 190/2012)“.

…Equivalenza dei presupposti che legittimano il diniego dell’iscrizione nella white list e di quelli che comportano l’adozione dell’interdittiva antimafia

L’equivalenza dei presupposti legittimanti il diniego della iscrizione nella white list con quelli che comporta la adozione della interdittiva determina una sostanziale equiparazione tra i due istituti, con la differenza che il primo consegue ad un procedimento promosso dal privato, la seconda ad un procedimento avviato d’ufficio.

Detta equivalenza costituisce consolidato ed univoco orientamento dei giudici amministrativi. In tal senso, si è affermato che il diniego di iscrizione nella white list provinciale presenta identica ratio delle comunicazioni interdittive antimafia, in quanto si tratta di misure volte alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica amministrazione (cfr., Cons. St. Sez. 3, 5 agosto 2021, n. 5765; Cons. St. Sez. 1, 1 febbraio 2019, n. 337; Cons. St. Sez. 1, 21 settembre 2018, n. 2241).

Si è inoltre affermato (Cons. St. Sez. 1, 20 febbraio 2019, n. 1182; Cons. St. Sez. 1, 24 gennaio 2018, n. 492) come le disposizioni relative all’iscrizione nella c.d. white list formano un corpo normativo unico con quelle dettate dal codice antimafia per le misure antimafia (comunicazioni ed informazioni), tanto che, come chiarisce l’art. 1, comma 52-bis, della L. n. 190 del 2012 introdotto dall’art. 29, comma 1, d.l. n. 90 del 2014 conv., con mod., dalla I. n. 114 del 2014 “l’iscrizione nell’elenco di cui al comma 52 tiene luogo della comunicazione e dell’informazione antimafia liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per la quali essa è stata disposta”. Inoltre, “l’unicità e l’organicità del sistema normativo antimafia vietano all’interprete una lettura atomistica, frammentaria e non coordinata dei due sottosistemi – quello della c.d. white list e quello delle comunicazioni antimafia – che, limitandosi ad un criterio formalisticamente letterale e di c.d. stretta interpretazione, renda incoerente o addirittura vanifichi il sistema dei controlli antimafia …”.

In generale, va subito detto che, in ordine al rapporto tra questi due sottosistemi, è pacifico in giurisprudenza che il diniego di iscrizione nella white list costituisce una determinazione conseguente e di natura vincolata rispetto alla misura interdittiva antimafia, tanto che non occorre la previa comunicazione del preavviso di rigetto previsto dall’art. 10-bis, L. n. 241 del 1990; è altrettanto pacifico che l’iscrizione nella white list è ricollegata ad un’attività istruttoria della medesima tipologia e contenuto di quelle previste per le informative antimafia e, anche in questo caso, è stabilita la necessità di un aggiornamento periodico degli elementi che evidenziano tentativi di infiltrazione mafiosa, con conseguente sussistenza di un obbligo di provvedere, in capo all’Amministrazione, in ordine alla revisione di tali procedimenti.

Detto orientamento ha trovato conferma anche in sede di giudizio di merito, laddove (Trib. Bologna Sez. Misure di prevenzione, decreto n. 14/20 dep. il 07/09/2020) si è affermato che “… all’indirizzo giurisprudenziale più restrittivo, a tenore del quale le due situazioni non sarebbero equiparabili, giacché l’istituto di cui all’art. 34-bis, comma 6, cod. antimafia sarebbe fattispecie eccezionale rispetto a quello di cui all’art. 34-bis, comma 1, cod. ant., e pertanto sarebbe preclusa qualsiasi interpretazione analogica, deve preferirsi il contrapposto orientamento che valorizza l’identità dei presupposti applicativi e degli effetti dell’interdittiva prefettizia e del diniego di rinnovo alla white list.

Entrambi i provvedimenti, infatti, pur estrinsecandosi con mobilità distinte, si fondano sulla sussistenza di un pericolo di infiltrazione e/o attività agevolativa dell’impresa nei confronti della criminalità organizzata. In altre parole, l’informazione interdittiva antimafia accerta positivamente – seppure alla luce di un giudizio probabilistico – la presenza del pericolo menzionato; il provvedimento prefettizio, invece, formula un giudizio in termini negativi sulla insussistenza del pericolo di infiltrazione”. Equiparazione che, come si è detto, è stata normativizzata dall’art. 1, comma 52-bis L. n. 190/2012.

E, una interpretazione che consente di dare una lettura coerente e sistematica a tutta la normativa antimafia, in una prospettiva costituzionalmente orientata che consenta il superamento di una contraddittorietà intrinseca ed una irragionevole disparità di trattamento, impone la parificazione delle due situazioni, ben potendosi riconoscere come il diniego di iscrizione all’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti maggiormente a rischio debba considerarsi produttivo dei medesimi effetti lesivi dell’interdittiva antimafia.

Detta interpretazione, come evidenziato dalla difesa, è stata accolta dalle stesse Prefetture con la finalità di non aggravare il procedimento amministrativo con l’adozione di diversi provvedimenti con identico contenuto“.

…Profili di irragionevolezza e del provvedimento impugnato e ulteriori censure

Il provvedimento impugnato viene censurato anche perché i giudici d’appello, dopo aver riconosciuto il paradosso che si verrebbe a creare concedendo la misura richiesta nei casi di interdittiva antimafia e negandola nei casi di diniego dell’iscrizione nella white list, con un evidente salto logico, ricollegandosi al provvedimento di prime cure, affermano apoditticamente che, mancando il presupposto costituito dall’interdittiva, la misura non sia applicabile.

Invero, ferme le considerazioni che precedono sulla sovrapponibilità dei due sottosistemi, rileva il Collegio come la Corte territoriale, notiziata della pendenza del giudizio amministrativo (il ricorso cautelare della F avverso il diniego di rinnovo di iscrizione risulta essere stato respinto dal TAR territorialmente competente con ordinanza n. 476/2021 e l’udienza per il giudizio di merito non è stata ancora fissata, con conseguente verificata pendenza del giudizio), abbia del tutto omesso di motivare sulla ricorrenza dei presupposti normativi di cui all’art. 34-bis d.lgs. n. 159/2011, necessariamente comprensivi della occasionalità dell’agevolazione dei soggetti pericolosi.

Come evidenziato dalle Sez. U, n. 46898 del 26/09/2019, Ricchiuto, cit., nel caso di controllo giudiziario richiesto dalla parte privata che sia stata raggiunta da interdittiva antimafia, l’accertamento rimesso al Tribunale si connota in modo specifico, atteso che anche la domanda presentata dalla parte privata ai sensi del comma 6 rappresenta una richiesta di applicazione di una misura di prevenzione.

In sostanza, l’impresa liberamente operante sul mercato a seguito dell’interdittiva sceglie di affidarsi al Tribunale della prevenzione al fine di gestire e proseguire la propria attività nell’ambito di una efficace vigilanza prescrittiva dell’azienda da parte del commissario nominato dal Tribunale. Si è quindi evidenziato come sia certamente rilevante la considerazione del presupposto relativo all’occasionalità della agevolazione di soggetti pericolosi, ma pur tuttavia “il fuoco dell’attenzione e quindi del risultato di analisi deve essere posto non solo su tale pre-requisito, quanto piuttosto, valorizzando le caratteristiche strutturali del presupposto verificato, sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni che il giudice delegato può rivolgere nel guidare la impresa infiltrata. L’accertamento dello stato di condizionamento e di infiltrazione non può, cioè, essere soltanto funzionale a fotografare lo stato attuale di pericolosità oggettiva in cui versi la realtà aziendale a causa delle relazioni esterne patologiche, quanto piuttosto a comprendere e a prevedere le potenzialità che quella realtà ha di affrancarsene seguendo l’iter che la misura alternativa comporta”.

La giurisprudenza di legittimità successiva ha ulteriormente specificato come la necessità che la valutazione relativa alla sussistenza o meno di un’infiltrazione connotata da occasionalità “non sia finalizzata all’acquisizione di un dato statico – consistente nella cristallizzazione della realtà preesistente: una mera fotografia del passato – bensì all’argomentata formulazione di un giudizio prognostico circa l’emendabilità della situazione rilevata, connotata da condizionamento e/o agevolazione di soggetti o associazioni criminali, mediante l’intera gamma di strumenti previsti dall’art. 34-bis” (Sez. 6, n. 1590 del 14/10/2020, Rv. 280341).

In realtà, non è stata, in alcun modo affrontata, risultando sul punto del tutto assente la motivazione, la valutazione relativa al giudizio prognostico di cui si è detto quanto alle concrete possibilità che la singola realtà aziendale, indipendentemente dal ruolo e dalla figura del B e dalle sue “influenze” societarie, ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni che il giudice delegato può rivolgere nel guidare la impresa infiltrata. La Corte territoriale ha, pertanto, omesso qualsiasi considerazione relativa al progetto di gestione e della compagine societaria che erano state considerate invece criticamente dal Tribunale, al fine di escludere la possibilità di accedere alla misura di cui all’art. 34-bis del d.lgs. n. 159 del 2011. Risulta conseguentemente omessa la motivazione, sul punto necessaria, in ordine alla natura occasionale o meno dell’infiltrazione mafiosa e la valutazione relativa ad una eventuale prognosi favorevole quanto al possibile riallineamento dell’azienda nel circuito imprenditoriale sano (Sez. 6, n. 1590 del 14/10/2020, cit.), in base alla valutazione, in concreto, e non vincolata da alcun automatismo, del giudice della prevenzione.

…Esito

Il decreto impugnato è stato conseguentemente annullato con rinvio.

Massima

L’equivalenza dei presupposti legittimanti il diniego di iscrizione nelle cc.dd. “white list” con quelli a fondamento dell’interdittiva antimafia comporta che anche al destinatario del rigetto della richiesta di iscrizione o del suo rinnovo debba riconoscersi la possibilità di accedere al controllo giudiziario dell’azienda ai sensi dell’art. 34-bis, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.